Credo che i libri, quelli belli, quelli forti, finiscano per influenzarci nel profondo, sia mentre li leggiamo, sia quando, magari, ci prendiamo dei momenti di pausa. Tuttavia, il loro pensiero rimane sepolto nella mente e indirizza le nostre scelte, che noi lo vogliamo oppure no. Cosa centra questo preambolo con la ceramica di İznik, tema di oggi? Ora te lo spiego.
Tutto ha inizio dal romano La città fra le nuvole di Anthony Doerr, edito da Rizzoli, che sto pian piano leggendo (un po’ alla volta, perchè mi sta lacerando, e quindi devo scegliere i giorni giusti in cui prenderlo in mano). Senza spendere troppe parole sulla trama e sui personaggi – per tutto ciò vi sarà tempo in seguito, con la recensione – il particolare su cui focalizzarsi per il momento è soltanto uno: la vicenda di due dei protagonisti, Omeir e Anna, ha luogo a Costantinopoli, che poi è l’antico nome di Istanbul.
Quindi quando, cercando un tema per l’appuntamento di oggi, mi sono imbattuta nella ceramica di İznik, non ho potuto fare a meno di eleggerla vincitrice.
La ceramica di İznik: la Cina e l’Impero ottomano come fonte d’spirazione
Come forse puoi già immaginare, la ceramica di İznik deve il proprio nome alla città in cui se ne concentrava la produzione, ossia İznik, per quanto i reperti archeologici abbiano permesso d’individuare almeno un secondo centro di manifattura, Kütahya, sebbene più piccolo e periferico – troppo lontano da Istanbul per essere davvero competitivo.
Il picco di produzione di queste ceramiche va circa dal 1400 al 1600, per poi scemare un po’ alla volta con il calo d’interesse da parte dei sovrani dell’impero ottomano, che erano stati tra i migliori clienti della città. Interessante notare come, tra l’altro, fu proprio la loro presenza nella zona, dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, a influenzare gli artigiani, che lasciarono da parte la terracotta prodotta fino a quel momento, per concentrarsi su un nuovo tipo di ceramica, le cui decorazioni erano protette da uno smalto di ossido di piombo.
Ai gusti del sultano sono riconducibili anche i primi prodotti così creati: oggetti con disegni blu acceso su sfondo bianco, che richiamavano le ceramiche cinesi – che però gli artigiani non erano in grado di ricrea. Ciò che rese subito uniche le ceramiche di İznik fu però la capacità di adattare i soggetti dipinti, fondendo soggetti più cinesi ai tipici arabeschi ottomani. In questo modo, non si creavano copie, ma lavori completamente nuovi.
Nel XV secolo i ceramisti iniziarono a utilizzare il colore blu cobalto e a lavorare un nuovo tipo di impasto: la ceramica vitrea. Tuttavia, essendo un composto poco flessibile, era spesso necessario ricorrere a più passaggi per creare un oggetto: le varie parti venivano modellate separatamente, per poi venire incollate insieme mediante l’utilizzo di altra ceramica vitrea.
Durante il corso del XVI secolo vennero introdotti nuovi pigmenti, come il turchese, il verde smeraldo e il rosso bolo. Importantissimo fu il sostegno del sovrano Solimano il Magnifico (1520-1566) e della sua discendenza, il cui mecenatismo permise alla città di prosperare. In loro onore venne creato uno stile particolare di decorazione, quello a “Corno d’Oro” (dal nome di una zona di Istanbul), costituito da un motivo a spirale che richiamava la firma del sovrano.
Il declino della ceramica di İznik va ricollegato alla minore richiesta di creazioni da parte degli imperatori, alla perdita di prestigio dell’Impero ottomano stesso, e all’introduzione di dazi sulle merci. In città rimase quindi aperto un numero irrisorio di forni, e anche l’abilità e le conoscenze acquisite dagli artigiani andarono via via svanendo, portando alla realizzazione di pezzi molto più semplici rispetto ai capolavori del passato.