Antonio Scurati lo aveva anticipato, un solo volume non sarebbe bastato per spiegare come in vent’anni l’Italia liberale di Giolitti si sarebbe prostituita al pensiero narcisistico e dittatoriale di un solo uomo. Oltre alla logica temporale e la trasformazione storica del movimento, l’uscita di M l’uomo della provvidenza ha il giusto, e aggiungo doveroso, compito di spiegare quanto la cultura fascista abbia avuto radici profonde nell’egocentrismo politico di Mussolini.
M l’uomo della provvidenza, l’ascesa alla dittatura di Mussolini
Scurati quindi rispetta il criterio temporale della sua narrazione così come la struttura romanzata del primo libro che si chiude con il già noto e dissacrante assassinio di Matteotti. Ritroviamo un’Italia violentata nell’espressione democratica del pensiero, ostaggio di una mentalità che antepone la violenza gratuita al rispetto dei diritto umani.
La libertà di pensiero è una fiaccola che si esaurisce con il forzato esilio dei vari Amendola e Salvemini, nessun futuro per l’onestà intellettuale e la capacità critica poiché genera intelligenza che Benedetto Croce, inspiegabile supporter del movimento, si affretta a definire “incompatibile con il fascismo stesso”.
“La storia si fa con la bomba e con l’aratro e non coi volumi di Salvemini; si vive non si legge”. Mussolini dichiara guerra all’intellettualismo e lo fa senza mezzi termini perché nel nuovo secolo il fatto valeva più del libro. “Bisogna bastonare il cane che affoga, E giunto il momento di recarsi ad omaggiare l’unico uomo d’intelletto, l’unico letterato che abbia insegnato gli italiani ad andare verso la vita”.
Pur se partorito da una realtà proletaria, il socialista aspira a ben più nobili obiettivi e per nobili non mi riferisco certo al significato etico della parola. L’aspirante stregone intuisce le insoddisfazioni di un popolo affamato, si insinua nella plateale depressione di un popolo distrutto dalla guerra, annusa il desiderio di ribellione del ceto medio e il riscatto di chi dalla guerra è tornato senza gloria sfruttandolo a dovere.
Ai dieci anni di violenze e di opportunismo politico seguono tempi di “epurazione delle tossine inquinanti del sistema”. Si rende indispensabile e quanto mai strategico ridimensionare il potere esecutivo delle falangi esterne che lo stesso Duce definisce “squadristi travestiti da deputati egocentrici”.
Non basta. È prioritario spianare la strada al regime, dissipare i dubbi sulla centralità assoluta del potere, se anche ce ne fossero stati. Nessuna spazio ai confronti ma un unica ricetta valida per tutto e tutti: dare i pane agli affamati e a ognuno quello che si merita.
Mussolini, uomo della provvidenza
Il figlio del secolo si è trasformato nell’uomo della provvidenza, colui che provvede a riformare l’intero modo di concepire la vita pubblica privata ed economica di un Paese e perché di lui si possa parlare ed erigere ad esempio.
“Oggi il fascismo è un partito, è una milizia, è una corporazione. Non Basta deve diventare qualcosa di più, deve diventare un modo di vita. Ci debbono essere gli italiani del Fascismo, come ci sono, a caratteri inconfondibili, gli italiani della Rinascenza e gli italiani della latinità. Solo creando un modo di vita cioè un modo di vivere, noi potremo segnare delle pagine nella storia e non soltanto nella cronaca… Portando nella vita tutto quello che sarebbe grave errore di confinare nella politica, noi creeremo, attraverso un opera di selezione ostinata e tenace, le nuove generazioni, e nelle nuove generazioni ognuno avrà un compito ben definito.
A volte mi sorride l’idea delle generazioni di laboratorio, di creare cioè la classe di guerrieri, che è sempre pronta a morir,; la classe degli inventori, la classe dei giudici, la classe dei grandi capitani di industria, dei grandi esploratori, dei grandi governatori. Ed è attraverso questa selezione metodica che si creano le grandi categorie le quali a loro volta creano gli imperi…Qualche volta bisogna stagnare lungamente nelle posizioni conquistate. Ma la meta è quella: l’Impero!”
Scurati riporta esattamente la dichiarazione del Duce alla fine del IV congresso del Fascismo. Una relazione che in qualche modo anticipa quello che sarebbe accaduto dal 1924 al 1932. Sette anni segnati da una forte accelerazione su molte delle questioni che stanno a cuore Mussolini. Anche in questo caso, come un marchio di fabbrica, l’autore si avvale dei documenti storici.
L’analisi descrittiva di Scurati è precisa, dettagliata, a tratti eccessiva. Il suo è lo sguardo competente e trasversale di chi osserva da varie angolature l’evolversi degli eventi, senza rinunciare alla sottile ironica satira letteraria, un aspetto rivelatosi nel precedente volume e che mi ha molto colpito.
Pur cadendo, a mio avviso, in una descrizione spesso contorta, è molto bravo a scindere le varie personalità dell’attore Mussolini; ne descrive le metamorfosi, la istrionica capacità di sfruttare le occasioni e di affrancarsi da ciò che potrebbe allontanarlo dall’obiettivo. A seconda delle situazioni, l’uomo della provvidenza si trasforma nell’idolo da emulare, la divinità da contemplare, il martire da difendere perché l’unico in grado di proteggere.
Il consenso non è fatto dagli applausi. gli applausi sono solo un rumore…
Il giornalista di sinistra è ora il ministro di se stesso, sul suo tavolo passano i fascicoli di sette ministeri. Dall’arte all’economia, dalla politica depurata dell’opposizione a quella internazionale, per passare al colonialismo più sfrenato, alla sottomissione monarchica, alla concezione napoleonica del fascismo. Anche la questione pontificia è affrontato con temperamento da gladiatore consumato. Il potere temporale della Chiesa è consegnata sul piatto d’argento e con una bella benedizione ad honorem.
Il tutto correlato da una strategica quanto mai provvidenziale propaganda mediatica che raggiunge tutti i settori della vita pubblica anche quella che vigila sull’educazione giovanile. Nessuno escluso. Non rimane che il sogno di una unica razza che precluda alla nascita di una generazione pura.
E se anche si tenti di fermarlo con improvvisati e disperati attentati, il risultato non cambia. Vita privata in cambio di quella pubblica e viceversa, la logica del potere si affranca da quella privata. Fanfare coreografia e prove generali di sfilate faraoniche per osannare l’avvicendarsi alle poltrone per poi ritrovarsi nelle taverne più lascive.
La moda diurna prescrive l’ipocrisia di maschere virtuose, faccenderismo nazionale, guerre rionali. I fascisti della prima ora si spoliticizzano, si ministerializzano, si burocratizzano. Gli industriali prendono la tessera pur di salvare il capitale, i grandi burocrati si rendono complici pur di subordinare il Partito allo Stato e lo Stato ai loro privilegi castali, la magistratura si asservisce per quieto vivere. Dappertutto è così. Gramigna dei convertiti, automatismi, untuosi compromessi.
Scurati legge anche tra le righe della mistificazione della politica più approssimativa, quella che disfa e divide, presagio di eventi scollegati dalla realtà. Significativo il passaggio sugli innovativi quanto mai sconcertanti campi di concentramento in Cirenaica, colpiscono le ripetute riflessioni di un disilluso Turati destinato al manicomio che Scurati indica come “il migliore di tutti”. A questo si aggiunge il silenzio alle dure parole del papa nel giudicare il regime una “statolatria pagana” e il coraggio di creare una ” terza Roma capace di unire la capitale al mare.
M l’uomo della provvidenza di Scurati è alla fine la figura di un dittatore solo, smarrito quasi anestetizzato dai suoi stessi fantasmi incredulo:
“davanti al coro dei morti che non vengono dal passato ma da un avvenire imminente”.
Il mio giudizio rispetto al primo testo di Scurati non cambia molto. Nonostante l’atmosfera romanzata, è un testo importante e va letto con attenzione, per la varietà delle descrizioni, il susseguirsi incalzanti degli eventi e i passaggi letterali spesso troppo approfonditi. Ma questo è lo stile di Scurati e va bene così!