Fragile: La mia storia, il libro che racconta la leggendaria figura di Marco van Basten
Il titolo del libro che ti sto segnalando non lascia dubbi, parla di un’altra famosa leggenda del calcio, anche di quello italiano nonostante Marco Van Basten di sangue tricolore, diciamolo, non aveva nulla. Eppure se scorriamo le sue biografie o i giornali sportivi dell’epoca, la sua vita calcistica è legata all’Italia molto più quanto possiamo pensare. Per chi ha vissuto il calcio degli anni ’90, il calciatore olandese è un personaggio che ha lasciato il segno, la formula che ha segnato l’identità di una grande tradizione come il Milan.
Se lo ricorda bene la famosa curva sud rossonera davanti alla quale il grande fuoriclasse si presentava orgoglioso aprendo le braccia dopo aver insaccato il pallone nella rete dell’avversario. Me lo ricordo bene anch’io quando, mantenendo le tradizioni di famiglia, mi esaltavo alle famose sfide Milan-Inter, teatro di uno sport che, all’epoca, sapeva ancora di autentico, sapeva di buono. Eppure l’eco delle sue imprese ritorna a noi distorto dalle vicende non sempre positive che hanno accompagnato la sua carriera, segnata da infortuni continui da costringere il giocatore a interrompere giovanissimo l’attività agonistica.
Marco van Basten è comunque una leggenda e vale la pena, almeno per te che magari lo avrai solo sentito nominare, conoscerlo meglio
Il suo è sempre stato uno sguardo magnetico, forte, penetrante, quel modo di correre sempre molto elegante nonostante il suo ruolo di centravanti richiedesse anche una buona dose di cattiveria agonistica; un vero fuoriclasse.
Del ’64 il giovanissimo Marco è inserito nei piccoli club di calcio della zona dove si respirano i successi della nazionale, si guarda al mito di Cruyff, tutto in qualche modo lo spinge a non allontanarsi da una dimensione che sente sua. Marco ha solo 17 anni quando nel ’81 viene convocato dall’Aiax, per il calcio di livello si è già grandi, ma in sei anni segna senza mai sbagliare, un record che gli fa vincere per quattro anni consecutivi la classifica dei cannonieri.
Il periodo, pur se contraddistinto da successi, è comunque interrotto dai primi infortuni per i quali subisce il primo intervento alla caviglia. L’eco delle sue prestazioni e il video dei suoi goal arrivano forti e chiari in una video cassetta a Silvio Berlusconi, presidente del Milan, che senza pensarci due volte riesce a portarlo a Milano.
Alla corte del Presidente arriva anche Arrigo Sacchi, un allenatore romagnolo ancora poco conosciuto ma con idee chiare sui metodi e sui risultati da raggiungere. Il cambio in panchina non aiuta certo l’olandese che dopo qualche mese è nuovamente alle prese con l’ennesimo intervento alla caviglia che lo costringerà ad un lungo periodo di degenza e di riabilitazione, soprattutto lontano dai campi. Quello dell’87 è un campionato particolare, il Milan dopo un primo momento di smarrimento si riprende, riesce ad imporsi arriva tra le prime posizioni ma la conquista dello scudetto passa senza mezzi termine dal Napoli di Maradona impresa non facile.
Il 1987, il Cigno olandese vince il Pallone d’oro
Come in tutte le belle favole, van Basten rientra in campo nella ripresa dell’ultima gara al San Paolo valida per lo scudetto siglando il goal dello spareggio e la conquista del tricolore. Per il Cigno di Utrecht è l’inizio di un periodo felice; dopo lo scudetto conquista l’Europeo con la sua nazionale, nel ’88 vince il primo Pallone d’oro, nel ’89 la Coppa dei Campioni superando in semifinale il Real Madrid e in finale la Steaua Bucarest sconfitta con un secco 4 a 0 davanti a 80000 tifosi milanisti. È un Milan che vince e che ha un suo leader
“A me bastava comandare in campo. Avevo l’ossessione di vincere, in questo ero simile a Sacchi. Tra noi, mi sentivo rappresentato da Baresi, da Maldini che era più giovane ma si faceva sentire”.
Con il Milan vince contro il grande Brasile, conquista il secondo pallone d’oro, la seconda Coppa dei Campioni, la Supercoppa Europea e la Coppa Intercontinentale ma il rapporto con il tecnico si fa sempre più difficile:
“Non c’è mai stato feeling personale tra me e lui. Non mi ha mai dato l’impressione di essere onesto nei rapporti umani. Non era mai diretto. Andava a zig zag. Quando non era contento di come ci allenavamo, se la prendeva con i giovani, con i più deboli, che magari invece erano in testa a tirare il gruppo”.
L’addio al calcio
Nel ’91 Berlusconi convoca sulla panchina rossonera il giovane Fabio Capello con il quale l’olandese ritorna a vincere; conquista il secondo scudetto, la Champions League, nel ’92 si aggiudica il terzo pallone d’oro, un titolo che lo consacra come il più forte giocatore in circolazione. Il 21 dicembre del ’92, a pochi mesi dalla conquista del titolo, il campione olandese sceglie, contro il parere dei medici della società, di ritornare sotto i ferri per il riacutizzarsi dei problemi alla caviglia, una decisione che rimpiangerà per tutta la vita. La riabilitazione e la lontananza per due anni dai campi lo costringono a dare nel ’95 a soli 30 anni l’addio al calcio giocato.
“La fine dei miei sogni. Stavo giocando da Dio, avevo un allenatore che mi piaceva, Fabio Capello. Mi fa male la caviglia, decido di operarmi. L’errore che segna la mia vita”.
«D’un tratto lo sento, chiarissimo, prendo coscienza. Sotto gli occhi degli ottantamila, sono testimone del mio addio. Marco van Basten, il calciatore, non esiste più. State guardando uno che non è più. State applaudendo un fantasma. Corro e batto le mani, ma già non ci sono più. Oggi sono morto come calciatore. Sono qui, ospite al mio funerale.» A San Siro, in una triste sera d’estate del 1995, Marco van Basten disse addio al calciatore che era stato, dopo aver lottato invano contro le sue caviglie di cristallo. Per tutti, non solo per lui, fu l’addio alla bellezza, alla perfezione, alla determinazione, alla vittoria come cifra stilistica. «E a un certo punto tutto s’interrompe, e tu ti senti malissimo. Non puoi credere che una cosa del genere sia capitata a te.» Quell’addio arrivò all’improvviso e lasciò tutti con la tristezza nel cuore e migliaia di domande che nessuno ebbe la forza di fargli.