Questo periodo, in cui per le strade d’Europa sfrecciano a destra e a manca biciclette, non possiamo non parlare di Alfonsina Strada, la prima donna ad aver gareggiato nel Giro d’Italia, scontrandosi con gli altri atleti, tutti uomini.
La sua non è una normale storia di ciclismo, e nemmeno una delle più ricche di vittorie, ma il punto è un altro: questa donna è riuscita a sconfiggere un tabù, a guadagnare consensi e risultati in un’epoca e in un ambito che non aspettavano altro che di schiacciarla.
Conosciamo meglio Alfonsina Strada
Alfonsina Strada, da nubile chiamata Alfonsa Rosa Maria Morini, nacque nel 1891 in un paesino dell’Emilia-Romagna. Era la seconda di dieci fratelli, tutti figli in una coppia di contadini, quindi non deve stupire che le condizioni in cui vivevano fossero dure e proibitive.
Il cambiamento iniziò nel 1901 (o forse 1897, le fonti non sono proprio certe), quando il pare della Strada acquistò dal dottore di paese una vecchia bicicletta sgangherata, instabile ma ancora scattante. Dal momento in cui Alfonsina imparò a pedalare, nulla la fermò più: la bicicletta le mise le ali, le fece assaporare l’indipendenza come solo qualcosa che fino a poco prima era proibito riesce a fare. Arrivò persino a saltare la messa domenicale, per partecipare a gare di ciclismo (e ricordiamoci che siamo ai primi del Novecento, e un comportamento simile è tutto fuorché comune).
L’unico problema? I suoi genitori erano totalmente, completamente contrari a questo suo passatempo, e le diedero un ultimatum: vuoi la bicicletta? E allora sposati e vattene, perché finché abiti sotto il nostro tetto, non esiste che gareggi (un ragionamento che suona anche troppo familiare e odierno, per certi versi). E quindi Alfonsina decise di sposare Luigi Strada, che fino al momento della sua morte sarà uno dei più fieri sostenitori della moglie.
Alfonsina Strada continuò a correre, fece qualche gara anche a Torino, all’epoca capitale italiana del velocipede, e tutto in modo abbastanza dilettantistico. Fino a quando le necessità della vita s’insinuarono in quella che prima era solo una passione: la paga quotidiana del suo lavoro da sarta non bastava a coprire le spese – il marito era internato in un manicomio e i coniugi avevano a carico una nipote, che stava in collegio – e quindi la Strada prese l’unica decisione possibile: partecipare al Giro d’Italia 1924.
«Sono una donna, è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella; ora sono… un mostro. Ma che dovevo fare? La puttana?
Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa 10 lire al giorno. Ad Aquila avevo raggranellato 500 lire che spedii subito e che mi servirono per mettere a posto tante cose. Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene.»
Alfonsina Strada, intervista al Guerin Sportivo.
La fortuna fu dalla sua parte, perchè in quell’anno gli organizzatori del Giro avevano proprio bisogno di qualcosa che faccesse pubblicità, e la partecipazione di Alfonsina Strada, unica donna in una competizione di uomini, fu il motivo perfetto. La Strada completò ogni tappa, anche se spesso nelle ultime posizioni (subito prima di chi la corsa non l’aveva proprio finita), e questa sua prova di tenacia e resistenza le guadagnò il sostegno e l’affetto di molti, che organizzarono anche una colletta in suo onore.
Dopo questa prima esperienza Alfonsina continuò a correre: nel 1934 prese parte al primo campionato del mondo femminile – non ufficiale – disputato al parco Josaphat di Schaarbeek a Bruxelles, nel ’37 riuscì a battere a Parigi la campionessa francese Robin e nel ’38 conquistò a Longchamp il record dell’ora femminile non ufficiale – 35,28 km. Si esibì anche in vari circhi in tutta Europa, dove si guadagnò da vivere grazie alla sua destrezza in sella.
Morì d’infarto nel 1959, dopo aver assistito alla gara classica d’autunno delle Tre Valli Varesine.
Alfonsina e la strada: la storia di Alfonsina Strada raccontata da Simona Baldelli
Se vuoi conoscere meglio la storia di Alfonsina Strada, allora ti consiglio il libro che Simona Baldelli ha pubblicato con Sellerio: Alfonsina e la strada.
Si trattava di Alfonsina Strada, aveva già affrontato due Giri di Lombardia. Il tracciato della competizione attraversava la penisola per oltre 3.000 chilometri, gli iscritti furono 108, al via se ne presentarono novanta, e fra questi c’era Alfonsina. Solo in trenta completarono la gara.
Il romanzo racconta la sua storia, dai tempi duri e affamati di Fossamarcia, nei pressi di Bologna dove nacque nel 1891, fino al 13 settembre del 1959, giorno della sua morte.
In mezzo ci sono due guerre mondiali, la Marcia su Roma cui prese par te uno dei suoi fratelli, e poi D’Annunzio che le regalò una stella d’oro, Mussolini che volle darle un’onorificenza da lei mai ritirata, una medaglia che la zarina Alessandra le appuntò personalmente al petto. E gli anni passati a esibirsi nei circhi d’Europa e due matrimoni, il primo a 14 anni, l’unico modo per andar via di casa perché i genitori le volevano impedire di gareggiare. Il giovane marito era Luigi Strada, di professione meccanico, uomo dalla psicologia molto fragile. Le offrì un amore sincero, lei ne mantenne per sempre il cognome.
Dalla povertà alla fama all’oblio, Alfonsina è stata una pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile.
Simona Baldelli ha trovato lo sguardo e la voce per trasformare la sua epopea in un romanzo attento alle verità della Storia e sensibile alle sfumature dei sentimenti, creativo nella struttura e libero di intrecciare i fatti concreti con l’invenzione necessaria al gesto letterario. Accade allora che nelle sue pagine Alfonsina prenda vita e ci mostri, nella scoperta di un’impresa faticosissima e anticipatrice, il ritratto di una donna che mai volle porsi dei limiti.