L’intervista con Jonathan Bazzi ? una bella esperienza!
Che la mia giornata fosse stata un turbinio di emozioni profonde è fuori di dubbio. Quando la tua bimba diventa mamma comprendi che la vita non si ferma, va avanti, reagisce in tutti modi ai contraccolpi dell’ignoto. I suoi misteri sono grandi, a volte non riusciamo a comprenderli cerchiamo di interpretarli senza capire che è la vita stessa a mostrarci la via per viverla nel modo più giusto.
È un po’ quello che è accaduto a Jonathan Bazzi, personaggio che ho avuto il piacere di incontrare in Piazzetta Giosuè Carducci a Lecce, nell’ambito di “Extra Convitto. Più Lib(e)ri in Piazza” della Biblioteca Nicola Bernardini. Una serata avvolta da un’atmosfera particolare, l’aria è particolarmente elettrica. Sarà che l’arrivo dei primi scrittori mette tutti in agitazione e se poi sei tra quelli arrivati in finale allo Strega la riuscita della serata è assicurata. In effetti entrare in finale al Premio Strega non è da tutti e non fa nulla se a consentire il ripescaggio di Febbre nella sestina sia stato un cavillo previsto dalla Fondazione, alla fine è il risultato quello che conta.
Il libro di Jonathan Bazzi è piaciuto, lo ha confermato il sold out per partecipare alla presentazione del suo libro nell’ambito dell’evento letterario promosso da Armonia. Narrazioni in terra d’Otranto organizzato dall’Associazione Narrazioni – Presidio del Libro e dalla Libreria Idrusa di Alessano, in collaborazione con Regione Puglia, Comune di Alessano, Polo BiblioMuseale e Museo Castromediano di Lecce e altri partner pubblici e privati.
La location pur se all’esterno della biblioteca leccese mi ha dato subito la sensazione di un grande salotto all’aperto, devo dire idea azzeccatissima! Io come al solito molto trafelata e stravolta da una giornata già piena di troppe cose, mi sono messa alla ricerca di mister Jonathan. Furbescamente, Jonathan Bazzi aveva pensato bene di ritardare il suo ingresso per riprendersi dal viaggio.
Aspettare per più di un ora non mi ha fatto fare i salti di gioia ma potevo perdere l’occasione? Certo che No!
Comodamente seduta in una delle poltrone futuriste dislocate nella piazzetta antica, ho cominciato a guardare nervosamente l’ora sperando che le lancette scivolassero veloci quando da lontano sbuca un tipo con occhialetti scuri, giacca damascata e fare ciondolante. Sarà stato l’istinto o il desiderio di anticipare i tempi, mi sono ritrovata con il giovane Jonathan di fronte. Eliminata cordialmente la concorrenza di altri speranzosi giornalisti della tv e della carta stampata, ho preso sottobraccio lo scrittore e ci siamo seduti comodamente in poltrona a parlare del più e del meno e chiaramente del suo libro.
Jonathan Bazzi La mia intervista all’autore di Febbre
Sono felicissima di incontrarti e di poter parlare con te di questa, come la definiamo, rivelazione?
Bhé sì, è stata una sorpresa. L’andamento di questo libro è stato lento, nelle prime settimane c’è stata una risposta da parte dei lettori però i risultati da parte dell’ambiente editoriale delle istituzioni, Farenhait, Premio Bagutta, e l’entrata nella dozzina e poi nella sestina finale dello Strega sono state una sorpresa dopo l’altra.
Al di là del fatto che sia stato il veicolo ad identificarti in qualche modo come scrittore, cos’è che ha colpito del tuo libro? Da cosa sono stati colpiti i giovani, dalla tua capacità di dire fino in fondo la verità?
Io credo e spero di si. il fatto di essere disposto ad usare tutta la mia esperienza ad arrivare in qualche modo fino in fondo esplorandola tutta, in tutti i suoi aspetti, anche con delle scelte che, magari, per qualcuno possono risultare azzardate, spudorate senza filtri, per citarti alcuni degli aggettivi che sono stati usati.
Hai definito il tuo libro ” il diario emotivo della tua malattia”, perché?
Sì, è così. Febbre è due cose: è questa una sorta di diario emotivo della malattia dove c’è un tentativo di un resoconto di quella esperienza, di quella scoperta dall’interno, non assecondando i luoghi comuni e ciò che si dice o viene detto, ma solo cercando di rivendicarne il punto di vista interno.
Hai voluto descriverlo attraverso i tuoi occhi…
Sì, è un diario emotivo ma dall’altra parte invece è una sorta di reportage della memoria. Un ritornare indietro nel tempo, in quel luogo in cui sono cresciuto, Rozzano, alla estrema periferia sud di Milano cercando in qualche modo di ricostruirne l’atmosfera, capirne il carattere quasi fosse anche lui un personaggio, una presenza.
Partiamo da Rozzano chiamata anche Rozzangeles, come tu la chiami. Una deformazione di ciò che immaginiamo estremo come estrema è la periferia e ciò che accade, tutte le reazioni di un mondo sotterraneo, emarginato, dal quale sei fuggito ma dove sei ritornato…
Penso che ogni periferia abbia delle sue caratteristiche. Rozzano ha questa forte prevalenza di case popolari e persone che condividono storie simili e a volte problemi simili e questo ha creato nel corso dei decenni un atmosfera un microcosmo piuttosto coeso, con caratteri che si ritrovano e che sono frequenti perché sono tipici del luogo, dell’atmosfera e delle persone.
Jonathan Bazzi, Il ritorno alle origini
Rozzano è stata come una calamita. Le stesse situazioni per le quali ti sei voluto staccare sono state le stesse che ti hanno spinto a ritornare. Ti sei sentito come protetto alla fine?
Sì, perché secondo me non si tratta tanto di uno sguardo negativo su quel posto, non è un libro di denuncia. Quello che m’interessava fare era mettere in luce i lati ambivalenti, come succede spesso nei confronti delle figure affettive della nostra infanzia dove si evidenziano affetti e i traumi, dove bene e male convivono. L’importante è questo. Rozzano era un po questo, cercare di articolare questo rapporto che tiene dentro dei sentimenti contraddittori e contrastanti.
Rozzano oltre ad emarginarti ti ha spinto in qualche modo a trovare il tuo posto al sole?
Ho cercato di portare alla luce la mia Rozzano, il mio sguardo su quel posto che ha delle caratteristiche dominante ma tra tutte le presenze che l’animano e l’hanno animata, ci sono io e sono sicuro quelli come me che in quei posti ci sono stati stretti.
Una forma di riscatto la tua? non solo per te ma per tutti coloro che vivono la tua stessa realtà?
Credo e spero di aver fornito elementi di rispecchiamento che vanno al di là della biografia perché è una cosa che mi è successa. Persone che hanno avuto una storia diversa dalla mia, che non sono omosessuali, che non hanno l’HIV però c’è comunque una forma generale del sentirsi fuori posto, del sentirsi come stranieri che evidentemente in numero più ampio di quello che si poteva immaginare sulla carta prima dell’uscita del libro, in numero piuttosto ampio ha creato un effetto di coinvolgimento, di rispecchiamento.
Balbuziente, ironico, omosessuale ma anche colto, quattro aspetti della personalità di Jonathan Bazzi che per Rozzano potevano apparire qualcosa di strano inadeguato ma che ti hanno aiutato ad avere il coraggio di essere e trasformarti in quello che sei..
Quello che sono, anche le caratteristiche di scrittore, sono proprio il frutto di queste combinazioni poco frequenti. Il fatto di essere nato e cresciuto lì, con degli interessi che però lì non sono comuni. Allo stesso tempo mi porto dietro una passione per un certo tipo di espressività, di livelli di vitalità che sono tipici di quel posto e che non ci sarebbero stati se io fossi nato da un’altra parte.
Una domanda banale. Quando hai deciso che era arrivato il momento di affidare la tua vita alle pagine del libro?
Devo dire che già dal 2012 avevo intenzione di scrivere di Rozzano, volevo raccontare quel posto e le presenze che hanno circondato la mia infanzia ma solo dopo, nel 2017, dopo la diagnosi ho trovato la motivazione, la giusta concentrazione per scrivere. Prima della diagnosi ero un po’ dispersivo, iniziavo una cosa che regolarmente non finivo, ho la sensazione che quei mesi del 2016 mi abbiano reso più responsabile, mi ha reso cosciente della situazione. Sono riuscito a mettermi a lavorare al libro solo l’anno dopo.
Hai voluto ufficialmente parlare di te in un articolo su “Il foglio”. Successivamente, quali sono state le figure che ti hanno condizionato positivamente nella stesura del libro.
Tu stesso hai svelato che dopo aver preso coscienza e deciso di scrivere il libro, sono state molte le persone che hanno invece cercato di dissuaderti dicendoti “ma chi te la fa fare” è vero?
Questo è vero. Nel 2016 molti erano perplessi, intimoriti all’idea dalla decisione di condividere questa mia caratteristica, devo dire che poi la scelta di parlarne con quell’articolo è stata mia, una decisione che ho preso arbitrariamente, poi nel corso dei mesi dell’anno successivo, quando ero in dubbio se inserire l’elemento dell’HIV nel libro, non volevo far scivolare il libro nel settore dei libri testimonianza, alcune persone che sono scrittori mi hanno tranquillizzato spiegandomi che nel mio modo di parlare di quel tema non c’era quel tipo di pericolo,
Nel futuro di Jonathan Bazzi cosa c’è?
Sto lavorando al prossimo libro e poi stanno arrivando una serie di collaborazioni editoriali anche con giornali e riviste, sicuramente andrò avanti.
Che dire, Jonathan Bazzi è davvero un personaggio interessante. E non credo che a renderlo tale sia stato unicamente la pubblicazione del suo libro. Mi ha fatto pensare a tutte quelle voci che avrebbero voluto emergere da una realtà oppressiva e disarmante senza però il coraggio di varcarne i confini. Quello che si legge nello sguardo di questo giovane scrittore emergente è proprio il coraggio di essere se stesso, comunque e ovunque, senza remore, senza timori.
Come si dice… chi osa vola?