Il romanzo di cui parleremo oggi è Parole dall’Oriente è una lettura perfetta per gli amanti dei libri, tanto più che le scene salienti prendono vita proprio tra gli scaffali di una biblioteca. Sto parlando di Finchè non aprirai quel libro, dell’autrice Michiko Aoyama, tradotto da Daniela Guarino e pubblicato da Garzanti.
Come sempre, iniziamo con due parole sulla scrittrice, Michiko Aoyama, nata nel 1970 ad Aichi, in Giappone. Dopo la laurea, si è trasferita in Australia, dove ha lavorato come giornalista. È stato soltanto una volta tornata in patria che ha iniziato a lavorare in campo letterario ed editoriale. Finchè non aprirai quel libro, il cui titolo originale è Osagashimono wa toshoshitu made (お探し物は図書室まで, che potrebbe essere tradotto con qualcosa di simile a “Ciò che cerchi è in biblioteca”) è stato pubblicato nel 2020 e è stato nominato per il premio letterario Honya Taisho nel 2021.
Ciò che cerchi si nasconde nello scaffale più inaspettato
Perchè è questo che fa la signora Komachi, la bibliotecaria: ascolta, consiglia una lista di titoli in tema e poi, come se ci avesse pensato in un secondo momento, alla fine del foglio aggiunge sempre un libro che sembra non centrare nulla, ma che si rivela essere indispensabile, che finisce per essere proprio la boccata d’aria di cui il protagonista della vicenda aveva bisogno.
Finchè non aprirai quel libro di Michiko Aoyama: la mia recensione
Quando ho deciso di iniziare questa lettura ero in parti uguali entusiasta e scettica. Entusiasta perchè si prospettava un’opera di quelle che più mi piacciono, ossia un libro che parla di libri; scettica perchè avevo paura che si trattasse di qualcosa di molto meno profondo di quanto presentato. E invece Finchè non aprirai quel libro di Michiko Aoyama ha finito per conquistarmi.
Ho davvero apprezzato la possibilità di calarmi nel quotidiano di più di un personaggio, e di come la scelta di età e professioni abbia permesso all’autrice di toccare un gran numero di tematiche importanti. Si parla, infatti, di quanto possa essere difficile prendersi cura di se stessi, quando sembra di continuare a vivere per inerzia. Si parla della difficoltà di muovere i passi necessari per far diventare un sogno realtà e, nel mentre, di iniziare a ragionare con “avrò” e non “non ho”.
Si parla della difficoltà di essere una donna che ha scelto di diventare madre, di come il peso del mondo sembri ricadere sulle proprie spalle, e di come questo peso possa alleviarsi grazie a un cambio di prospettiva. Si parla del desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, anche solo un angolino in cui sentirsi accettati. Si parla dello sforzo necessario per reinventarsi, quando sembra che un percorso sia proprio giunto al termine.
Trattandosi di argomenti di rilievo ma comuni nella vita quotidiana, penso che Michiko Aoyama ci dia la possibilità di riflettere, di immedesimarci in uno o più di questi personaggi, in modo da sentir risonare la nostra storia nelle pagine e, chissà, trovare qualche scintilla d’ispirazione insieme a loro. Personalmente, mi sono sentita particolarmente vicina a Tomoka, Ryō e Hiroya, anche se il mio personaggio preferito è probabilmente la bibliotecaria.
Seduta alla scrivania, impegnata nella realizzazione di piccoli pupazzetti di lana cardata, la signora Komachi è sempre pronta ad ascoltare le richieste degli avventori, a donare loro un po’ di gioia, a consigliare proprio il libro che avevano bisogno di leggere, ma che probabilmente non avrebbero mai scelto di propria volontà. Essendo lei, poi, la maggiore costante in tutti i racconti, è anche possibile vedere come cambi atteggiamento a seconda della persona a cui si sta rivolgendo, a volte più incoraggiante, a volte più dolce, ma sempre comprensiva.
Michiko Aoyama è stata in grado di mantenere uno stile scorrevole e piacevole, pur caratterizzando con qualche sfumatura particolare la voce di ogni narratore. Certo, avrei preferito che non rimanessero tutti così sconvolti dall’aspetto della signora Komachi, ma credo che per me la sensazione di disagio sia stata legata al ripetersi di questa descrizione, con termini abbastanza simili, ogni qual volta un nuovo personaggio veniva introdotto (ma alla fin fine, era pur sempre la prima volta che quell’individuo specifico faceva la conoscenza della bibliotecaria).
Ho davvero apprezzato anche le faccettature del Giappone che Michiko Aoyama ha inserito nel romanzo: non solo mondo di tecnologia e avanguardia, ma anche Paese con una marcatissima differenza di servizi e possibilità tra campagna e città; luogo con, in qualche caso, ritmi di lavoro quasi insostenibili; in cui convivono una forte tendenza alla comunità, e il pericolo di cadere in una crepa e venire dimenticati.
La cover non è male, anche se ho l’impressione che, un po’ come il titolo, sia stata scelta per ricalcare l’idea che ci siamo fatti dei romanzi giapponesi, piuttosto che questa storia in particolare. Ho però molto gradito l’inserimento, alla fine del romanzo, della lista di titoli che sono stati citati nelle varie storie.
Per concludere, mi sento di dire che Finchè non aprirai quel libro di Michiko Aoyama è una lettura molto scorrevole, che offre la possibilità di calarsi in una moltitudine di storie diverse, di punti di vista inaspettati e, così facendo, di essere testimoni di ogni piccolo cambiamento. Lo consiglio soprattutto a chi ama leggere del potere dei libri di ispirare, condurre e guarire.