Venerdì Santo, venerdì di silenzio. Venerdì di meditazione sul mistero più grande del mondo che da più di duemila anni si celebra e non finisce mai di stupire e… venerdì di poesia, per me e per te.
Che tu sia credente, dubbioso o ateo, fervente praticante o cristiano tiepido, che tu abbia o non abbia il tempo per riflettere sul mistero più grande del mondo, Cristo morto e risorto, questo Venerdì non è un venerdì qualsiasi. Puoi farci caso o fregartene altamente, però il Venerdì che precede la Pasqua, in un qualsiasi momento della tua vita, (passata, presente o chissà, futura) ti avrà indotto (o ti indurrà) a fermarti e pensare (e… chi lo sa se non sia io, oggi, a provocare la riflessione). Sarà stato un attimo, saranno state ore o un giorno oppure una intera vita ma il mistero di quel Corpo di Uomo straziato sulla Croce, ti avrà stupito o trovato incredulo, riconoscente o pieno di pietà ma sono certa che non ti avrà lasciato indifferente, a meno che, come si dice dalle mie parti, tu non abbia “tri parmi ri pilu ‘nno cori” (tre palmi di pelo sul cuore), cosa che non credo sia possibile se mi leggi… perchè, se mi leggi, ami la poesia e chi ama la poesia non può essere indifferente ne insensibile.
Giorno di silente riflessione oggi, giorno da dedicare all’ascolto del nostro io più profondo e non servono tante parole. Di parole ne sentiamo a milioni ogni giorno e, spesso, ci scivolano addosso senza lasciare traccia. Mi piace pensare che tu che leggi, oggi, possa fermarti un attimo a riflettere sul grande dono di quel Cristo in Croce e, se non sei credente, pensa anche per un solo attimo a quell’Uomo Crocifisso innocente, solo perchè predicava l’amore.
Il racconto che udì Luca
“Sono uno che ha visto, un testimone.
Ho molto viaggiato, percepito sorgenti
placare le piaghe di sudore e sabbia,
conosco paesi e luoghi azzurri e lontani,
ho letto i versi dei filosofi iranici
e seguito con le pupille le rotte del cielo,
ma ho anche spiato, vicino, non visto,
ho vissuto.
E so che la bocca di una donna conduce
a un movimento palpitante come il moto del mare,
sfiammando nelle caverne umide e ombrose,
quando i nostri occhi si limitano a guardare.
Conosco il volo d’aquila degli sciamani
e il sonno ipnotico dei saggi indiani,
ma so che un filo d’erba non è meno del cielo
e della matematica astrale e del fuoco di Platone,
so che esiste un segreto nelle cose e che la morte lo congela,
quando solo l’amore a poco a poco ci avvicina
a quel crogiolo incandescente di vita e oscuro
come la mano intirizzita che si accosta
al fuoco e intiepidita se ne allontana.
Questo sapevo, che il suo calore e il suo segreto
non mutano niente del destino,
che oltre la luce e l’amore cresce la malinconia,
per il tramonto, per l’ardore che declina,
mentre quel nucleo desiderato lentamente dilegua.
Poi ho visto il sudore distillato in sangue,
e l’orto degli ulivi e le lacrime
lattee e salate con cui guardò sua madre.
Non rinnego quei voli e la bellezza siderale,
non rinnego l’uscita dal tempo degli indiani
o il semplice prodigio dell’erba nel mattino,
perché il viaggio per l’anima conosce molti cammini,
e un’unica luce ci calamita,
e ci affratella un unico dolore.
Ma ho conosciuto un fatto nuovo e inaudito
che rende simile ai fachiri i saggi indiani
e disperata acrobazia il volo dello sciamano,
quando lo vidi tra la terra e il cielo, inoffensivo.
Perché colui che aveva moltiplicato i pani e i pesci
e tramutato l’acqua di bianche brocche in vino
(lo vidi, l’ho bevuto, era asciutto e aspro,
sapeva di terra argillosa e di sole)
e annichilì i farisei e restituì la vista ai ciechi
e riportò Lazzaro dal buio alla luce,
rimase docile di fronte alla croce.
Avrebbe potuto stregarli con una sola occhiata,
rovesciando su loro fiumi di pietra,
ma si lasciò morire come un uomo.
Questo fu il vero miracolo, l’accettazione
della morte, l’amore.
Per
questo non ho bisogno di attendere
che egli risorga e splenda in eterno,
come giurano le donne e i bambini che lo seguirono.
Lo adoro oggi, in questo venerdì di pioggia,/nel giorno e nell’ora della sua morte.”
Roberto Mussapi (Da La polvere e il fuoco, Mondadori 1998)
Questa lunga poesia di Roberto Mussapi che oggi voglio proporti, racconta del tempo che intercorre tra la Passione e la Resurrezione fatto narrare dal poeta all’Evangelista Luca (autore di uno dei quattro Vangeli del Nuovo Testamento). “Uno che ha visto, che ha bevuto l’acqua tramutata in vino, testimone del risveglio di Lazzaro, uno che ha vissuto il Cristo prima della croce. Uno che ha capito il significato dell’amore.” Così Roberto Mussapi commenta la sua poesia in Succedeoggi, web-magazine quotidiano gratuito e indipendente, del 17 Aprile scorso.
Roberto Mussapi è nato a Cuneo nel 1952 e vive a Milano. Tra i volumi della sua vasta produzione poetica ricordiamo: “La gravità del cielo”, Jaca Book, 1983; “Luce frontale”, Garzanti, 1987; “Gita Meridiana”, Mondadori, 1990; “Racconto di Natale”, Guanda, 1995; “La polvere e il fuoco”, Mondadori, 1997; “Antartide”, Guanda, 2000; “Il racconto del cavallo azzurro“, Jaca Book, 2000. È autore di teatro con drammi in versi e in prosa, e ha tradotto, fra gli altri, testi di Stevenson, Melville, Walcott, Heaney e Shelley. Ultimi suoi libri, nel 2007, la raccolta “La stoffa dell’ombra e delle cose”, l’opera teatrale in versi, “Il testimone”, e “Tusitala, il narratore.
In La polvere e il fuoco, raccolta di poesie che comprende Il racconto che udì Luca, che hai letto sopra, Mussapi “tratta dei rapporti tra il molteplice e l’uno, tra il tempo che scorre e ciò che lo oltrepassa, tra viaggio e avventura: propone esempi vari di eroismo e parla di grandi testimoni in un intreccio di culture diverse; appaiono luoghi, figure, fantasmi della memoria, tracce dell’esperienza anche personale, che divengono simili a parvenze mitiche. Purtroppo la raccolta non è attualmente disponibile e noi, lettori curiosi, ci auguriamo che l’autore ne faccia presto un’ulteriore edizione.
Ho scoperto casualmente “Il racconto che udì Luca” e non ti nascondo che mi ha emozionata non poco, mi sono ritrovata in in questa poesia, ho forse ritrovato il mio modo di essere credente, leggendola. Perchè anch’io (e forse anche tu), come Luca e probabilmente come Roberto Mussapi, mi fermo attonita e in adorazione davanti a quel Mistero di Uomo-Dio in Croce.
Il poeta fa parlare l’evangelista Luca, apostolo di Gesù e gli mette in bocca parole di uomo che ha vissuto, che conosce pienamente il mondo e il suo sapere, (ricordiamo che Luca è l’unico dotto, era medico, dei quattro Evangelisti) le sue regole naturali e umane e le sue seduzioni che ha vissuto pienamente e non rinnega. Ma tutto il sapere di Luca, tutta la sua conoscenza, si arrestano e si bloccano davanti al mistero di un Dio in Croce: il Mistero che compie i miracoli dei pani e dei pesci moltiplicati, dell’acqua cambiata in vino, della vista ridonata ai ciechi e della vita ridonata i morti, quello stesso Mistero che avrebbe, con una sola occhiata, potuto fulminare i suoi assassini, si lascia ammazzare come un malfattore. E tutto questo solo per amore. Per questo e solo per questo, “non ho bisogno di attendere che egli risorga e splenda in eterno,/ come giurano le donne e i bambini che lo seguirono./ Lo adoro oggi, in questo venerdì di pioggia,/ nel giorno e nell’ora della sua morte.”
Cara Pina, hai scelto oggi una bellissima poesia. Commuove sia il testo che la tua recensione.. Chiunque oggi, credente o non , china il capo dinanzi a Cristo , crocifisso perché, come tu dici, predicava l AMORE
Grazie Susi, è vero il mistero di un Dio morto per amore, non può non commuovere e far riflettere.