“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti. . .”. Questo è il celebre inizio de I Promessi Sposi, un romanzo che non ha bisogno di presentazioni. Il romanzo di Alessandro Manzoni è così importante da dover essere ritradotto in americano. Una traduzione nuova e adattata al lettore americano.
I promessi sposi tradotti in americano
I Promessi Sposi respirano nuova vita oltre l’Atlantico grazie all’italianista Michael Moore che ha già fatto conoscere ai lettori degli Stati Uniti libri di Calvino, Moravia e Primo Levi ma anche Erri De Luca, Sandro Veronesi e Nicola Gardini.
Lo Sfregiato, uno dei ‘bravi’ di Don Rodrigo, diventa Scarface nella nuova versione del romanzo di Alessandro Manzoni, proprio come il gangster interpretato da Al Pacino nell’omonimo film di Brian de Palma, mentre Tira-dritto, un altro degli sgherri al soldo del signorotto del lecchese che si oppone alle nozze tra Renzo e Lucia, prende il nomignolo di Straight Shooter e l’Innominato, personaggio ispirato a Francesco Bernardino Visconti, si nasconde dietro il soprannome di The Nameless One.
Michael Moore: “I Promessi Sposi sono Bibbia civile”
“Il mio rapporto col Manzoni comincia in televisione, a Torino, nel 1986, studiavo per un dottorato alla New York University, tesi di laurea sugli incunaboli del Petrarca, e partecipai alla trasmissione Parola mia, condotta dal bravo Luciano Rispoli con il linguista Gianluigi Beccaria. A ogni puntata vincevo libri per un milione di lire, un sacco di soldi allora, diventai Campione. L’ultima domanda fu “Ci parli, per 60 secondi, del suo personaggio femminile preferito dei Promessi Sposi e io impavido la Monaca di Monza, perché è l’unica ad avere una vita erotica…”. Mi interruppero subito, non so se per imbarazzo, e rivinsi”.
Le traduzioni classiche, celebre quella del 1951 di Archibald Colquhoun, l’ex ufficiale dell’intelligence britannica che poi lavorerà sul Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, appaiono intimidite dalla dinamica del romanzo di Manzoni, perdendone a tratti la freschezza, la satira, la commedia che accompagnano la monumentale invenzione di una lingua italiana viva e l’affresco della nostra coscienza nazionale che, nel bene e nel male, resta attuale.
“Fin dall’unità d’Italia, per voi, i Promessi Sposi sono Bibbia civile, il Parlamento, ancora a Torino, li considerava decisivi nelle scuole, per generazioni sono stati libro di testo dei licei e questa canonizzazione pesa sul traduttore, allontanando i lettori anglosassoni. È ora invece che scoprano, soprattutto qui in America, un libro meraviglioso. Può scrivere che la mia è una traduzione “in americano”, anche quando verrà pubblicata nel Regno Unito si dovrà, per copyright, mantenere il lessico Usa“.
I puristi inorridiranno, perché Moore ignora il punto e virgola, spezzando i paragrafi più lunghi dell’originale, in frasi concise, “questione di ritmo, non perdere la musicalità di Manzoni, aggiornandola tuttavia ai tempi mentali contemporanei“. Il lettore italiano sorriderà con il capo dei bravi di Don Rodrigo, il Griso, ad aggirarsi feroce per le campagne lombarde con i suoi complici, “Scarface” e “Straight Shooter”. “Nomi e cognomi mi han creato guai – ricorda Moore – per gli inglesi il cardinale Carlo Borromeo è “Saint Charles Borromeo” e il suo erede del romanzo “Federico Borromeo”, ma, al diavolo, ho mantenuto la dizione manzoniana, Carlo e Federigo. Ma che fare dell’Azzeccagarbugli, maschera eterna dell’avvocato imbroglione? Un giorno, leggendo una sentenza del giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, campione della destra conservatrice e intellettuale formidabile, mi sono imbattuto in un nomignolo di origine scozzese, “Argle-Bargle”, che Scalia, figlio di un docente di italiano, usava per indicare il petulante argomentare dei giuristi di mezza tacca. E Azzeccarbugli diventa dunque “Argle-Bargle””.
Nella sua prefazione, testo da offrire al più presto in italiano, Jhumpa Lahiri ricorda come i Promessi Sposi siano, già in originale, opera di “traduzione”, con Manzoni, spiega Moore, “freneticamente al lavoro, dal milanese della sua città, ai dialetti lombardi del contado, alla lingua ufficiale di Corte, al toscano di Firenze, con cui si confronta e combatte. Quando insegnavo a Como, alle superiori, venivano a parlarmi le mamme degli studenti, dicevano “L’è düra Prufessür” e mi incantavano, come ascoltassi Perpetua o Agnese“. Lahiri, amica e collega di Moore all’Università di Princeton, diventa consulente quotidiana nel decennio di traduzione, con il duetto che riporta ai lettori, lei a chiedere “Come va il Manzoni?”, Moore a replicare “Ci sono quasi”.
Cari lettori, quindi, se amate la lingua inglese, per la precisione quella americana, che si presenta con sfumature diverse, perché non provare a leggere o a confrontare la traduzione di Moore con la versione inimitabile ed impareggiabile di Alessandro Manzoni?