Un uomo che arriva da lontano con in tasca sogni da coltivare e tradurre in poesia: dal Mali all’Italia o dovunque c’è umanità assetata di giustizia. Poesia come denuncia per Soumaila Diawara.
Mi sono imbattuta casualmente nella pagina social di Soumaila Diawara: io, vagabonda passeggiatrice del web, con il pallino poetico, a caccia di notizie sfiziose o insolite da tradurre in articoli per questa rubrica che tratta di poesia in ogni suo aspetto, non potevo certo passare oltre, visionando la sua pagina FB. La logica conseguenza? Un’intera mattinata a cercare di saperne di più per tentare di conoscere meglio Soumaila Diawara, di comprendere chi è, di capire come scrive e perchè scrive… ebbene si, la mia è cuorisità, si, ma non fine a se stessa: in un autore che mi suscita interesse, ritrovo spesso affinità che coincidono con il mio modo di concepire la scrittura e poi, mi piace scoprire i motivi che lo inducono a tradurre in poesia la propria interiorità. Pensi che sono contorta? Forse si, un pochino.
La sua storia quasi un refrain di tante altre…
Soumaila Diawara è africano, nato nel Febbraio 1988 a Bamako, Mali, dove ha conseguito la laurea in Scienze Giuridiche con una specializzazione in Diritto Privato Internazionale. All’età di tre anni, per motivi familiari, va a vivere con la nonna, attivista del primo movimento femminista del Mali. Il periodo universitario lo vede impegnato in politica e parte attiva di movimenti studenteschi a fianco della società civile. Terminati gli studi, si inserisce definitivamente in politica entrando nel partito di opposizione Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance (SADI) e ricopre l’incarico di guida del movimento giovanile. In questo periodo viaggia in vari paesi: Africa, America Latina, Europa e Canada con l’intento e la speranza di contribuire alla lotta per la liberazione del suo paese dall’imperialismo occidentale. Diventa responsabile della comunicazione del suo partito, in collaborazione con la Sinistra Maliana e con l’Organizzazione della Sinistra Africana (ALNEF). Accusato ingiustamente, insieme ad altri, di un’aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa, nel 2012 è stato costretto ad abbandonare il Mali. Molti dei suoi compagni di lotta politica sono stati condannati a morte, a seguito delle accuse, altri, pochi sopravvissuti sono stati costretti a fuggire dal paese. Soumaila Diawara è diventato un rifugiato per forza e per necessità, uno dei tanti profughi che nelle traversate dentro i barconi della di-speranza, cercano futuro e sogni da realizzare in terra libera, seguendo le rotte dell’attuale fenomeno migratorio, partendo dalla Libia e spesso incontrando la morte in mare. Grazie al salvataggio di una nave della Marina Militare, giunge in Italia nel 2014 e ottiene la protezione internazionale come rifugiato politico, tuttora attiva.
Mia nonna faceva parte del primo movimento femminista del Mali. Sono cresciuto con questa educazione e formazione politica. Per me è un dovere civico combattere un sistema che oggi non va bene né per gli africani né per gli occidentali. Ovunque sarò, continuerò la mia lotta politica contro il sistema capitalista. […] Questo quanto racconta di se Soumaila Diawara, in un’intervista, testimonianza viva di come il senso di giustizia è insito nei suoi cromosomi fin più dalla tenera età.
Ed è probabilmente da questo forte senso interiore di giustizia e libertà che nasce il bisogno di scrivere, di tradurre in parole o in poesia il suo sogno più grande o la sua sete di umana equità.
All’inizio era un modo per denunciare, come facevo in Mali, la situazione politica africana. Poi i miei amici mi hanno incoraggiato a pubblicare i miei pensieri. Inizialmente, ero titubante ma poi mi sono detto che forse le persone sono interessate a leggere ciò che scrivo. E così, una volta che ho raccolto tutto il materiale ho scritto questo libro che è una raccolta di poesie. Ma quando mi chiedono che tipo di poesie sono gli dico che le mie sono diverse, sono politiche, non siete abituati a sentirle.
La raccolta a cui fa riferimento Soumaila Diawara, pubblicata in self-publishing, è quella di cui voglio parlarti oggi, caro iCrewer, il cui titolo, Sogni di un uomo, richiama certamente ai sogni dell’autore ma, nello stesso tempo, diventa emblema dei sogni di tutti coloro che al di la della provenienza, del colore della pelle, dell’istruzione o dei soldi che possono o meno ritrovarsi in tasca, sono: Consapevoli della stessa valenza/ che hanno gli altri./ Del loro stesso sangue rosso./ Delle loro differenze./ Dei loro usi e valori,/ derivati da una nascita/ non da loro programmata./ Da’ vita a loro ed avrai esistenza./ […] (da Sogni di un uomo, Mio nonno).
La poesia come denuncia…
Sogni di un uomo è una raccolta di poesie insolite, espresse in versi liberi, con linguaggio semplice ma incisivo, in certi passaggi forse poco poetico, inconsueto tanto da sembrare più prosa che poesia ma che ugualmente arriva dritto al cuore e alla sensibilità di chi legge. Diviso in cinque parti, dalla rivolta interiore del primo capitolo, all’accusa per gli occidentali che confinano i migranti a ruoli di subalternità, il libro è un appello all’uomo, in quanto essere umano fatto dello stesso sangue rosso, affinchè in unione con i suoi simili, realizzi un’uguaglianza che non conosca colori o latitudini, nel mondo. Al tempo stesso, Soumaila si rivolge agli stessi migranti, perchè sappiano prendere consapevolezza delle ingiustizie subite e reagire.
Soumaila individua nelle guerre e nella povertà, prodotti del sistema capitalista, i veri motivi alla base dei flussi migratori. Così come i veri colpevoli del clima razzista diffuso nel nostro paese sono i politici. “Non si può parlare di barriere nel momento del bisogno” perché i migranti non sono un pericolo ma uomini come noi.
“Così tanto da usarlo, il noi./ senza ritegno alcuno/ nel giustificare atti e fatti,/ che a volte vanno oltre l’orrore./ Il noi è il plotone di esecuzione;/ dieci fucili per un corpo./ Dieci pallottole per togliere una vita./Il Noi toglie il rimorso. Giustifica il male./ Noi dell’Italia./ Noi del Sud./ Noi Maliani./ Noi Africani./ […] Noi, che viviamo, siamo./ Esistiamo./ Noi, non siamo diversi da voi./ Respiriamo, abbiamo progetti./ Vorremmo essere felici./ Noi siamo come voi/e vediamo voi,/chiunque siate./Noi, siamo il popolo della terra./ Uomini, donne e bambini./Adulti ed anziani. E non abbiamo muri, ma cuori.” (da Sogni di un uomo, E’ piacevole il suono del noi).
Sogni di un uomo è la prima raccolta di versi di Soumaila Diawara, la seconda La nostra civiltà, “si concentra su tematiche spesso imposte nella nostra società come la religione, la politica, il denaro. C’è una parte in cui critico l’ipocrisia della politica italiana.”
Un uomo, giovane ma che ha già conosciuto e visto passare sulla sua pelle le ingiustizie del mondo, un uomo che conosce il dolore e la rabbia dell’emigrazione e dell’emarginazione; un uomo informato, istruito, cosciente e con gli occhi bene aperti sulle realtà politiche dei governi mondiali e dei loro traffici giocati sulla pelle dei più deboli; un uomo che sogna giustizia, riscatto ed equità per tutti; un uomo con un anelito profondo di uguaglianza esteso ad ogni essere umano sfruttato e calpestato sia egli nero, bianco, giallo o rosso: questo è Soumaila Diawara e noi, occidentali adagiati sulle nostre false certezze e sulla sicurezza dei nostri piccoli orticelli, coltivati a diffidenza e indifferenza, abbiamo tanto da imparare dai suoi 31 anni carichi e densi di vita spesa a stimolare una presa di coscienza per costruire, insieme, giustizia sociale e libertà.