Dalla poesia dialettale siciliana alla poesia universale: la vita e i suoi travagli “cuntati” da un poeta-affabulatore, Ignazio Buttitta e trasformati in poesia.
“Rapi la menti
ca trasi lu suli
e t’asciuca l’umitu
di la ‘gnuranza”
(Letteralmente: Apri la mente/ che entra il sole/ e ti asciuga l’umido/ dell’ignoranza)
Questi versi di Ignazio Buttitta, incontrati casualmente in una delle mie solite passeggiate nel web, mi hanno catapultato in un istante nel passato: ho rivisto una bambina con la piccola mano dentro quella grande e forte del padre, una piazza, una folla di gente, un palco e un uomo sul palco che incantava la folla con le sue poesie. Quella bambina, inutile dirlo, ero io, il poeta come avrai capito, era Ignazio Buttitta. Forse fu allora che cominciai ad amare la poesia, guardando quell’uomo sul palco che con voce possente e occhi fiammeggianti, raccordava gesti e parole e raccontava, affabulava, incantava la folla: narrava di braccianti e padroni, di miseria dei miseri e ricchezza dei ricchi, di mafia, di ingiustizie e di riscatti sociali… e additando uno a caso tra la folla, lo faceva sentire piccolo e investito di grande responsabilità proclamando: “Parru cu tia, / to è la curpa;/ cu tia, mmenzu sta fudda chi fai l’indifferenti / […] / Parru cu tia, / to è la curpa / si porti lu sidduni e un ti lamenti;/ si lu patruni, strincennu li denti /cu lu marruggiu ‘mmanu e la capizza /t’arrimodda li corna e ti l’aggrizza…” (Parlo con te /tua è la colpa;/ con te, in mezzo a questa folla /che fai l’indifferente/ […] Parlo con te /tua è la colpa;/se porti il giogo/e non ti lamenti;/se il padrone, stringendo i denti/col bastone in mano e la cavezza/
ti ammorbidisce le corna e le raddrizza/…).
Quel suo additare era un modo per far svegliare gli animi, per rimarcare quei temi e quelle problematiche sociali che allora, tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, facevano ribollire animi e piazze di proteste, di impegno politico, di rivendicazioni sindacali, di giustizia sociale. E, in mezzo a tutto questo, una bambina che ascoltava affascinata e incamerava ideali che non l’avrebbero abbandonata mai più.
Ignazio Buttitta, nato a Bagheria (Palermo) il 19 settembre 1899 (morto a Bagheria il 5 aprile 1997) è stato uno scrittore di poesie in dialetto siciliano. Autodidatta, ha fatto diversi mestieri: garzone di macellaio, salumiere, grossista di alimentari, rappresentante di commercio. Alla vigilia della “marcia su Roma”, capeggiò nel suo paese una sommossa popolare. Nello stesso anno, 1922, fondò il circolo di cultura popolare “Filippo Turati”. Fino al 1928 fu condirettore del mensile palermitano di letteratura dialettale “La Trazzera”, soppresso dal fascismo. Nel 1943 Bagheria fu bombardata e Buttitta, per allontanare la famiglia dai pericoli della guerra, si trasferì a Codogno (Milano). Durante la permanenza in Lombardia partecipò alla lotta clandestina; fu arrestato due volte dai fascisti. Tornò in Sicilia ma per vivere (aveva già 4 figli), fu costretto a tornare in Lombardia e a fare il rappresentante di commercio. Nel 1960 potè tornare a Bagheria, la sua casa di Aspra, di fronte al mare di Palermo, fu luogo d’incontro per poeti provenienti da tutte le parti del mondo. Buttitta cominciò a pubblicare le sue opere prima della guerra e dopo un periodo di silenzio ufficiale, (le sue poesie continuarono a circolare clandestinamente sotto il fascismo) nel 1954, Salvatore Quasimodo con le illustrazioni di Renato Guttuso, traduce Il pane si chiama pane (Lu pani si chiama pani). La pelle nuova (La peddi nova, 1963) con prefazione di Carlo Levi, La paglia bruciata (1968) con prefazione di Roberto Roversi e nota di Cesare Zavattini, rimangono le sue opere migliori. Seguono: Io faccio il poeta (1972), con prefazione di Leonardo Sciascia che ebbe il premio “Viareggio” e Le pietre nere (1983).
Affrontare la poetica di un gigante come Ignazio Buttitta, non è impresa facile, basti pensare quale fior fiore di scrittori e letterati ha scritto di lui, come hai già letto sopra. Buttitta rappresenta l’anima più popolare della sua Sicilia e il suo scrivere è tutto immagine, metafora, ritmo, canto, “cuntu” e incanto, le sue composizioni più che scritte, sono raccontate: “[…] perchè la poesia va detta e non costretta su una pagina, sigillata in un libro; comunicata da uomo a uomo, da uomo agli uomini, con la voce, con il gesto, con lo sguardo, con le pause, le sospensioni, il respiro, il timbro”. Così scrive nella prefazione di Io faccio il poeta, edizioni Feltrinelli, Leonardo Sciascia ed è quanto Ignazio Buttitta attuava nei suoi libri e nei suoi recital, incantando gli spettatori e comunicando vita attraverso la sua poesia.
In lui si è incarnata la radice popolare della poesia: la poesia che da voce a chi non ce l’ha, una poesia che diventa problema e denuncia, una poesia che sveglia le coscienze quando afferma: “A Sicilia nun havi cchiu nomi/ ne casa e paisi/ havi figghi spartuti pu munnu/sputati comu cani,/ vinnuti all’asta/ surdati disarmati/ chi cummattunu chi vrazza/” (La Sicilia non ha più nome/ ne casa e paese/ ha figli sparpagliati per il mondo/ sputati come cani,/venduti all’asta/ soldati disarmati/ che combattono con le braccia/).
Un’altra autorevole voce, invece, Carlo Levi, lo fa uscire dagli schemi isolani del popolare e lo consacra poeta nazionale quando afferma nella prefazione di “La peddi nova” edito da Feltrinelli: “[…] Buttitta è uscito dal limite del paese, dalla gloria di Bagheria; tradotto in italiano da Quasimodo, tradotto in francese e in molti altri paesi, recitante con la sua voce di ferro i suoi poemi al pubblico di Mosca e della Siberia“.
Ho voluto riportare ciò che personalità di grande calibro hanno scritto di lui, perchè nel mio vissuto, Ignazio Buttitta, resta quel personaggio avvolto di aurea quasi magica che ho visto da bambina, sopra il palco, nella piazza del mio paese. Un poeta che, alla richiesta di una dedica sui suoi libri, prima scrutava a fondo chi aveva davanti, quasi a farne una radiografia, poi, personalizzava la dedica e, non so come, trovava sempre le parole che individuavano alla perfezione il destinatario, pur non avendolo mai visto prima (ti mostro nella foto la dedica personale che Ignazio Buttitta fece nel 1979 ad un poeta mistrettese, allora alle prime armi, anzi ai primi versi).
Un poeta Buttitta che, affascinando il pubblico, sembrava parlasse al cuore di chi ascoltava, dicendo cose buone e giuste, accendendo gli animi di valori eterni. Erano altri tempi è vero. Erano i tempi in cui le coscienze sensibili recepivano, incameravano e traducevano in proteste giuste e legittime, decenni di sudditanza, sopraffazione, di servilismo e ingiustizie, in Sicilia più che altrove. Non so dove siano finite le coscienze sensibili di allora, forse si rilassano fra salotti e conferenze o fra party di vario tipo e nessuno pensa più, neanche larvatamente, a fare della poesia un’arma di giustizia nelle piazze del mondo. Altri tempi, altra vita, altri poeti, altre coscienze, (e tu scusami, caro lettore, se mi è venuta ‘sta botta di nostalgia, sarà l’età…) ora tutto è uniforme, forse anche la poesia e la stessa vita.
“Chi mi cuntati?/ Io u pueta fazzu […] caminu supra i negghi,/ leggu ‘nto celu,/ cuntu li stiddi,/ parru ca luna:/ acchianu e scinnu […] sugnu un ghiardinu ri ciuri e mi spartu a tutti;/ una cassa armonica e suonu pi tutti;/ un agneddu smammatu/ e chianciu pi tutti agneddi smammati./ Chi mi cuntati?/ io u pueta fazzu…” (Che mi raccontate?/ Io il poeta faccio/ […] cammino sulle nuvole,/ leggo nel cielo,/ conto le stelle/ parlo con la luna:/ salgo/ e scendo […] Sono un giardino di fiori/ e mi spartisco a tutti/ una cassa armonica/ e suono per tutti;/ un agnello svezzato/ e piango per tutti gli agnelli svezzati./ Che mi raccontate? Io il poeta faccio…).
E mentre lui continuerà per sempre ad incantare i suoi lettori e chi lo apprezza, a riprova del fatto che un vero poeta è senza tempo e latitudine, io, ti rinnovo l’appuntamento per il prossimo venerdì di poesia.