Veleno di Saneh Sangsuk è stata una lettura spiazzante, lo ammetto. Credo di poter ricondurre questa sensazione principalmente a due motivazioni, entrambe di carattere personale: questo è stato il mio primissimo approccio alla letteratura thailandese, quindi è probabile che mi mancasse qualche nozione di base su opera e autore (che ho cercato di recuperare a lettura conclusa, ma sento ancora il bisogno di approfondire). Inoltre l’opera è un racconto che si svolge nel giro di una cinquantina di pagine, e ammetto di trovarmi a mio agio con lavori dal respiro più ampio.
Ciò non toglie che leggere Saneh Sangsuk, considerato tra i maggiori autori thailandesi contemporanei, sia stata una bella esperienza.
L’autore ha iniziato a pubblicare con lo pseudonimo di Dan-arun Saengthong già durante gli anni dell’università, mentre studiava lingua e cultura inglese. Anche per questo, forse, il suo stile è profondamente influenzato dagli scrittori occidentali che preferisce: Oscar Wilde, Juan Ramón Jiménez, Franz Kafka, e James Joyce. Chi conosce le sue opere afferma che si possano riconoscere delle similitudini con la cultura letteraria occidentale nei temi, mentre lo stile sia marcatamente thailandese.
In un’intervista al Bangkok Post Saneh Sangsuk afferma di ritenere lo stile quasi più importante rispetto alla trama, soprattutto perchè considera la lingua thailandese come bellissima, musicale e ricca di potenzialità.
Veleno, in thailandese Assorapit (อสรพิษ), è stato pubblicato nel 2000 ed è stato in lizza per alcuni premi letterari – ne è anche stato tratto un film. Tuttavia, a consacrare a livello internazionale la fama di Saneh Sangsuk è stato il romanzo L’ombra bianca, di cui però non ho trovato traduzioni italiane. A questo proposito, Veleno stesso, pubblicato in italiano dalla casa editrice Archinto, è stato tradotto a opera di Anna Morpurgo non dal thailandese, ma dalla traduzione francese.
Di cosa parla questo racconto?
Il protagonista del racconto è un bambino di una decina d’anni, che vive nelle campagne della Thailandia. La sua vita è semplice: ha finito la quinta elementare, quindi ora passa le giornate portando al pascolo le otto mucche della sua famiglia – che adora e a cui ha potuto dare un nome. Ha una fantasia molto attiva, tanto che il suo gioco preferito è dare vita a intensi spettacoli di marionette, in cui si esibisce recitando brani poetici che ha mandato a memoria con fatica e facendo danzare pupazzetti di fortuna.
Ed è proprio durante uno di questi pomeriggi di narrazione, che la sua vita cambia per sempre.
Veleno di Saneh Sangsuk: la mia recensione
La speranza con cui il ragazzino guarda al futuro, deciso a diventare il miglior burattinaio di sempre, riuscendo nell’impresa anche a discapito delle sue condizioni fisiche. Lo sguardo di dolcezza che rivolge alle mucche, fide compagne di tutti i giorni e che, a loro modo, cercano di stargli accanto anche nel momento del bisogno. Il timore e la diffidenza che prova nei confronti di Songwât, un ciarlatano che si spaccia per medium dello spirito della Madre Sacra, che è riuscito ad abbindolare tutti gli abitanti del villaggio, ma che il padre del bambino osteggia apertamente.
E poi la paura, cieca e feroce, di quel grande serpente che gli si avvinghia intorno, che lo stringe nelle sue spire. Il desiderio di chiedere aiuto, senza però riuscire a pronunciare nemmeno una parola, e contemporaneamente il non voler disturbare gli altri con i propri bisogni.
In uno stile quasi da fiaba, descrittivo ma non eccessivo, Saneh Sangsuk narra una vicenda che io ho trovato davvero molto triste, in cui si sottolinea il peso del pregiudizio sulle azioni degli uomini. Basta che una voce autorevole ordini di non fare un’azione, adducendo a una – discutibile – spiegazione, perchè nessuno muova un dito, nessuno eserciti una sana dose di scetticismo e scelga di agire di propria volontà.
A questo proposito, mi ha fatto riflettere il fatto che l’autore non si rivolga mai al ragazzino per nome, mentre del santone ci dica sia il modo in cui veniva chiamato prima, sia come preferisce che ci si riferisca a lui ora. Mi è sembrato quasi essere un altro modo per sottolineare l’importanza, in quel contesto, della figura carismatica, a scapito di una voce giovane e innocente.
Avrei molto gradito la presenza di un piccolo glossario, che spiegasse i termini thailandesi che sono stati semplicemente traslitterati e di cui probabilmente non esiste un corrispettivo italiano – forse adottare la soluzione della perifrasi avrebbe interrotto il flusso della narrazione. Anche la copertina, personalmente, non mi fa impazzire, sebbene sottolinei inequivocabilmente uno degli eventi salienti della trama.
In conclusione, Veleno di Saneh Sangsuk è stato per me una piacevole introduzione alla letteratura thailandese, che spero di poter approfondire in futuro.