La scorsa settimana, per celebrare la Shoah, ti ho segnalato dei libri particolari su alcuni personaggi sportivi scomparsi durante la persecuzione nazista. È stato il mio personale modo di trasmettere un messaggio chiaro, la testimonianza diretta di chi attraverso lo sport ha cercato di difendere i principi di libertà e di rispetto verso l’altro. Ma non è bastato. Lo sport e il razzismo è ancora motivo di discussione. Mi sono resa conto di quanto ancora va fatto per estirpare questa cultura e pur se con rammarico, il mondo sportivo ne è ancora contaminato. Perché?
Ho sempre considerato lo sport come l’antidoto più potente contro le differenze e le problematiche giovanili. Sarà perché ho trascorso la mia vita nei parquet delle palestre o l’aver aiutato mia figlia a superare grandi difficoltà? Probabilmente sì, ancora oggi ne sono profondamente convinta. Al di là del mio pensiero, se cerchiamo il capitolo sull’uguglianza l’articolo 21 non lascia dubbi:
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta qualsiasi forma di discriminazione basata, fra l’altro, sulla razza, il colore della pelle, l’origine etnica o sociale e l’appartenenza ad una minoranza nazionale.
Lo sport e il razzismo, La cultura della tolleranza
In teoria siamo tutti d’accordo, nella pratica un po’ meno. D’altra parte le notizie che arrivano dai media non sono certo confortanti. Troppi gli episodi di razzismo soprattutto nel calcio maschile che, purtroppo, non brilla per correttezza sportiva o difesa dei valori sportivi. In qualche modo, pur partendo con le buone intenzioni, serpeggia l’insana abitudine di farsi coinvolgere e trascinare più dalla cultura dell’appartenenza che da quella della tolleranza e del rispetto dei codici sportivi.
Tifosi, arbitri, a volte anche tra i giocatori è facile superare la linea dell’intransigenza, lo è maggiormente tra i giovanissimi meno inclini alla disciplina, ma alla fine non c’è molta differenza. Si può evitare tutto questo? L’Europa ci prova, anche il presidente della Fifa Joseph Blatter ha proposto di interrompere le partite in caso di episodi di discriminazione razziale particolarmente gravi. Certo “verba volant scripta manent”, per concretizzare le idee sarà necessario sedersi intorno a un tavolo e mettere nero su bianco. Qualche esempio?
Nel 2001 gli ultrà del Treviso presero di mira uno dei propri giocatori, Omolade, e i suoi compagni di squadra nella successiva partita si tinsero la faccia di nero in segno di solidarietà. Coly, altro calciatore, denunciò gli insulti ricevuti in occasione di Verona – Perugia dai tifosi locali. Non solo, il giudice sportivo inflisse all’Ascoli un’ammenda di 11.000 euro a causa dei cori razzisti che i sostenitori bianconeri avevano indirizzato al giocatore del Pescara Job.
A proposito leggi il libro di Massimiliano Castellani e Adam Smulevich Un calcio al razzismo. 20 esercizi contro l’odio
Il calcio, il gioco più bello del mondo, subisce sempre più l’insidioso veleno del razzismo. Una minaccia che ha origine nei drammi che hanno attraversato la società europea nel secolo scorso e che ancora pulsa nel ricordo di quelle ferite.
C’è infatti un filo che collega i maestri danubiani della Serie A epurati dal regime fascista in quanto ebrei agli ignobili attacchi contro campioni di oggi come Koulibaly e Lukaku. È quello che cerca di spiegare questo libro, in un percorso con diversi inediti, che spazia da Giorgio Bassani alle colte citazioni di Lilian Thuram, dal ruolo salvifico di questo sport per i reduci dai lager all’abominio di chi oggi propaga odio nelle curve. Fu una schedina, quella mitica del Totocalcio, il sogno di riscatto del giornalista Massimo Della Pergola quando si trovava ancora in un campo di internamento in Svizzera.
E fu un pallone che rotolava nel segno di una “Stella Azzurra” a ridare ad Alberto Mieli, sopravvissuto ad Auschwitz, la forza di restare in vita. Memorie un po’ sbiadite, che hanno invece molto da insegnarci. C’è un gioco da salvare. E la cura potrà essere solo una buona dose di consapevolezza. Massimiliano Castellani, giornalista professionista, è nato nel 1969 a Spoleto. Lavora al quotidiano Avvenire e nell’inserto Agorà, di cui è responsabile.
Lo sport e il razzismo, il rispetto delle regole, un modo per cambiare
Non sono esenti gli altri sport. Nel basket Carlton Myers, portabandiera della nazionale azzurra alle olimpiadi di Sydney 2000, subì pesanti insulti razzisti da parte dei tifosi varesini durante la partita giocata dalla Lottomatica Roma contro la Metis Varese. Altri episodi hanno coinvolto giocatore come Balotelli durante la partita con il Milan o nella partita di Supercoppa Italiana Juventus – Lazio, contro i giocatori Ogbonna, Asamoah e Pogba. Nella partita Monza-Rimini furono lanciate alcune banane verso l’attaccante senegalese appena ventiduenne Ameth Fall;
Come tutte le cose ogni cultura ha le sue origini e le Olimpiadi di Berlino del 1936 ne sono la prova. Adolf Hitler non ha lasciato nulla di intentato nel suo piano di valorizzazione e promozione della superiorità della sua Germania. Tutto è ben descritto dal film Olympia di Leni Riefenstahl, ma Jesse Owens, l’uomo più veloce del mondo vinse ben quattro medaglie. È lui il vero simbolo dell’antirazzismo e la dimostrazione vivente della inconcretezza di certe teorie
Possiamo fare qualcosa? Sì, si può. Bisogna saper rendere più severe le regole ed evitare gli episodi razzisti nello sport, intraprendere e portare avanti tutto ciò che è possibile e indispensabile per contrastare questo problema che è anche e soprattutto una battaglia contro l’ignoranza.