I Veda rappresentano un antichissimo esempio di testo scritto in sanscrito, nonché forse uno dei primi esemplari di letteratura indoeuropea. Sebbene una datazione precisa non sia possibile – si tratta di un periodo troppo remoto per riuscire ad avere dati certi – svariati studiosi sono concordi nel collocare quanto meno il completamento della stesura di questi testi intorno al 1000 a. C.. La faccenda è così complessa, però, che c’è anche chi sostiene che l’inizio del processo di scrittura potrebbe risalire al 1500 a. C., e chi arriverebbe addirittura anche al 7500 a.C..
Il popolo che compose i Veda – anche se sarebbe più corretto parlare di trascrizione visto che, come molti testi sacri, anche in questo caso le parole non sarebbero umane, ma di origine divina – è quello degli Arii o Indoari, una popolazione nomade originaria dell’odierno Afganistan, che intorno al 2200 a.C. migrò nei territori dell’attuale India nord-occidentale, imponendo il proprio dominio sulle genti autoctone.
Il fulcro della religione arii è rappresentato dall’ordine cosmico, il Ṛta, che governa il mondo. Esso è strettamente collegato al rito sacrificale ed è protetto dalla divinità Asura Varuṇa. Molto importanti erano anche il rito del fuoco e la bevanda sacra soma. Nei secoli, la religione vedica si unì e fuse con i culti autoctone locali, ponendo le basi per l’odierno Induismo.
Veda: testi sacri della popolazione Arii
Prima di tutto è necessario parlare dei quattro Saṃhitā, i più antichi (2000 a.C. – 1100 a. C. circa): Ṛgveda, Sāmaveda, Yajurveda e Atharvaveda. Ṛgveda è il primo testo a essere stato composto – da autori ignoti ovviamente, e contiene 1028 inni (chiamati sùkta), a loro volta suddivisi in strofe, i mantra, e raggruppati in dieci libri – maṇḍala. Il focus principale di questo testo sono l’insieme di riti sacrificali e la loro importanza; mentre una parte meno corposa del testo viene dedicata al culto delle divinità guerriere. Sāmaveda invece, si compone di canti riservati al sacerdote e ai suoi assistenti, sebbene buona parte del contenuto riprenda quello del testo precedente. I canti riguardano soprattutto le divinità guerriere e il soma, la bevanda sacra.
Yajurveda contiene tutto il materiale che riguarda il rito sacrificale, con formule non solo in forma di inno, ma anche di litanie. Atharvaveda venne considerato solo successivamente come un testo sacro; contiene scritti di carattere magico, positivo e negativo, e medico, comprese alcune credenze popolari.
I Brāhmaṇa, composti tra il 1100 a. C. e l’800 a. C., sono commentari ai quattro testi principali; mentre gli Āraṇyaka, – dello stesso periodo – sono formati da testi esoterici recitati dagli eremiti, o comunque fuori dai villaggi. Tra l’800 a. C. e il 500 a. C. vennero composte le Upaniṣad, che rappresentano un ulteriore approfondimento. Infine, seguono Sūtra e Vedāṅga, ossia delle codifiche dell’ampio sistema di rituali.
La collocazione di questi scritti all’interno del sistema religioso attuale è complessa. Se, da una parte, c’è chi li considera come parola divina, non modificabile e valida in eterno, non viene loro atribuuito da altre correnti un ruolo fondante all’intero dell’Induismo. Rimane comunque indiscusso il loro enorme valore storico, culturale e linguistico.