Helena Janeczek è stato il mio primo incontro letterario per iCrewplay in occasione della sua visita a Lecce per parlare del tanto sospirato Premio Strega conquistato con La ragazza con la Leika. Un’intervista che mi ha colpita, particolare come lei, un personaggio capace di guardare e raccontare il mondo e ciò che lo circonda sempre con occhi diversi. Questa volta, rivolge il suo sguardo e le sue riflessioni verso l’universo attraverso il cibo, che è anche il titolo del suo libro, pubblicato già nel 2001 ma rivisitato dall’autrice e rieditato da Guanda editore qualche settimana fa.
L’introduzione del libro è affidata ad una delle celebri frasi di Oscar Wild sempre molto drastico quando si trattava di tutelare un pensiero personale e in questo caso l’arte del cibarsi era uno di questi, “Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo” diceva, un pensiero condiviso anche dall’autrice.
“Ho scoperto, scrivendo questo libro, quanto di noi sia legato al cibo. Il cibo è cultura materiale, non è legato solo al corpo bensì anche all’anima della persona, alle sue rughe, ogni pelle, poca o molta che sia, tutto parla di noi. Ognuno, con la propria storia, s’identifica con ciò che mangia e quindi il cibo aiuta a rispolverare la memoria storica di ognuno di noi.”
VEDIAMO DI COSA SI TRATTA…
Il cibo oggi è diventato una delle principali occupazioni, ossessioni, manie; la cucina insieme all’ordalia igienista di ciò che fa bene o fa male sono le ronzanti colonne sonore delle nostre giornate. Prendere sul serio il cibo è un’altra questione. Di certo, senza tanto proporselo, fanno Elena, la donna che si racconta in questo libro, e Daniela, la massaggiatrice alla quale si rivolge per impegnarsi a fondo in una dieta dimagrante e rimodellare il proprio corpo. Perchè quello che condividono durante le loro sedute è qualcosa di profondo. A ogni piatto che nominano, a ogni ricetta o tradizione rievocata, riaffiorano un ricordo, un’amicizia, un amore, un rito di famiglia, una ferita. Le creme di piselli e i krapfen delle feste di Ulrike, anoressica per desiderio di una Monaco dell’infanzia e dell’adolescenza; i praghesi gnocchi di pane alla prugna di Ruzena, obesa per allontanare l’incubo dei carri armati sovietici e il dolore dell’esili; i gattò di Teresa, che rivendica cucinando la sua identità; i pranzi domenicali della nonna veneta e contadina di Daniela; fino alle aringhe salate che risvegliano in Elena la memoria del Kiddush del sabato nella sua famiglia ebraica, e soprattutto del padre scomparso troppo presto. Alla fine di un romanzo che mescola e unisce, come fa il cibo, individui e culture Helena Janeczek si riserva ancora lo spazio di una riflessione su una tragedia dei nostri anni, il crollo delle Twin Towers, attraverso le storie dei cuochi che nelle torri lavoravano
Un libro bello e per questo da leggere con attenzione, costringe il lettore ad interrogarsi, perchè come dice la Janeczek“Il cibo è memoria, e nostalgia, amore e ossessione, condivisione e solitudine: una storia che ci riguarda tutti”