Rocco Scotellaro, poeta lucano, poeta contadino, poeta sindaco: Matera, capitale della cultura 2019 e la Lucania ricordano e celebrano questo loro figlio, morto a soli trenta anni.
Morire a soli trenta anni, significa aver avuto poco tempo a disposizione per lasciare dietro di se una traccia, un’eredità morale da tramandare a chi verrà dopo. Eppure ci sono uomini, artisti, letterati e poeti che in un tempo ristretto realizzano ciò che altri non sono in grado di attuare, forse neanche in una lunga vita. A Rocco Scotellaro, sono bastati pochi anni per lasciare una traccia indelebile di se, non solo nella terra che gli ha dato i natali, la Basilicata ma nell’intera penisola.
Nato a Tricarico, in Basilicata, nel 1923 e morto nello stesso luogo a soli trent’anni, di famiglia umile, Rocco Scotellaro partecipa, attivamente, sin da giovanissimo, alle lotte contadine del suo paese: l’impegno politico e sociale lo portano, a soli ventitrè anni a diventare sindaco di Tricarico. Accusato dagli antagonisti politici e incarcerato ingiustamente nel 1950, dopo la liberazione non riprende più l’attività politica, probabilmente perchè deluso e amareggiato.
La sua poetica è rivolta alla terra, quella sua Lucania così poco generosa con gli uomini, di cui racconta “il dramma concreto e attuale dell’esistenza dei contadini e dei braccianti, della miseria del Sud, e sullo sfondo di una vita quotidiana, di cui vediamo tuttora le conseguenze, stanno i briganti dell’800, i ladri di bestiame, i rivoltosi”.
C’è sempre una ragione se un poeta lascia un solco dietro di se, è il riuscire ad essere eternamente attuale, valido e “applicabile” a tutte le epoche. E quando Scotellaro scrive agli inizi degli anni Cinquanta: “Ci hanno gridata la croce addosso i padroni,/ per tutto che accade e anche per le frane/ che vanno scivolando sulle argille./ Noi che facciamo? All’alba stiamo zitti/ nelle piazze per essere comprati,/ la sera è il ritorno nelle file… […] Noi siamo le povere/ pecore savie dei nostri padroni”, l’attualità di questi versi stupisce per come descrivono con chiarezza le condizioni in cui si trovavano i contadini del tempo e per come si trova di nuovo e ancora, gran parte della classe operaia di oggi, 2019: dopo aver lottato per la conquista di diritti giusti e sacrosanti, vive un inverosimile ritorno al passato, complice la crisi, le logiche finanziarie, i padroni sempre più padroni e i poveri sempre più poveri. Corsi e ricorsi storici? Certo! Com’è certa l’attualità di un poeta di metà Novecento a distanza di circa ottanta anni.
E’ cresciuto il basilico
nel giardino dei poveri.
hanno rubata l’aria alle finestre
su due tavole hanno seminato.
Verranno i passeri,
verranno le mosche,
nel giardino dei poveri.
Ora quando non sai che fare
prendi la brocca in mano,
io ti vedrò cresciuta tra le rose
del giardino dei poveri.
-Il giardino dei poveri- 1948
Il vissuto personale e l’impegno politico e sociale di Rocco Scotellaro si mescolano, nella sua poetica, insieme alle speranze, agli amori, ai ricordi del carcere, al trasporto profondo per la natura, dando vita a liriche che vanno oltre il semplice canto di protesta, sintonizzando con “strumenti essenzialmente poveri, immagini naturalistiche efficaci e dirette, rime facili e lessico contadino”. Queste tematiche fanno di lui non un poeta elevato agli altari della gloria o adagiato nei salotti letterari più “in” ma un poeta “emarginato” dai circoli culturali ufficiali. Di contro, soprattutto al Sud, fra la gente impastata dei suoi stessi elementi, Scotellaro è diventato una specie di mito cui la critica ha elargito parziali e tardivi riconoscimenti, più post-mortem che in vita come spesso accade.
“Sono bellissime le poesie di Scotellaro: sensuali, assolate (ma anche innevate), rabbiose, politiche, disilluse o intimissime. […] Provocano risonanze, nostalgie, voglia di ritrovare qualche minima persistenza di quel (suo) mondo.” Questo scrive su Il Venerdì di Repubblica, Paola Zanuttini.
Le sue poesie sono state pubblicate postume grazie all’interessamento di amici, in particolare Carlo Levi a cui si deve in buona parte la “scoperta” del giovane poeta. Proprio Carlo Levi firma la prefazione di E’ fatto giorno, raccolta pubblicata nel 1954 e riedita successivamente da Mondadori nel 1982, ti mostro il libro nella foto che allego sotto. (Ho trovato la raccolta nella libreria di casa, a conferma del fatto che la poesia, a casa mia, ha vita propria…)
Oggi la Basilicata riscopre Rocco Scotellaro e la sua poetica, riscopre la sua forza e la sua straordinaria attualità e, nell’ambito della grande kermesse dedicata a Matera capitale della cultura 2019, inserisce perfettamente la pubblicazione di Tutte le opere del poeta, edizioni Oscar Mondadori. Come si legge nell’introduzione a cura di Franco Vitelli che fra l’altro ha curato anche l’edizione del 1982 di E’ fatto giorno:“La nuova raccolta è stata costruita con l’obiettivo di offrire una rappresentazione il più possibile completa delle opere di Scotellaro.
“Accostarsi alla raccolta di tutte le sue opere, che il lettore voglia leggerle in sequenza oppure alternale in un’esplorazione libera, significa coglierne le sfumature sempre cangianti ma con una base compatta di fondo: l’umanita. Questo lo rende uno dei classici della nostra epoca”.
Se il Sud ricominciasse dalla sua cultura e da coloro che l’hanno fatta grande, se il Sud riscoprisse le radici della sua essenza e da loro nutrisse la pianta del riscatto, se il Sud si affrancasse da tutte le forme di potere occulto che lo attanagliano, sarebbe davvero rinascita. Sarebbe davvero realizzare il sogno di tutti e, in particolare, di chi ha speso la vita nell’impegno culturale e politico. La cultura è radice forte, è una base solida dove poggiare la pianta del futuro.
Sogno? si, credo di si.