Quando si parla di grandi classici, le reazioni di un lettore possono essere, a mio parere, tre: ci sono gli appassionati, pronti a battersi contro tutto e tutti per sostenere la bellezza delle opere; poi coloro che, solo a sentire o a leggere la classificazione “classico”, ripongono il volume sullo scaffale (io solitamente rientro in questa categoria, se non per qualche sporadico caso); e poi c’è chi ha intenzione di leggere Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas.
Con la sua trama avvincente, ricca di colpi di scena, Il conte di Montecristo è un opera che attrae e cattura. Il protagonista, Edmond Dantès, è quello che oggi definiremmo un personaggio “moralmente grigio”, un uomo che compie azioni scorrette, illegali, a volte persino crudeli, ma in qualche modo comprensibili. O almeno, è comprensibile il motivo per cui arriva a fare ciò che fa – dopo quattrodici anni ingiustamente prigioniero delle carceri francesi di metà Ottocento (non un bel posto, immagino), credo che le opzioni siano due: impazzire o cercare vendetta. Dantès sceglie la seconda strada.
Per parlare del volume fisico, Alexandre Dumas (il padre, quello che ha scritto anche I tre moschettieri) ha scritto Il conte di Montecristo tra il 1844 e il 1846, in un tempo straordinariamente vicino a quello dei fatti narrati nel romanzo, che vanno dal 1815 al 1838. Uscita in calce a una rivista, quest’opera è un classico esempio di romanzo d’appendice, con uno stile accattivante, una trama ricca di colpi di scena, ben distribuiti in ogni capitolo, in modo da invogliare il lettore ad acquistare anche il numero successivo, per scoprire come si sarebbe conclusa la vicenda.
La frenesia con cui Alexandre Dumas e Auguste Maquet, il ghostwriter che lo assisteva, composero i capitoli fu lampante nel momento in cui venne realizzata l’opera plenaria. Infatti fu necessario un corposo processo di editing, durante il quale vennero corrette, ad esempio, date discordanti da un brano all’altro del libro.
Interessanti sono anche le vicende di traduzione italiana di Il conte di Montecristo, in quanto dal 1984 ai primi anni 2000 venne continuamente utilizzata una versione, quella di Emilio Franceschini, un nome fittizio che nasconde una traduzione anonima, caratterizzata da una pesante dose di censura. Non solo sono state riformulate quasi tutte le frasi in cui l’autore paragona tratti di vari personaggi a divinità, ma un intero capitolo è stato rimaneggiato, sostituendo la cruenta scena di un’esecuzione presente in francese, con una blanda impiccagione in italiano.
Fortunatamente, ora sono disponibili anche le traduzioni di Gaia Panfili e di Lanfranco Binni, basate su un’edizione critica e filologicamente corretta de Il conte di Montecristo; nonché i lavori di Guido Paduano e Margherita Botto.
Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas
Dopo tanto parlare di questo romanzo dall’aria immortale, è giunto il momento di capire se Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas è una lettura che può interessarti. E per fare ciò, non c’è modo migliore che leggere la trama.
Nessun romanzo, forse, ha avuto tante edizioni (settantasei solo in Italia, già dal 1846), tanti adattamenti cinematografici (il primo nel 1922) e televisivi; è diventato un musical, un fumetto con Paperino, è stato immortalato sulle figurine Liebig e condensato nelle strisce della Magnesia San Pellegrino; oggi ispira la serie americana “Revenge”. Tutti quindi possono dire di conoscerne almeno a grandi linee la trama e il protagonista, anche chi non lo ha mai letto.
Ma non c’è trasposizione, necessariamente lacunosa, data la mole del romanzo, che valga il godimento di aprirlo e rimanere intrappolati senza scampo nel suo inesorabile ingranaggio narrativo, che funziona sempre anche se si sa già come andrà a finire la vicenda. I suoi stessi difetti, le ripetizioni, le digressioni, le zeppe, sono funzionali al piacere della lettura.
È una storia di vendetta, di un uomo tradito che, una volta trovati i mezzi per tornare in libertà, fa di tutto per condurre alla disperazione chi l’ha tradito e denunciato per gelosia. Ai pochi, invece, che gli sono rimasti fedeli, dona gioia e felicità.