Ludovico Ariosto è uno di quei nomi d’autore talmente importante che ispira soggezione soltanto nel pronunciarlo, figuriamoci ad approfondirne la conoscenza attraverso una rubrica, come Autori in tasca, che si prefigge di trattare ogni autore in maniera informale, oserei dire leggera, oppure personale. Niente di didascalico né di impostato. O almeno è così che mi piace interpretarne il senso e quindi caro lettore, non aspettarti una biografia o una critica, né tanto meno l’elenco delle opere con relativa argomentazione: tratterò Ludovico Ariosto in maniera assolutamente informale e personale, mi perdonerà il grande poeta e spero di incuriosire anche te.
Parto dal presupposto che se si vuole conoscere un autore classico come appunto è Ludovico Ariosto, gli strumenti disposizione sono innumerevoli: libri di testo specifici, enciclopedie, approfondimenti critici competenti e chi più ne metta. Noi, qui, raccontiamo invece l’approccio personale con un autore, in questo caso non propriamente leggero, cercando di raccontarlo secondo la nostra esperienza.
E dal momento che Ludovico Ariosto è uno degli autori che si studiano a scuola e tutti siamo stati studenti, tutti, chi più chi meno, ci siamo confrontati con i quarantasei canti in ottave dell’Orlando Furioso, poema che riprende la tradizione del Ciclo Carolingio e in parte Bretone, considerato come l’evoluzione dell’incompiuto Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, penso che chiunque, almeno per sommi capi, sappia chi è Ludovico Ariosto fin dai banchi della Scuola Media.
E tutti, con più o meno interesse e piacere, abbiamo sudato le proverbiali sette camicie sulle spiegazioni di versi, parafrasi, intrecci e vicende dei protagonisti: il paladino Orlando, la bella Angelica, il cavaliere pagano Ruggero, la guerriera cristiana Bradamante, il musulmano Medoro. L’Orlando furioso, opera ambientata sullo sfondo delle guerre fra cristiani e pagani, è considerata dalla critica la prima vera opera in lingua italiana, Ludovico Ariosto ne iniziò la prima stesura fra il 1504 e il 1507 e la completò nel 1516.
Ottenne subito uno straordinario successo e una grande diffusione e pur mancando allora i rapidi mezzi di comunicazione che abbiamo oggi, come fu come non fu, dall’Emilia Romagna regione di nascita di Ludovico Ariosto, arrivò in Sicilia... E vuoi che i siciliani non la facessero propria? L’estro e la fantasia dei teatranti siciliani si appropriarono dell’opera e finirono per affezionarsi ai personaggi tanto che trasformarono le loro vicende in spettacolo itinerante: L’Opera dei Pupi.
Certo raccontata così la vicenda potrebbe far rivoltare nella tomba il buon Ludovico Ariosto e inorridire fior di di critici e letterati che hanno sviscerato la metrica e i contenuti dell’Orlando furioso, però consentimi caro lettore, non è soltanto la mia fantasia che, sbrigliata, immagina gli ipotetici viaggi dall’Emilia Romagna alla Sicilia, delle ottave dedicate alla Chanson de geste e se conosci un minimo l’Opera dei Pupi, non mi darai totalmente torto.
Ludovico Ariosto e i Pupi Siciliani
Mi consento di accostare Ludovico Ariosto ai Pupi Siciliani e spero di non far inorridire nessuno: la connessione non è totalmente campata in aria. E ti spiego il perché… Prima però è doveroso un rapido accenno all’origine dell’Opera dei Pupi (prometto di essere rapida).
L’Opera dei Pupi è di inequivocabile matrice siciliana: fu proprio nell’isola che si sviluppò tra il Seicento e il Settecento, anche se sulla data di origine ci sono pareri discordanti. I pupari, ovvero artisti per lo più di strada, rappresentavano attraverso il teatro delle marionette, alcuni racconti della tradizione siciliana. I Pupi, marionette con una struttura in legno riccamente decorati e cesellati a mano, appartenevano originariamente a due scuole siciliane diverse: la scuola palermitana e quella catanese. I Pupi palermitani erano più leggeri e snodabili, mentre quelli catanesi erano più pesanti e con gli arti fissi.
Il puparo era (ed è ancora) l’artista che curava lo spettacolo in tutte le sue parti, scriveva le sceneggiature, muoveva i pupi e dava loro voce adottando un tipo di recitazione enfatica e carica di pathos poetico. Uso il passato ma ribadisco che l‘Opera dei Pupi, oggi iscritta fra i patrimoni orali ed immateriali dell’UNESCO, è in Sicilia ancora una forma teatrale apprezzata e soprattutto preservata come patrimonio culturale importante. Anche se i pupari oggi sono ormai pochissimi: uno fra i più conosciuti in tutto il mondo è Mimmo Cuticchio che, instancabilmente, mantiene viva l’antica e preziosa tradizione.
Fatta questa necessaria parentesi, torno a Ludovico Ariosto e alla sua poesia che fra l’altro non si limita soltanto all’Orlando Furioso.
Come dicevo prima, dall’Emilia Romagna alla Sicilia i temi dell’opera principale di Ludovico Ariosto impiegano grossomodo un paio di secoli ad arrivare, ma arrivano… Del resto a quei tempi non c’erano gli aerei né i treni ad alta velocità, nè tanto meno internet… Arrivano in Sicilia e i pupari ne fanno teatro: i pupi si trasformano in paladini, in principi, in graziose pulzelle, in terribili saraceni da combattere: insomma, assieme ad altre fonti di ispirazioni, il teatro dei pupi siciliani riprende i temi e i contenuti dell’Orlando furioso e ne fa spettacolo. Fu probabilmente anche per questo che l’opera di Ludovico Ariosto ebbe una grande diffusione e un grande successo? Non è da escludere.
Dal canto mio ti dico che il personale approccio scolastico con la poetica di Ludovico Ariosto fu parecchio influenzato dal teatro dei Pupi Siciliani: studiando l’autore non ho potuto fare a meno di collegarlo a quegli spettacoli itineranti carichi di fascino antico, cui mi è capitato assistere da bambina. Ed è per questo ho trattato Ludovico Ariosto con quasi familiarità, proprio come un autore da conservare nella tasca in alto a sinistra, assieme alla memorie più preziose.