Il Natale è ormai alle porte e, si sa, pur essendo una celebrazione cristiana, al giorno d’oggi sembra che la sua connotazione religiosa sia ormai sfumata, divenendo una festa universale, per tutti, a prescindere dal messaggio religioso che veicola. Ma cos’è il Natale per i filosofi, abituati a pensare e a ricercare il significato più profondo in ogni aspetto della nostra vita?
Per il nostro appuntamento quotidiano con il mondo della filosofia, ho deciso, quindi, di regalarvi un “Natale filosofico”, offrendovi alcuni spunti di riflessioni e citazioni che provengono da letterati e scrittori di ogni tempo per poter vivere al meglio questi giorni di festa.
Natale filosofico: fede e calore umano
Il 25 dicembre è certamente una data simbolica, ma di capitale importanza nella religione cristiana. Essa simboleggia il momento in cui Gesù Cristo, Dio, ha scelto di incarnarsi e di farsi uomo per amore del mondo. È questo uno dei centri tematici che ruota attorno alla filosofia di Kierkegaard che a più riprese riflette sul paradosso dell’incarnazione rappresentato proprio dal Natale.
Se accettiamo, come spiega Kierkegaard, con fede il mistero di un Dio che sceglie di farsi uomo per amore, allora riusciamo a compiere quel salto nel vuoto che ci permette di superare lo stato di perenne angoscia a cui è condannato il genere umano. Al di là dell’ambito dogmatico e religioso, tuttavia, si tratta di una lezione di grande umanità e potenza emotiva che ha colpito non solo pensatori devoti e credenti come il “cavaliere della fede” danese, ma anche filosofi rigorosamente e persino polemicamente atei.
Jean-Paul Sartre, ad esempio, in alcune riflessioni sul Natale, rimase colpito dalla figura della Madonna, una donna e madre che sa di portare in grembo il Figlio di Dio. In Bariona o il figlio del tuono, splendido racconto di Natale del filosofo francese, parla così di Maria e del rapporto che la lega a Gesù:
L’ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio […] sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo, che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.
Persino Nietzsche, il filoso della “morte di Dio”, parla con nostalgia e calore di questa festa che, durante tutti i suoi numerosi e difficili viaggi, come apprendiamo dalle sue lettere, è stata spesso occasione di ristoro e di conforto dai momenti più bui: «il Natale non riguarda solo noi stessi, bensì tutta l’umanità in generale, poveri e ricchi, grandi e meschini, illustri ed oscuri. Ed è proprio questa gioia universale che aumenta quella nostra personale»
Insomma, il Natale anche per questi filosofi, credenti o meno, è un’occasione di festa universale caratterizzata da gioia e semplicità, in cui non serve nient’altro se non il calore delle proprie famiglie e dei propri cari. Perché, come suggerisce efficacemente Schopenhauer in Parerga e Paralipomena, «Colui che ha una grande ricchezza in sé stesso – scrive– è come una stanza pronta per la festa di Natale, luminosa, calda e gaia in mezzo alla neve e al ghiaccio della notte di dicembre».
Natale filosofico o festa commerciale?
Eppure, è indubbio che negli ultimi tempi lo “spirito del Natale” che tanto incanta scrittori e filosofi di ogni tempo sembra essersi perso e lo si ritrova solo in vecchi film o nei romanzi di Dickens e pochi altri. Più che un Natale filosofico, infatti, ci ritroviamo davanti ad una festa puramente commerciale, fatta di acquisti, regali e luci abbaglianti.
Piuttosto che ricercare la semplicità, la frugalità, invece di accontentarci del calore e dell’affetto dei nostri cari, ci stressiamo alla ricerca di un regalo perfetto, di un cenone luculliano o del locale più sfarzoso e alla moda dove trascorrere le feste, magari attaccati al cellulare per catturare lo scatto perfetto.
Partendo proprio da queste considerazioni il filosofo Umberto Galimberti ci invita ad avere un vero “Natale filosofico”, una festa, cioè, in cui possiamo spegnere le luci e ritornare al senso originario che questa ricorrenza doveva avere e che sopravvive solo nei cuori di pochi:
Dalla stalla dove è nato Gesù il senso del Natale cristiano si è infatti trasferito nel luccichio dei negozi, nella sovrabbondanza dei supermercati, nelle evasioni promesse dalle agenzie di viaggio, per cui la domanda non è: che senso ha la festività di Natale per un laico, ma che significato essa ancora possiede per un cristiano che vive in una cultura opulenta, e in ogni suo aspetto laicizzata, dell’Occidente “cristiano”?
Il Natale, dunque, è un ponte tra passato e presente, tra il sacro e il profano, tra il personale e il collettivo. Che venga vissuto come celebrazione religiosa o come festa laica, esso continua a rappresentare un momento speciale, capace di unire persone e culture diverse. L’invito è quello di evitare gli eccessi, di godere di ogni momento al massimo, che sia attorno ad una tavola riccamente imbandita e colma di regali o attorno ad un modesto e disadorno presepe. L’importante è fermarsi e riflettere, perché forse è questo, in fondo, il vero senso del Natale: un richiamo universale a riscoprire ciò che conta davvero, al di là delle apparenze e delle convenzioni.
Ti lascio con una splendida poesia di Madre Teresa di Calcutta e i più sinceri auguri di buone feste!
È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano;
ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare un altro;
ogni volta che volgi la schiena ai principi per dare spazio alle persone;
ogni volta che speri con quelli che soffrono;
ogni volta che conosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
Natale ogni volta che permetti al Signore di amare gli altri attraverso te.