Pirandello, se fosse qui, il suo “ironico pessimismo” non riuscirebbe certo a nasconderlo. Per un attimo l’ho immaginato seduto su una panchina, pensieroso, guardarci perplesso con sguardo di disapprovazione o di grande amarezza, probabilmente entrambi.
Che delusione constatare che, pur a distanza di quasi un secolo, gli uomini non sono cambiati.
Mi sembra quasi di sentirlo. Mi avvicino alla sua panchina, Pirandello è seduto lì, lo guardo e abbasso gli occhi, vorrei dirgli che non è vero, ma non sarebbe la verità. Mi viene da rispondere…
“Lo so, avresti voluto fossimo più consapevoli, meno intrappolati o claustrofobici, per usare un termine che usi spesso, ma la realtà che viviamo non ci concede poi di essere sempre quelli che vorremmo, anche se questo, lo riconosco, non depone a nostro favore”.
Mi guarda con una strana luce negli occhi,
“Cara sai cosa sto pensando? Che il mio modo di vedere gli uomini e la vita è ancora di una modernità agghiacciante anzi, per alcuni aspetti, l’apparire, il vostro nascondersi dietro” le maschere” è diventato il pane quotidiano, quasi un modus vivendi ed è un vero peccato.”
Il suo, ora è un “sorriso ironico”, quasi di rassegnazione ma sento che tanto avrebbe ancora da dire. Mi sono chiesta, allora, se non sia il caso di ascoltarlo, capire meglio il suo pensiero, in fondo la letteratura, lo scrivere, il teatro, sono stati il suo personale modo di interpretare la mutevolezza dell’uomo e la sua realtà. Quasi percependo i miei pensieri inizia a parlare.
Pirandello, la biografia
“La mia vita è stata particolare. Sono nato nella seconda metà del ‘800 in un paesino vicino Agrigento chiamato Caos. Su questo ogni tanto mi capita di scherzare, “il figlio del caos”. Comunque, nonostante la giovane età ho respirato insieme ai miei genitori un’aria di grande partecipazione agli eventi politici del mio periodo. Nel ’87 mi sono iscritto alla facoltà di lettere a Roma e, successivamente, mi sono laureato in Germania con una tesi sul dialetto di Agrigento. Una volta ritornato a Roma ho cominciato a collaborare con alcune riviste e nel 1901 ho pubblicato L’Esclusa e l’anno dopo Il turno.
Nel 1903, purtroppo, la miniera dei miei genitori si allagò e cominciarono i problemi economici, non solo, mia moglie cominciò a dare i segni di una grave malattia mentale tanto da doverla ricoverare in una casa di cura fino alla sua morte. Riconosco che queste condizioni hanno condizionato le mie opere anzi, le difficoltà economiche mi hanno poi spinto ad intensificare l’attività di scrittore.
Nel 1904, ho scritto il mio primo romanzo Il Fu Mattia Pascal, a distanza di due anni, ho pubblicato I vecchi e i giovani e nel 1911 Suo marito e Quaderni di Serafino Gubbio operatore nel 1915.
Quando arriva il successo internazionale?
A parte i romanzi, è il teatro che mi porta le gratificazioni maggiori, anche se la prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca d’autore non andò poi cosi bene anzi, fu un fiasco. Nel 1921, infatti lo spettacolo si spostò a Milano ed è stato davvero un grande successo. Ottenere nel ‘34 il Nobel, lo ammetto , è stato emozionante. Comunque, ho continuato a scrivere, ho pubblicato Novelle per un anno e nel 1926 è uscito il mio ultimo romanzo: Uno nessuno e centomila. Il resto è storia lasciata alla fine di ogni mia biografia.
Quanta vita maestro…
Sì, ho seguito le mie attitudini anche se scrivere,in qualche modo è stato un gioco, un modo per smitizzare la realtà.
Può spiegare meglio?
Sai, mi dice lo scrittore, ho sempre avuto una personale visione del mondo e della letteratura, se dovessi identificarla la definirei pessimistica. Ti spiego. C’è un forte rapporto tra la vita e la “forma“. Nonostante sia in continuo divenire, la vita è come bloccata da un destino che la intrappola modificandola continuamente, senza pace. Io l’ho definito Relativismo psicologico.
Cosa significa?
L’uomo non è libero, si ritrova per Caso intrappolato dalle regole precostituite della società che, tuttavia, accetta spesso per pigrizia o per convenienza, senza avere il coraggio di rifiutarle. Suo malgrado è costretto ad indossare maschere che, in qualche modo si trasformano nell’unico punto fermo per continuare a vivere una vita sociale ed evitare i pregiudizi. Questo comporta l’incapacità dell’uomo di comprendere la sua identità ma soprattutto gli altri.
Perché Pessimistica?
Accade, alcune volte, che l’istinto prenda il sopravvento sulla razionalità e allora la maschera si rompe, alterando equilibri già precari. In quel momento si avverte un senso di libertà ma è una sensazione fittizia. Il nuovo modo di vivere, pur essendo diversa dalla precedente, intrappola l’uomo in un’altra Forma. L’istinto lo spingerebbe a tornare indietro ma anche la realtà è ormai mutata. Un contrasto che porta l’uomo ad un fallimento continuo.
Signor Pirandello, lei comunque afferma che, una volta scoperto questo contrasto, l’uomo è spinto a reagire, in che modo?
Sì, è vero. quando l’uomo non riesce a ribellarsi o è deluso dalla nova Forma di vita può reagire in modo passivo. Un esempio lo puoi trovare nel mio primo romanzo Il fu Mattia Pascal: Mattia alla fine, guarda rassegnato se stesso come fosse un estraneo, diviso tra chi vorrebbe essere e la vita che, invece, è costretto a vivere. C’è chi invece, accettando la maschera sta al gioco assumendo un atteggiamento ironico, aggressivo, polemico. La terza reazione è quella drammatica, di chi non riesce ad adattarsi, a non sorridere alla vita, la non rassegnazione che porta inevitabilmente alla morte.
Il continuo mutare, quindi, porta l’uomo a non riconoscersi in una vera identità è così?
Sì, se vogliamo semplificare, il concetto è questo. Al di là dei contrasti con la società, è il continuo ribellarsi dell’istinto a impedire che l’uomo conosca davvero se stesso. Uno nessuno e centomila è il romanzo che spiega bene questo concetto. Nel suo continuo mutare, l’uomo è uno perché è ciò che ritiene di essere, è nessuno poiché incapace di costruire una personalità definita, infine centomila perché ognuno lo vede in maniera personale e ad ognuno offre una maschera di se diversa.
Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti…
Mi viene spontaneo chiedergli…
Ma Maestro, ci sarà un rimedio per superare le difficoltà, non farsi fagocitare dal sistema!
Mi giro distratta verso la panchina ma non c’è più, mi guardo intorno, perplessa e penso che Pirandello a questa domanda avrebbe risposto con la sua proverbiale ironia, consigliandoci di guardare la vita con filosofia, smitizzando ma soprattutto accettando l’incapacità dell’uomo di essere se stesso. L’unico modo per dare un senso alla realtà è cambiare atteggiamento davanti alla negatività del mondo, applicare come una medicina la sua teoria dell’Umorismo, bada bene lui non parla di comicità ma di quel sentimento al contrario che ti fa guardare la tragicità del mondo con il sorriso, anche se amaro.