Ogni anno, il 23 maggio, l’Italia si ferma per ricordare la Strage di Capaci, uno degli eventi più dolorosi e simbolici della nostra storia recente. Ma il ricordo non può essere solo un atto commemorativo: deve diventare consapevolezza, formazione, impegno. I libri ci aiutano in questo percorso. Possono raccontare ciò che è accaduto, spiegare le cause, trasmettere valori. In questo articolo voglio proporvi alcune letture che, con linguaggi diversi, tengono viva la memoria di Giovanni Falcone e della sua battaglia per la giustizia. Perché leggere, in certi casi, è un atto di resistenza.

La Strage di Capaci
Il 23 maggio 1992, alle 17:57, un’esplosione squarciò l’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci, in Sicilia. Nell’attentato persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo (anch’ella magistrato) e tre agenti della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Vi furono ventitré feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
La Strage di Capaci non è solo una pagina tragica della storia italiana, ma un punto di non ritorno. Uno squarcio profondo nell’anima civile del Paese.
A oltre trent’anni di distanza, la memoria resta viva — e deve restare viva. Ma come fare perché il ricordo non si trasformi in semplice ritualità? Una risposta, potente quanto discreta, viene dai libri. Leggere, raccontare, trasmettere: sono gesti di resistenza alla dimenticanza. La letteratura civile, il reportage, la narrazione possono dare voce a chi non può più parlare, e possono farci capire perché tutto questo è successo — e cosa possiamo fare perché non accada mai più.
I tentativi di eliminazione del giudice Falcone e la preparazione dell’attentato di Capaci
Già nel 1983, poco dopo l’attentato in via Pipitone Federico in cui persero la vita il giudice Rocco Chinnici e tre agenti della sua scorta, Cosa Nostra aveva preso in considerazione l’eliminazione del giudice Giovanni Falcone. Su incarico di Salvatore Riina, Giovanni Brusca avviò una sorveglianza serrata sul magistrato per studiarne gli spostamenti e valutarne la vulnerabilità. Tra i piani ipotizzati vi fu l’idea di far esplodere una Vespa imbottita di tritolo o di utilizzare un furgone carico di esplosivo nei pressi del Palazzo di Giustizia di Palermo. Si valutò anche l’impiego di armi pesanti come i bazooka. Tuttavia, tali progetti furono accantonati a causa delle rigide misure di sicurezza che circondavano il giudice.
Nel 1987 fu pianificato un attentato all’interno della piscina comunale di via Belgio, a Palermo, dove Falcone si recava spesso. Anche questo piano fu abbandonato. Due anni dopo, nel 1989, si verificò l’unico tentativo concreto prima del 1992: un borsone contenente 58 candelotti di dinamite fu ritrovato tra gli scogli vicini alla villa dell’Addaura, affittata da Falcone. Nonostante le condanne per questo attentato, permangono ancora molte zone d’ombra.
La decisione definitiva di eliminare Falcone fu presa tra il settembre e il dicembre 1991, durante alcune riunioni della “Commissione interprovinciale” di Cosa Nostra, tenutesi nei pressi di Enna sotto la guida di Riina. In quelle sedi si stabilì anche di colpire altri obiettivi, tra cui Paolo Borsellino e personalità politiche come Salvo Lima. A dicembre si svolse una successiva riunione della “Commissione provinciale” a casa del mafioso Girolamo Guddo, dove venne definito un piano operativo che comprendeva l’eliminazione di Falcone, Borsellino e altri soggetti ritenuti inaffidabili.
Ulteriori incontri si tennero nei pressi di Castelvetrano, dove furono progettati attentati contro Falcone, l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli e il conduttore Maurizio Costanzo. Dopo la sentenza della Cassazione che confermava le condanne del Maxiprocesso (gennaio 1992), Riina convocò nuove riunioni per dare il via agli attentati. Un primo gruppo di fuoco fu inviato a Roma, ma successivamente fu richiamato in Sicilia, poiché si decise di eseguire l’attentato a Falcone sull’isola, utilizzando esplosivi.
Per organizzare l’attacco, Brusca valutò varie opzioni per la collocazione dell’esplosivo. Dopo alcune ricerche, fu individuato un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci. Nell’aprile del 1992 fu effettuato un test esplosivo in una zona rurale, simulando le condizioni del tunnel reale. Le prove confermarono l’efficacia del dispositivo, azionato tramite radiocomando per aeromodelli.
Tra aprile e maggio 1992, i vertici mafiosi effettuarono sopralluoghi sul tratto autostradale, prepararono 400 kg di esplosivo e ne disposero il posizionamento nel cunicolo durante la notte dell’8 maggio. Nei giorni successivi furono condotti controlli sui movimenti delle auto blindate del giudice per identificare il momento più opportuno per colpire. Non è mai stata chiarita l’identità di chi avvertì la mafia dell’arrivo di Falcone a Palermo.
Il 23 maggio 1992, quando il corteo blindato di Falcone si mosse verso Palermo, i mafiosi appostati lungo la collinetta nei pressi dell’autostrada ricevettero conferma dell’arrivo del giudice. Fu allora che Giovanni Brusca, posizionato con Antonino Gioè, azionò il radiocomando che fece esplodere l’autostrada, causando la morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Parole contro il silenzio: letture per non dimenticare
Ecco alcune opere che consiglio a chi vuole avvicinarsi a quel pezzo di storia con lo sguardo lucido e il cuore aperto:
Per questo mi chiamo Giovanni di Luigi Garlando – Un libro adatto anche ai più giovani, racconta la vita di Giovanni Falcone attraverso il dialogo tra un padre e un figlio. Una storia semplice, commovente e necessaria, capace di introdurre con delicatezza i temi della giustizia e della lotta alla mafia.
Cose di Cosa Nostra di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani – Una testimonianza diretta, forte, a tratti amara. In queste pagine Falcone spiega il funzionamento della mafia e il senso del suo lavoro, con parole che ancora oggi risuonano incredibilmente attuali.
Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia – Non parla direttamente di Capaci, ma è impossibile non includerlo. Un classico che ha segnato l’ingresso della mafia nella letteratura italiana, con lo stile asciutto e spietato di Sciascia, capace di scavare nell’omertà e nell’ambiguità della coscienza pubblica.
Quando Giovanni diventò Falcone di Girolamo Lo Verso – Un’autobiografia che mette in evidenza l’amicizia tra lo scrittore e il giudice. Uno spaccato della vita di Falcone prima del Pool Antimafia, quando l’uomo si stava facendo conoscere per le sue doti di abile nuotare nell’ambiente del Tribunale di Trapani.
La memoria non è un esercizio del passato, ma un impegno per il presente
Parlare di Falcone oggi non significa solo ricordare un uomo coraggioso, ma anche interrogarsi sul nostro tempo. La mafia non è scomparsa, ha cambiato volto. Non sempre spara, ma spesso corrompe, seduce, si insinua. È nei silenzi, nei compromessi, nelle convenienze. Ecco perché leggere, informarsi, discutere è un atto politico — nel senso più alto del termine.
Ogni libro che parli di legalità, di coraggio, di giustizia, è un piccolo mattone nella costruzione di una coscienza collettiva. E ogni lettore consapevole è un cittadino più forte.
La Strage di Capaci ci ha lasciato un vuoto, ma anche un compito. E i libri sono tra i nostri alleati più fedeli per portarlo avanti. Leggiamo, dunque, per capire. Leggiamo per tramandare. Leggiamo per non dimenticare.