Lo sapevi tu che esistono i poeti laureati? Io no. Confesso la mia ignoranza. L’ho scoperto per caso e guarda caso (casi e casistica e giochi di parole a volte sorprendono), proprio scrivendo un articolo per Libri.iCrewplay. Com’è vero che non si finisce mai di apprendere! Frequento versi da una vita e non sapevo che esistesse una laurea in poesia, a parte l’iniziativa tutta italiana di qualche anno fa: l’Università di Cagliari, nel 2008, si è inventata fra gli sbocchi lavorativi previsti per chi consegue la laurea magistrale in Filologie e Letterature Classiche e Moderne anche la professione di scrittore e poeta. Mi sorge il dubbio a questo punto se scrittori e poeti contemporanei non abbiano bisogno di qualche lezione all’Università di Cagliari considerando che sforna scrittori e poeti laureati. Mah. Le stranezze a quanto pare non sono soltanto italiane perchè, a parte l’estrosa iniziativa cagliaritana, la laurea in poesia con tanto di alloro, pergamena e stipendio, esiste davvero.
I poeti laureati esistono, esistono negli Stati Uniti, in Canada, in India, addirittura nel Regno Unito e in Irlanda, ma hanno una particolarità: la laurea è a tempo. Immagino la tua faccia in questo momento, è uguale a quella che ho fatto io quando ho letto la notizia. I Paesi di Oltreoceano, si sa, hanno stranezze da vendere in certi settori, specialmente letterari, ma questa dei poeti laureati a tempo, giuro, non l’avrei mai immaginata. Che sia stata una tradizione che affonda le sue radici in tempi lontanissimi, addirittura nel Medioevo, è arcinoto a tutti ma che abbia travalicato secoli, solcato oceani e resistito al tempo, proprio non lo sapevo. Fu nel Medioevo che si cominciarono a coronare di lauro i poeti (la corona di alloro era la maggiore onorificenza in ambito poetico e letterario), si rifaceva al classicismo greco che vedeva Apollo, dio del sole, protettore di tutte le arti poesia compresa ovviamente, avvinghiato ad una pianta di lauro, illuso che Dafne, tramutata nella pianta suddetta proprio per sfuggire alle sue avances, potesse amarlo ugualmente in simili fattezze. Stranezze degli dei, della mitologia e per estensione, della poesia nonchè degli uomini e dei governi che laureano poeti a tempo, investendoli ufficialmente del compito di comporre sonetti e madrigali in occasione di eventi ufficiali oppure di stilare poemi celebrativi di personaggi illustri. A-ri-mah! E ci sta tutto.
Negli Stati Uniti esistono diverse cariche di poet laureate, sia a livello nazionale che municipale: si incorona di alloro, si laurea, un poeta per un anno e poi, l’anno successivo, sotto a chi tocca, avanti un altro! Come se chi scrive versi potesse conservare uno starter, una manopola da attivare, fra penna e neuroni, e pensare: “Quest’anno sono poeta con l’alloro e la laurea, scrivo versi e diffondo il mio verbo immortale, il prossimo no, non posso più, scade il tempo, mi tolgono l’alloro e la laurea, la vena poetica si esaurisce e ho molte probabilità di diventare una chiavica”. Io ironizzo e mi permetto di scherzare ma ti assicuro che succede grossomodo così.
Il Poeta Laureato degli Stati Uniti resta in carica da ottobre a maggio e ha il compito di promuovere delle iniziative per far conoscere e apprezzare l’arte della poesia in tutta la nazione, oltre a dover tenere delle letture nella Biblioteca del Congresso. Non ci sono altre precise incombenze e lo stipendio annuale è di 35.000 dollari. A differenza del Regno Unito, dove la corona d’alloro resta salda sul capo del poeta addirittura 10 anni, negli Stati Uniti solitamente non gli viene richiesto di comporre poesie per le occasioni ufficiali: gli inglesi sono più esigenti, a fronte di 10 anni di laurea poetica pretendono versi e sonetti celebrativi. Ora, senza voler fare polemiche o facili ironie, ti sembra normale tutto questo? E sopratutto quanta libertà di espressione o quanto estro libero e incondizionato può mettere un poeta nei suoi versi se deve scrivere a comando?
Nella nostra bella Italia, sembra che la libertà di espressione, la sobrietà o forse il buon senso, almeno da questo punto di vista, funzionino un po’ meglio: le cerimonie di incoronazione poetica sono state rarissime e neanche tanto recenti. Tasso, Petrarca e il sommo Dante sono gli unici, a quanto pare, fregiati del lauro poetico anche se per quanto riguarda il Ghibellin fuggiasco la corona d’alloro arrivò post-mortem. Si sa, noi italiani siamo bravi a riconoscere il valore dei “grandi” solo dopo la morte e ad innalzare statue ed altari sulle ceneri funerarie.
Ascoltami, i poeti laureati/ si muovono soltanto fra le piante/ dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti./ lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/ fossi dove in pozzanghere/ mezzo seccate agguantano i ragazzi/ qualche sparuta anguilla:/ le viuzze che seguono i ciglioni,/ discendono tra i ciuffi delle canne/ e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. […] Qui delle divertite passioni/ per miracolo tace la guerra,/ qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza/ ed è l’odore dei limoni. (da Ossi di seppia, I limoni, Eugenio Montale)
Ha ragione a questo punto Eugenio Montale, i cui versi appena letti sembrano scritti ad hoc per come si adattano all’argomento. I poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati… La sottile ironia di Montale (che non a caso, avendo vinto un premio Nobel, avrebbe diritto a ben altro che una laurea di poeta), venata di malinconia, sembra proprio faccia riferimento a quei poeti consacrati che si fregiano di titoli e alte frequentazioni: mentre agli altri, ai poveri, a coloro che amano le strade che riescono agli erbosi/ fossi dove in pozzanghere/ mezzo seccate agguantano i ragazzi/ qualche sparuta anguilla, ai poeti aspiranti, basta soltanto l’odore dei limoni.
È vero che oggi la poesia è poco frequentata, del resto, se perfino la lettura di semplice prosa è in declino, come si può pretendere che sia d’interesse l’ostica poesia? La poesia è una forma d’espressione criptica, che richiede raccoglimento e astrazione, poco adatta al mondo moderno, dove siamo tutti scaraventati nel vortice della comunicazione immediata.
La poesia richiede tempo, la si coglie nel silenzio e non tanto facilmente
Non basta, come ho scritto tante volte (e non saranno mai abbastanza aggiungo), esprimersi con linguaggio malinconico-sentimental-sdolcinato o andare spesso a capo per illudersi di scrivere in poesia. Non basta pubblicare raccolte di versi che pochissimi leggono, con le quali ci si illude che un qualsiasi premio vinto o un qualsiasi altro riconoscimento consacri la propria arte poetica a fama imperitura. Non basta lo struggimento a fare il poeta, come non basta il tubetto di vernice a fare il pittore. Chiunque abbia subito una delusione o un abbandono o anche solo la morte del gatto, chiunque si creda frustrato sul lavoro o trascurato negli affetti, si sente abilitato, senza nessuna competenza, a scrivere roba che chiama poesia e usurpa così con i suoi lamenti il nome di un’arte fra le più pure. C’è un linguaggio della poesia che va imparato, con lo studio, con la ricerca, la molta lettura e soprattutto l’umiltà.
Ho voluto riportare questo stralcio tratto da un articolo di Diego Marani perché mi sembra capiti proprio a fagiolo a proposito di aspiranti poeti. Senza volere salire in cattedre che non mi competono, penso che non ci si può improvvisare poeti, non si può aspirare ad essere poeti senza conoscere almeno l’abc di base e sopratutto senza avere quel moto interiore, quella lucidità del distacco, quella profondità della parola ponderata, la veggenza che illumina solo chi sa sporgersi fuori dalla razionalità. La poesia richiede tempo, la si coglie nel silenzio e non tanto facilmente. Ma a chi sa abbandonarvisi dà la vertigine dell’immortalità, della trascendenza.
Ai poeti aspiranti, a coloro che non sanno di essere poeti ma lo sono nel cuore, a quelli che ambiscono alla laurea con l’alloro, a quanti credono che fare bella poesia sia cosa semplice, a chi conserva nel cassetto i suoi versi perchè non si sente all’altezza della vera poesia, a coloro che si illudono di passare alla storia della letteratura per i loro versi immortali, a quelli che partecipano ai mille concorsi di poesia sguinzagliati per tutto il territorio nazionale che, fra parentesi, servono a poco, a coloro che mandano curriculum poetici a siti o blog che si occupano di libri e affini nel tentativo di pubblicizzare la loro opera, a quanti pensano di avere la poesia impastata con le fibre del cuore e la sentono scorrere nelle vene come il sangue, a quelli che trovano l’ispirazione nelle cose di tutti i giorni a tutti quelli che sentono prima, sentono diverso vorrei ricordare che poeti non ci si improvvisa. Mai. Che non ci si auto-definisce poeti perchè si è soltanto un grumo di sogni,/ frutto d’innumerevoli contrasti d’innesti/ maturato in una serra. (Giuseppe Ungaretti).
Cara Pina, come sempre, riflessiva, curiosa del sentire comune e critica della realtà che ti circonda…condivido il tuo pensiero..solo l’animo umano, se rivolto al profondo, è capace di sentire oltre ciò che le regole scrivono…Bellissimo…
Grazie Dony, la sensibilità a volte si incontra. ♥️