Ieri, 16 maggio, è uscito in libreria l’ultimo libro di Michela Murgia, Tre ciotole – Rituali per un anno di crisi, edito da Mondadori. La scrittrice lo ha presentato ufficialmente in una diretta Instagram il 15 maggio.
La presentazione di Michela Murgia su Instagram
Michela Murgia su Instagram il giorno prima dell’uscita di Tre ciotole racconta:
“Quando ho preso la decisione di scrivere questo libro ero convinta che sarebbe stato un pamphlet, perché cercavo una modalità per elaborare l’esperienza collettiva che avevamo vissuto durante il Covid e come aveva cambiato le relazioni e il modo di rapportarsi anche con lo straordinario”.
La scrittrice continua con:
“Nella vita di tutti succedono dei casini, ma contemporaneamente lo stesso casino di questa portata, mondialmente non c’era mai capitato. Almeno non nella mia generazione. Quando però mi sono messa a scrivere mi sono resa conto che il tipo di scrittura che veniva fuori era narrativo.
Per me è una cosa abbastanza strana, nel senso che io sono nata con la narrativa ma per me la narrativa è una scrittura faticosa perché attinge direttamente all’esperienza e io la mia esperienza cerco di proteggerla il più possibile e cerco di proteggermi dalla mia esperienza anche perché genera consapevolezze che spesso sono dolorose. La scrittura confina sovente con la psicoanalisi e io lo psicoanalista ce lo ho già. Cerco di andare dallo psicoanalista più che dall’editore. Quando scrivo cerco di scrivere quello che ho capito”
La Murgia, che presenterà il libro al Salone del Libro di Torino il 19 maggio, spiega:
“Mentre scrivevo mi sono resa conto che erano molte di più le cose che non avevo capito e che la scrittura narrativa mi consentiva di dire più cose, perché meno assertive. Era giunto forse il momento di tornare a quel piano di scrittura che ti consente di dire: non posso spiegarlo e quindi lo racconto. E quindi ho cominciato a scrivere racconti perché volevo tante storie individuali con voci diverse, generi diversi, età diverse, che fossero tutte collegate in qualche modo alla stessa grande crisi, ma ciascuno vivendo la propria dentro la maxi cornice dell’anno di pandemia. Un anno di crisi che interessava tutti, ma ciascuno con i suoi strumenti, con il suo punto di vista”.
La scrittrice sottolinea anche che: “molti potrebbero storcere il naso davanti al fatto che la definizione che do di questo libro è romanzo perché sono dodici racconti dove i personaggi cambiano. Tra l’altro nessuno dei personaggi ha un nome, è molto difficile per il lettore o la lettrice identificarsi, almeno per chi è abituato a leggere narrativa nel senso tradizionale del termine. Non è che io non creda nel romanzo tradizionale, lo ho scritto. Però trovo più affascinante in questo momento l’ipotesi di raccontare una storia comune in modo corale, ma anche dissonante perché poi le voci cambiano, appunto”.
“Mi sembra che per rappresentare la complessità, la pluralità di storie sia più efficace e l’accesso ai racconti mi ha permesso di spostare continuamente lo sguardo. Alcuni sono scritti in terza persona, alcuni in prima, generando l’eterno equivoco: ‘Quanto c’è di autobiografico?’ Tutto è autobiografico. Niente è autobiografico. Questi sono racconti scritti perché chiunque possa immedesimare la parte oscura di sè in quella voce. A volte leggere libri che parlano di moltitudini aiuta a riconoscere la propria speciale identità all’interno di quella pluralità”.