L’isola di Wight è un libro prezioso e accurato scritto dalla penna sapiente del docente e critico musicale Guido Michelone. Il volume, che ho avuto il piacere di leggere e gustare lentamente, è pubblicato da Diarkos per la collana Ritmi e contiene la prefazione di Jesse Chastain Dayle che pone un’ottima premessa, direi quasi nostalgica, a tutto il percorso di narrazione e storia – alternate insieme – che l’autore mette di fronte al lettore.
Ma addentriamoci meglio nella mia recensione!
L’isola di Wight di Guido Michelone: la mia recensione
…serpeggia, forse, in questo e nell’altro libro, un senso di ricerca di tempo perduto alla Marcel Proust…
Leggendo L’isola di Wight Guido Michelone affronta un viaggio nel tempo, un tuffo negli anni Sessanta e Settanta, decenni in cui i nostri genitori erano giovani, belli e ribelli. E lo fa con maestria, riportando alla luce, attraverso una bibliografia dettagliata, il primo grande festival della musica rock accompagnando il lettore nella storia delle prime edizioni, mettendole a confronto una per una e andando a fondo per capire le motivazioni che hanno spinto quel popolo giovanile ad assembrarsi sotto il segno della musica.
Ma il titolo non ricorda forse una canzone italiana?
L’Isola di Wight e i Dik Dik
Per i collezionisti di 45 giri, per i boomers nostalgici, per i nostri genitori, l’isola di Wight è il ricordo di un brano dei Dik Dik. Il gruppo milanese, nato nel 1965, aveva tradotto, inciso e diffuso in Italia il brano francese dal titolo Wight is Wight, scritto e interpretato da Michel Delpech. Una canzone che rappresenta, per chi l’ha vissuta, una vera poesia beat come omaggio alla giovane controcultura hippy di quegli anni intensi e floreali.
Io ho un ricordo ancora impresso nella mente: quando ero piccola mio padre mi aveva portato a vedere la sua band preferita nei concerti del paese in cui sono cresciuta. Ed erano proprio loro, il quintetto dei Dik Dik.
Ancora oggi ogni tanto mi ritrovo a canticchiare:
Sai cosè l’isola di Wight
è per noi l’isola di chi
ha negli occhi il blu
della gioventù
di chi canta
hippi hippi pi
L’isola tra storia e cultura
Il libro di Guido Michelone possiede due sembianze a mio modesto parere : mentre da un lato ha uno stile decisamente accademico per l’accuratezza, l’esposizione, la divisione in capitoli (ognuno di essi ha una spiegazione logica e dettagliata), dall’altro emerge una parte meno oggettiva e formale facendo spazio alla passione enorme che l’autore nutre per la musica, per la sua Storia ( con la esse maiuscola intende precisare), per i grandi capolavori degli anni sessanta e settanta e per il movimento culturale e sociale che è ruotato intorno ai festival.
È stato davvero interessante vedere in che modo l’autore apre la mente al lettore cercando di dare importanza a uno dei festival che, rispetto a Woodstock, è stato un po’ oscurato dall’esposizione mediatica e commerciale di quest’ultimo.
L’isola di Wight mi ha permesso di comprendere alcuni lati nascosti dei festival musicali e – al di là delle polemiche – ha aperto mondi musicali che avevo sepolto, alcuni che ho avuto il piacere di rispolverare dai meandri della mia infanzia e altri completamente nuovi.
L’autore, oltre a spiegare la fondazione della kermesse, descrive gli autori di questo festival e cosa ha realmente fatto la differenza dalla prima alla terza edizione (facendo poi un salto temporale ai giorni nostri) creando una vera e propria biblioteca musicale che farà gola agli appassionati di musica rock e non solo (jazz e blues).
E l’estate, in conclusione, può essere la chiave di lettura per capire le edizioni 1968,1969,1970 del festival dell’isola di Wight: come già visto, capelli lunghi al vento, abiti lanciati per aria, ragazzi ignudi al sole per incontrarsi, amarsi, divertirsi.
L’isola tra magia e nostalgia
L’isola di Wight è un libro che, oltre ad arricchire la cultura musicale e sociale degli anni 70, mi ha fatto sicuramente provare invidia per chi ha potuto vivere quegli anni in cui c’era un fermento di libertà, rivoluzione e femminismo che oggi forse non si respira più.
Ho provato sicuramente una sensazione di nostalgia, perché oggi ci troviamo di fronte a un panorama musicale completamente diverso e, nonostante il rock non morirà mai, non si avverte più quel senso di ricerca del suono, vibrante ed emozionale.
Dev’esserci un’isola più a sud, una corda più tesa e più vibrante. – José Saramago