Ho provato in ogni modo a ricordare chi è stato a insegnarmi a giocare a scacchi, ma niente, da solo non sono riuscito a tornare così tanto indietro con la memoria. Che poi in realtà era solo un saper come si muove ogni pedina sulla scacchiera, non certo un giocare come quello che si vede ne La regina degli scacchi.
Ricordo invece molto bene i pomeriggi interi a fare partite con un amico d’infanzia, uno di quelli con cui si condividevano i giochi nel cortile. Ci mettevamo seduti nel garage, su uno di quei tavolini da pic nic componibili degli anni ’80, uno di quelli che poi si richiudevano e diventavano una valigetta.
Da quei tempi non ci ho mai più giocato, peccato.
La regina degli scacchi: la miniserie Netflix
In realtà questa storia personale ha poco a che vedere con la bellezza de La regina degli scacchi, la nuova serie Netflix che come già ha raccontato l’amica Cristiana in queste pagine è tratta dal romanzo di Walter Trevis; non nego il mio orgoglio e la mia gioia nel sapere che un successo televisivo così mondiale nasce dalle pagine di un libro e dalla fantasia dell’autore che l’ha pensato.
È una miniserie che mi ha stregato.
Che mi è davvero piaciuta tantissimo.
Non ho nessuna base per giudicare l’aspetto cinematografico, lascio il compito ai colleghi della sezione cinema che già l’hanno ben fatto con diversi articoli, ma, in nome della passione che certifica questo sito, posso condividere gli spunti di riflessione e le emozioni che mi sono arrivate dopo e durante la visione. E sono davvero tante.
Occhio agli spoiler!
A partire dal finale. Dagli ultimi minuti della storia, che, per come sono stati percepiti da me, esprimono benissimo il mio pensiero generale attuale.
La vita è molto più semplice se ripulita da tutte le implicazioni e le costrizioni che le pratiche diplomatiche e politiche impongono.
Siamo fatti per conoscerci, piacerci o non piacerci, stare insieme e giocare al gioco della vita. Tutti, gli uni e gli altri.
E spesso servono storie come quella di Beth Harmon per capirlo: una ragazza dal passato difficile che in piena Guerra Fredda si fa strada nella società grazie al suo talento per gli scacchi. Arrivano così subito le dinamiche internazionali istituzionali che provano a farla diventare una pedina importante della rivalità tra gli Stati Uniti e la Russia: un cavallo che si muove solo con determinate regole e imposizioni.
E invece Beth è libera, si muove come vuole, in tutte le direzioni come una regina, e con il suo fare vero e pulito conquista il favore di tutti, anche di quelli che in teoria dovrebbero essere i nemici. La folla di fans che giorno dopo giorno aumenta, nell’ultima puntata de La regina degli scacchi, quella ambientata a Mosca, mi ha ricordato molto il finale di Rocky IV quando lo stallone italiano trasforma i fischi in applausi nella tana di Ivan Drago.
La politica è necessaria, è giusta, a mio avviso, se fatta nei palazzi e se praticata dai professionisti. A me piacerebbe una realtà dove i tifosi per le strade, e sempre più spesso dietro le tastiere, provassero più a guardare le cose ripulite dai preconcetti imposti dal colore di appartenenza. Sarebbe tutto più semplice e più vero. Ma capisco che è un pensiero utopico e irrealizzabile.
Che poi la vita è già difficile di suo. Ognuno di noi gioca una partita a scacchi col destino (che banalità che ho scritto), così come tutti noi abbiamo il nostro Borgov da sconfiggere. Che sia un rivale in carne e ossa o un obbiettivo da raggiungere, ognuno di noi combatte ogni giorno per raggiungere il suo traguardo.
La determinazione con cui Beth, attraverso lo studio e la forza che le permette di superare ogni dolore vissuto (che la porta anche a fare anche molte scelte sbagliate) raggiunge il suo sogno mi ha fatto tornare alla mente una frase che spesso mi diceva un vecchio amico; un pensiero da lui liberamente tratto dal cartone animato Il mistero della pietra azzurra e attribuito al Capitano Nemo:
“Basta mescolare il 99% di perseveranza e l’1% di genialità per raggiungere qualsiasi risultato”
E allora ecco che il cerchio si chiude, che faccio scacco e che anche la piccola storia personale con cui ho aperto questo articolo trova un senso e una ragion d’esserci, perché l’amico della citazione è lo stesso che sedeva di fronte a me in quei pomeriggi di quando eravamo ragazzini davanti a un scacchiera.