Caro Lettore, voglio condividere con te la mia ultima lettura:
Mi chiamo Davide di Maddalena Caprara edito Ali Ribelli
Premetto che non è stata semplice e a tratti ho dovuto lasciare la lettura per l’angoscia che provavo.
Nonostante questo, è una storia talmente palpitante e forte che ho voluto continuare a leggere: il tema della droga assunta da giovanissimi, trattato in questo libro, è molto attuale purtroppo.
Davide, il protagonista di questa storia si racconta in prima persona e le prime parole che pronuncia e che ripete spesso nel corso della narrazione, quasi come fosse un modo per giustificarsi, sono:
“Sono nato senza fame”
Davide parla del suo corpo come se lui non si identificasse con esso, e per questo forse lo maltratta e non riesce a prendersene cura, così come non ha neanche potuto fare sua madre, che lui cerca disperatamente iniettandosi eroina, visto che è morta mettendolo al mondo.
Davide ha anche problemi a scuola per via di un disturbo dell’attenzione. Ha solo 15 anni quando scopre la droga e dopo essere entrato nel tunnel nulla per lui ha più valore, neanche il bene tanto profondo e incondizionato dei suoi nonni.
Il padre è troppo accecato dalle sue stesse regole e idee per guardare oltre e vedere suo figlio che sta morendo giorno dopo giorno.
E’ solo un bambino ma né la scuola, né la famiglia, né i pochi amici che ha possono fare nulla contro il mostro che lo porta via ogni giorno di più, è bastato poco perché si impossessasse di tutto il suo corpo e della sua mente.
Penso che questo libro sia da leggere come monito all’utilizzo della droga come mezzo per sfuggire dalla realtà, che a volte può essere davvero incomprensibile per un ragazzo di quell’età.
Il viaggio di Davide però incontra anche piccoli momenti di condivisione con altre persone che vivono la sua condizione o altre dipendenze e si ritrovano come lui da soli per strada.
Questi momenti rimangono incastonati nel cuore, perché come sempre un gesto d’amore o d’amicizia è più forte di tutto.
Questa lettura come dicevo all’inizio è stata difficile, difficile leggere della sofferenza di questo ragazzino, di tutte le volte che ha sofferto perché suo padre inflessibile e severo militare non ha saputo leggere i suoi occhi tristi e il suo cuore affamato d’amore. L’utilizzo della prima persona rende ancora più pressante il racconto, ma è giusto che sia così, e mi è piaciuta questa scelta.
Nonostante l’angoscia che mi ha procurato la lettura in alcuni passaggi, ho continuato a leggere, perché il racconto mi ha trasportato in questo viaggio insieme a lui, facendomi capire bene attraverso parole e frasi spesso ripetute, proprio per dare l’idea di cosa accade ogni volta, ciò che ha provato in questo suo lungo e doloroso passaggio attraverso il tunnel della droga.
Forse mi sarebbe piaciuto trovare una prefazione o postfazione, qualcosa che contestualizzasse questa storia che non so se sia realmente accaduta o no. E se fosse così vorrei tanto sapere come sta oggi Davide?
Consiglio Mi chiamo Davide a genitori e educatori, ma anche ai ragazzi. Perché ci siano sempre meno “Davide” drogati e sempre più “Davide” amati, compresi e consapevoli.