Se sei curioso di vicende e personaggi storici, la settimana prossima troverai nelle librerie un libro molto interessante che, probabilmente, farà discutere! È H Come Hitler vedeva i suoi tedeschi il nuovo romanzo di Johann Lerchenwald edito da Jouvence e tradotto da Lodovica San Guedoro; un romanzo drammatico e appassionante, diverso dalla maggior parte dei testi che fino ad ora si sono occupati del dittatore nazista.
Qualche nota su Lerchenwald: ha vissuto molto tempo in Italia, è impegnato in studi filosofici ed è prima di ogni altra cosa uno scrittore, poi anche un traduttore. Dal 2009 ad oggi, come autore, ha pubblicato Diario di un cameriere ovvero usi e costumi dei Germani, Vent’anni prima e nel 2016 L‘elogio della sincerità di Felix Krull editore.
Torniamo al libro. Pur non essendo uno storico, Lerchenwald scava nel passato e dai documenti riscopre l’immagine di un uomo controverso, mediocre e insicuro capace, tuttavia, di interpretare l’insoddisfazione del popolo tedesco e la realtà del momento. Non solo, anche la scelta del titolo è significativa; l’autore sente la necessità di dare al suo personaggio il “beneficio del dubbio”, quel diritto di replica, a suo avviso, utile per spiegare le motivazioni che lo hanno portato ad assumere atteggiamenti così distruttivi e lesionisti.
Nella memoria collettiva Hitler è visto come un uomo dall’infanzia difficile, anaffetivo, privo di scrupoli, intollerante, predisposto caratterialmente alla provocazione, alla violenza e alla manipolazione delle masse, ma è davvero andata così? È giusto pensare che la responsabilità debba ricadere solo sulla sua figura? Lerchenwald, nel suo romanzo, fa un piccolo passo indietro e preferisce pensare ad Hitler come ad un uomo normale, nevrotico, collerico ma con caratteristiche fuori dal comune, aspetti che perfino lo scrittore Thomas Mann cercherà di spiegare nel libro Fratello Hitler.
“il fenomeno della sua esistenza esercita sui tedeschi e gli europei un certo fascino. Ciò è dovuto a una catena di circostanze straordinariamente felici e infelici ossia alla fortuna di aver collezionato, una dopo l’altra, una vittoria sul nulla senza incontrare la minima resistenza.”
Come per il Mussolini di Scurati, il romanzo di Lerchenwald sposta la visione di Hitler onnipotente alleggerendolo dalle responsabilità decisionali, e la porta sull’incapacità del suo popolo di rimanere obiettivo rispetto agli eventi e quindi anch’esso responsabile di essere diventato “un criminale esecutore d’ordini”.
Il pensiero di Lerchenwald si può riassumere in queste parole tratte da un video, sono emblematiche:
Adolfo che già a quindici anni considerava Dio e il Diavolo ridicole invenzioni della mente umana, fu Adolfo vittima delle trame infernali? E in ultimo si diede tutto alla voluttà di uccidere insensatamente? Chi corruppe chi? Hitler i tedeschi sfruttando le loro debolezze e menandoli per il naso con le sue menzogne? O i tedeschi Hitler, favorendo con la loro credulità presto divenuta sottomissione, con il loro senso del dovere presto trasformatosi in cieca obbedienza, lo sviluppo della sua latente megalomania?
Al di là di qualsiasi considerazione e pregiudizio, ogni pensiero va letto e ponderato, quindi, se hai voglia di capire il pensiero dello scrittore tedesco e non vuoi attendere la pubblicazione, puoi prenotare, come sempre, il libro su Amazon.
Buona lettura
“Un libro enigmatico e serenamente terribile”
(Dall’introduzione di Franco Cardini)
E’ erroneo e limitativo considerarlo solo un romanzo storico, di cui pur possiede le migliori qualità, prima fra tutte l’accuratezza della documentazione e la sua non meno accurata interpretazione e organizzazione. Ed è erroneo considerarlo solo un romanzo psicologico, di cui pur possiede lo sguardo introspettivo e analitico, e nei confini del quale consegue i più lusinghieri risultati di profondità, essenzialità e verità. E’ limitativo persino sottolineare il suo merito pionieristico, “gli riesce di spingersi oltre il gran deserto di ciò che sfugge all’umana comprensione”, dice Gianluca Massimini. Perché, abbandonandosi, in “H- Come Hitler vedeva i suoi Tedeschi…”, si scopre sempre più, con felicità, la sua qualità primaria, che è quella letteraria: uno stile di stendhaliana limpidezza, purezza e semplicità. L’apparente impassibilità e la tragica ironia dell’autore hanno la naturale, spontanea funzione di raffreddare il pathos drammatico sempre latente. Il ritmo narrativo, vibrante, serrato, talvolta vorticoso, apparenta “H” più che al romanzo al dramma, di cui possiede le dritte linee fatali precipitanti verso la conclusione tragica. E, al di là di questo, sensibilità e vitalità lo distinguono da ogni altro libro che sia stato scritto su Hitler.