Novak Djokovic ha perso il suo appuntamento con la storia. Ancora ci penso. Ci sta che un giorno non sia uguale all’altro, che non si entri mentalmente in partita ma la finale degli US Open non poteva essere disattesa. Troppo tempo a sognarla, inseguirla, quasi coccolarla con il pensiero, la consapevolezza di poter sfondare il muro dell’impossibile per entrare di diritto nella storia dei più forti di sempre.
Non che non lo fosse già, con 27 successi su 27 partite più tre finali ti costringe a pensare che, il grande Nole, vuoi o non vuoi, alla fine, le mani al cielo americano le avrebbe alzate, non senza qualche urlo satanico liberatorio, beninteso!
Novak Djokovic il campione si è arreso nella finale degli US Open 2021
In questo caso, nessun urlo liberatorio da ricordare, solo una racchetta distrutta, il volto rigato dalle lacrime e tanto silenzio. Non certo quello del campo centrale di Flushing Meadows, che contro tutte le regole sportive, ha trasformato la finale del torneo americano in una vero e proprio rodeo con tanto di cavallo e cowboy.
Lo hanno definito vergognoso, io aggiungerei scandaloso, totalmente inadeguato ma inefficace contro la freddezza mentale di un ragazzo russo di 25 anni capace di fregarsene, alzare gli occhi e continuare a fiondare colpi da manuale. Probabilmente i resuscitati fans del campione serbo, non hanno tenuto conto che dall’altra parte della rete non giocava l’ultimo arrivato ma il numero due del mondo.
Cos’è che non è andato a Flashing Meadows? Per il serbo vincere gli US Open è sempre stato in cima alla lista dei desideri, la giusta conclusione di un percorso agonistico a dir poco incredibile, numeri da capogiro e non certo economici, quelli sono stati superati già da tempo.
No, qui c’era in ballo l’onore, quello vero, che ti costringe a spingere l’acceleratore per dimostrare che i record esistono per essere battuti. Dopo la vittoria al Roland Garros e a Wimbledon, orfano dell’infortunato Nadal, le Olimpiadi giapponesi devono essergli sembrate una passeggiata oltre che la possibilità di conquistare il tanto agognato Gold Slam.
A metter un freno a tutti sogni di grandezza ci ha pensato il tedescone impunito Zverev che una volta sceso in campo, dei record del serbo non ha voluto sapere nulla e, senza se e senza ma, si è portata a casa un bella medaglia d’oro. Una prima bella spallata all’onore del serbo probabilmente troppo inebriato dai successi da dimenticare che lo sport è anche questo, anzi, è soprattutto questo,
Non ci sono regole, né certezze quando a decretare il valore di un campione non è solo la forza o la tecnica ma la capacità di mantenere inalterata la forza mentale, in caso contrario, almeno la capacità di ridurre al minimo le percentuali di vulnerabilità.
Insomma, per non complicarsi la vita, il segreto è non darsi troppo in pasto all’avversario e in questo, bene ammetterlo, Nole è sempre stato il maestro per eccellenza. Lo ha fatto con Berrettini nei quarti, con lo stesso Zverev nella semifinale e in quel caso, le urla di soddisfazione sono arrivate fino in Giappone, giusto per ricordare, per chi se ne fosse dimenticato, che il numero uno del mondo non aveva ceduto lo scettro.
Novak Djokovic le aspettative, la delusione per il record mancato
Che nell’aria ci fosse odore di record non era certo un segreto, quasi non fosse importante conquistare un torneo importante quanto diventare il più grande di sempre, difficile da raggiungere. Che errore madornale, non sarebbe stato meglio giocarsi serenamente la finale e magari scoprire di aver fatto qualcosa di grande? La finale con Medvedev non è stata una bella finale, se ne sono accorti tutti soprattutto il serbo, entrato in campo con lo scettro rimasto purtroppo, parcheggiato in panchina.
Il sogno di Nole si è frantumato così, nel centrale di Flushing Meadows contro un ragazzo di 25 anni, non è stato facile accettarlo. Troppe le convinzioni, le consapevolezze maturate nel tempo, i pronostici fatti, le congetture, le ipotesi, tutto spazzato via in una gara durata poco più di tre ore, senza una valida ragione.
O forse una risposta c’è, magari la più semplice, la più tecnica, quella che metterebbe a tacere gli animi. In effetti, l’incontro con Zverev nell’interminabile semifinale deve aver ridotto le energie, un limite che si può concedere ma, suvvia, essere il numero uno del mondo vorrà dire qualcosa. Tra l’altro rispetto alla posta in palio e in termini di spettacolo, quella con il tedesco ha certamente soddisfatto le aspettative di una finale.
Quella giocata domenica scorsa ha lasciato l’amaro in bocca anche a chi fino a quel momento, non lo aveva applaudito, gli occhi lucidi all’uscita dal campo hanno fatto un certo effetto. Per il pubblico, assuefatto ormai ad una personalità forte e coriacea non è sembrato vero di potersi schierarsi con il debole di turno, un modo, forse egoistico, d’infondere quella fiducia, probabilmente persa durante la gara.
A sconfiggere Novak Djokovic nella finale americana non è stato certo il coriaceo menestrello russo dalla battuta dura come un macigno quanto le aspettative che questa finale ha trascinato con sé. È palese che a vincere la finale non è stato il russo quanto la capacità di Nole di buttarla via inseguendo un sogno. Mi chiedo, una volta fuori dal campo, cosa possa pesare di più, la mancata vittoria sul russo o il dispiacere per non essere salito agli onori della gloria?
Eppure, nonostante la delusione, qualcosa di altrettanto stupefacente è accaduto, perfino il serbo lo ha dovuto ammettere. Il mondo non ha bisogno di campioni perfetti e gli applausi del pubblico durante la premiazione lo hanno fatto capire. Dal campo è uscito il vero Nole, quello più umano, senza filtri, spogliato dalle certezze ma, ora come ora, più amato da tutti. Anche da me!