Tutto è cominciato da un aforisma, quello che hai letto sopra: C’è qualcosa dentro di te che nessuno ti può toccare né togliere, se tu non vuoi. Si chiama speranza! Un aforisma neanche tanto celebre, volendo, incontrato per caso in una delle mie solite passeggiate per il web. E, come di rito, parto da una frase e arrivo lontano (se nel frattempo non mi perdo per strada): la frase è tratta da un famoso film del 1994 (anche lui temporalmente lontano, si vede che oggi è giornata di memorie…), Le ali della libertà di Frank Darabont… Tranquillo, non ho dimenticato che questa è una rubrica di poesia, siamo sempre in zona e anche se ti sembra improbabile adesso mi spiego meglio e ci arriviamo.
In perfetto clima pre-natalizio, te ne sarai accorto dalle mille decorazioni che invadono strade piccole e grandi di paesi piccoli e grandi o di case piccole e grandi, quel periodo particolare che la Chiesa chiama Avvento e l’avvento è attesa, anzi attesa di venuta. Anzi di Venuta con la V maiuscola. In perfetto clima pre-natalizio dicevo, si attende. Da duemilaediciannove anni si attende ogni anno, credenti o meno, la nascita di un bimbo in una stalla che ha segnato la storia, non solo quella religiosa ma anche quella laica: un Nadir che include uno Zenit per l’umanità intera. Credente o meno. Avvento è attesa dunque, ma Avvento è anche speranza e la speranza, oltre ad essere una virtù teologale come recita il Catechismo, è il motore che spinge l’uomo ad andare avanti, a guardare oltre, ad immaginare un futuro umanamente migliore e non solo. La speranza è anche fede nell’oltre: laddove la vicenda umana fustiga le aspettative o le aspirazioni, sperare che oltre questo limitato passaggio temporale, in questa minuscola parte di universo, ci sia altro ad attenderci, non è favola bella per bimbi scemi o aspirazione all’aureola di santità in terra o, ancora, magra consolazione per vite frustrate: è semplicemente affidarsi, fidarsi, darsi e con certezza assoluta sperare.
Per tutto questo, quando mi sono imbattuta casualmente (il caso esiste davvero nell’ottica di Dio?) nei versi di David Maria Turoldo, ho pensato: “Ecco, ho trovato l’argomento natalizio del prossimo appuntamento con la rubrica di poesia, la speranza!” E collegandomi all’aforisma iniziale penso che davvero mai niente e nessuno, se non la nostra stessa sfiducia, possa privare l’uomo del grande dono della speranza.
Parliamo di un prete, David Maria Turoldo, ma un prete sui generis, un prete in lotta, uno di quelli di frontiera che non ha temuto di dire verità scomode per la stessa Chiesa di cui faceva parte, uno di quei preti sull’onda di Cristo, il primo che non le ha di certo mandate a dire a nessuno. Prete e uomo di grande sensibilità, in lotta contro le ingiustizie, senza nessun compromesso con il potere: ribelle, impetuoso, drammatico, fedele. Ribelle, nel senso nobile del termine; impetuoso, nelle sue reazioni e atteggiamenti; drammatico, per le sue vicissitudini; fedele in tre sensi, a Dio, alla sua vocazione, alle sue origini.
Teologi e chiesasti, pulite (o complicate) quanto volete la fede, ma lasciatemi credere./ Cristo non è una cavia o un sistema; è l’evento dentro e oltre i fatti./ E, distrutto, sempre si ricompone dalla sua e nostra morte, per la sua e nostra risurrezione… (da O sensi miei)
Se già non lo conosci, ti riporto brevemente il suo profilo biografico: nato in Friuli nel 1916, entrò fin da giovanissimo a far parte dell’Ordine dei Servi di Maria. Ordinato prete nel 1940, partecipò attivamente alla Resistenza. In seguito collaborò con don Zeno Saltini nell’esperienza di Nomadelfia. Fondatore con padre Camillo De Piaz della Corsia dei Servi, a Milano. Spirito libero e profetico, conobbe anche un periodo di “esilio” a Londra, a seguito delle pressioni della curia vaticana sui suoi superiori. Sull’onda dell’esperienza conciliare del Vaticano II, si trasferì a Sotto il Monte (paese natale di Papa Giovanni XXIII), presso il priorato di S. Egidio, dove fondò e diresse il Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII. Dopo una lunga malattia, morì nel 1992.
Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile, di poesia. Della sua vastissima produzione poetica segnaliamo due raccolte di versi: Il sesto angelo (poesie scelte – prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano 1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993. Tra le opere di carattere religioso segnaliamo: La morte ha paura; (con Bartolomei e Levi) Dialogo sulla tenerezza; Lettere dalla casa di Emmaus; La parabola di Giobbe, Il mio amico don Milani; Colloqui con papa Giovanni, tutti edite dalla casa editrice Servitium, Sotto il Monte. Il Diavolo sul pinnacolo, Cinisello Balsamo, Paoline. Tra le traduzioni, si distinguono I Salmi, Dehoniane, 1973. Ha pubblicato anche un libro di narrativa: … e poi la morte dell’ultimo teologo, Torino, Gribaudi, 1969.
La fertile (fino agli ultimi giorni della sua vita) produzione poetica, riconosciuta da critici e lettori come emblematica della poesia italiana contemporanea, soprattutto religiosa, fece dire a Carlo Bo, rettore universitario e critico letterario: “Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni.” David Maria Turoldo fu soprattutto un cantore della Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse, passando per i Salmi che riprese in poesia e con un’attenzione particolare per alcuni testi poetici del Cantico dei Cantici e del libro di Qoelet. Il cardinale Gianfranco Ravasi, con il quale collaborò, ebbe a dire di lui che scopo e ragione d’essere della sua poesia è stato quello di far cantare la Parola divina, esterna a lui, donata, di cui la sua possente voce, da cattedrale o da deserto, era solo conchiglia ripiena.
Fra le sue opere, il brano che mi “ha trovata” (e lo scrivo senza timore di apparire fatalista o estremamente credulona perché, “razionalmente”, sento profondamente che mai nulla avviene per caso) e che voglio proporre alla tua attenzione oggi, tempo di avvento e di speranza, ha un titolo esplicito: Ballata della speranza, è incluso nella raccolta Il sesto angelo del 1976. Non farti scoraggiare dalla lunghezza, se ami la poesia vale la pena leggerlo…
Tempo del primo avvento/ tempo del secondo avvento/ sempre tempo d’avvento:/ esistenza, condizione/ d’esilio e di rimpianto./ Anche il grano attende/ anche l’albero attende/ attendono anche le pietre/ tutta la creazione attende./ Tempo del concepimento/ di un Dio che ha sempre da nascere/ […] Avvento, tempo di solitudine/ e tenerezza e speranza./ Oh, se sperassimo tutti insieme/ tutti la stessa speranza/ e intensamente/ ferocemente sperassimo/ […] Lui solo sperassimo;/ […] e sperassimo con tutti i disperati/ […] se la terra fosse un solo/ oceano di speranza/ e la speranza avesse una voce sola/ […] tutti insieme/ affamati malati disperati,/ e quanti non hanno fede/ ma ugualmente abbiano speranza/ e con noi gridassero/ astri e pietre,/ purché di nuovo un silenzio altissimo/- il silenzio delle origini -/ prima fasci la terra intera/e la notte sia al suo vertice;/ […] quando si farà questo/ disperato silenzio/ e stringerà il cuore della terra/e noi finalmente in quell’attimo dicessimo/ quest’unica parola/ perché delusi di ogni altra attesa/ disperati di ogni altra speranza,/ […] certi che non vale chiedere più nulla/ ma solo quella cosa/ […] in nome di tutto il creato […] VIENI VIENI VIENI, Signore/ VIENI da qualunque parte del cielo/ o degli abissi della terra/ o dalle profondità di noi stessi/ (ciò non importa) ma vieni,/ […] Vieni Signore Gesù,/ vieni nella nostra notte,/ questa altissima notte/ la lunga invincibile notte,/ e questo silenzio del mondo/ dove solo questa parola sia udita;/ e neppure un fratello/ conosce il volto del fratello/ tanta è fitta la tenebra;/ […] quando appunto Egli dirà/ ecco, “già nuove sono fatte tutte le cose”/ allora canteremo/ allora ameremo/ allora allora…
Se hai avuto la curiosità, il piacere e la pazienza di leggere questa lunga Ballata della speranza che, fra l’altro, ho accorciato di molto, ti sarai fatto un’idea di ciò che è stato David Maria Turoldo, del suo essere prete, teologo, scrittore, poeta e uomo che ha “usato” la poesia come richiamo, come forza per scuotere gli animi. La ballata è una lunga riflessione che parte dal tema cristiano dell’Avvento e assume via via una dimensione cosmica, dove la nascita e il ritorno di Cristo, viene vista come momento catartico, di ricapitolazione, di riconciliazione universale e di liberazione. Nel frattempo, nell’attesa speriamo. E sperare costa molto. Troppe volte siamo attratti ed ingannati da altri immagini, da altre prospettive, da altre priorità, dimenticando l’essenziale, il fine ultimo per cui siamo stati chiamati alla vita.
Il Natale è l’idea di un Dio che si fa uomo, piccolo, povero, bambino, per consentire agli uomini di capire quanto siano amati e pensati fin dalle origini, è l’inizio di una storia eterna che regala la scalata al cielo, è l’irrompere nella storia del futuro, un futuro da costruire, da attendere, da sperare in ogni istante, al di là di ogni di-speranza.
Buon Natale a tutti… E buona speranza.