Oggi, caro iCrewer, ho l’onore di inaugurare Libri e Cinema, la nostra nuova rubrica. E per farlo, ho scelto un pezzo da novanta: American Gods, di Neil Gaiman, pubblicato in Italia da Mondadori.
In questa nuova serie di articoli, tratteremo opere che possono vantare sia una versione libresca, sia una cinematografica, cercando di mettere in luce le diverse interpretazioni, i punti in comune, le differenze e, in generale, esprimendo la nostra personale opinione in merito. E quindi, perchè non trattare per primo un libro la cui trasposizione sta avendo così successo?
Prima di passare alla domanda che tanto ci turba, credo sia il caso di iniziare con la recensione del volume, che ho terminato da poco.
American Gods, il capolavoro pluri-premiato di Neil Gaiman
Per cercare di farsi un’idea della trama ci vuole tempo, bisogna riunire i dettagli e fare affidamento su qualche conoscenza pregressa, per riuscire a indovinare di che personaggio si tratti, prima che venga palesemente svelato. Sebbene possa sembrare un deterrente, proprio questa caratteristica dell’opera di Neil Gaiman è ciò che me l’ha fatta adorare. Tenendo presente che io ho letto la versione ripubblicata nel decimo anniversario della prima uscita, e quindi di qualche centinaio di pagine più lunga, mi è piaciuto tutto questo lavoro d’indagine, il dover ricordare diversi particolari, cercando di ricomporli, per tentare di anticipare l’autore anche solo di una parola.
Posso già dirti che questa tecnica non ha funzionato. Ogni volta che pensavo di aver fatto qualche passo avanti, la trama cambiava nuovamente asse e tutto acquisiva un’altra luce.
Ho trovato American Gods un racconto polifonico, in cui ogni sottotrama, ogni episodio onirico, porta con sé una componente di critica sociale. Non è un semplice fantasy (anche se, sinceramente, a tratti sono stata restia a definirlo in questo modo, sebbene molti personaggi siano divinità scese in terra). Le parole sono usate per far riflettere il lettore, per smuovere qualcosa dentro, per farlo immedesimare e, allo stesso tempo, sconvolgere ciò di cui era convinto fino a pochi attimi prima (e con me ha funzionato).
Tuttavia, a misurare la bravura di Gaiman non sono certamente solo le mie parole, ma soprattutto il fatto che il suo libro sia stato un bestseller negli Stati Uniti, e abbia anche costituito la base per una serie TV di altrettanto successo. E dobbiamo tenere conto del fatto che il volume parla dell’America, e non sempre i toni sono positivi.
American Gods è il racconto di un viaggio: un viaggio attraverso l’America; un viaggio (o svariati) verso l’America e un viaggio nei tempi dell’America. E ogni momento ha il suo specifico portavoce: una donna della Cornovaglia, un equipaggio vichingo, una vecchia divinità quasi dimenticata o un uomo il cui mondo è cambiato competente nell’arco di una notte.
Shadow è l’apripista giusto: scettico, non crede a tutto ciò che gli viene detto, non è un cieco seguace; affidabile, se dà la sua parola, farà il possibile per mantenerla; alla continua ricerca di se stesso, delle risposte a domande antiche. I suoi sono gli occhi perfetti attraverso cui presentare sogni burrascosi, realtà incredibili e miti diventati concreti. D’altra parte, il suo continuo dubitare rende per noi più credibile la situazione. Se ci vuole del tempo per Shadow, perché egli finalmente accetti il mondo in cui è stato scaraventato, nessuno ci biasimerà, se dopo duecento pagine ancora ci parrà di essere in alto mare.
Nel complesso, American Gods per me è stato una sorpresa molto gradita. Quando ho sentito l’accoppiata “fantasy-dività” mi aspettavo qualcosa quasi simile a uno Starcrossed più adulto, e invece mi sono ritrovata tra le mani un libro che non narra semplicemente una storia avvincente e complessa, ma che muove anche molte critiche ben ponderate a una società che a volte vuole presentarsi con una patina di perfezione.
Meglio il libro o la serie TV?
Non sono di certo un’esperta, e ammetto di aver visto soltanto la prima stagione della serie ideata da Bryan Fuller e Michael Green e visibile sulla piattaforma di Amazon Prime Video, ma ho notato fin da subito alcune differenze di trama che, sbirciando gli episodi successivi, diventano sempre più grandi.
Sebbene io sia rimasta un po’ spiazzata inizialmente (non mi aspettavo che fosse pari pari, però neanche che dopo dieci minuti venissero svelati dettali che mi ci sono volute un paio di centinaia di pagine per scoprire), poi ho avuto una rivelazione: in questo caso specifico, paragonare trama libresca e trama cinematografica serve a poco. Non siamo davanti a due gemelli omozigoti di American Gods, quanto più a due fratelli, simili ma non identici.
Il cambiamento più grande è lo stesso Shadow, tanto espressivo e loquace nella serie, quanto imperscrutabile e taciturno nel libro. Tuttavia, devo dire che si tratta di una scelta che non mi dispiace affatto.
Mi è piaciuto molto il modo in cui la regia ha realizzato i vari effetti (di nuovo, ricordato che io sono quello che più distante ci sia da una figura competente in materia): mi hanno dato stessa sensazione soffusa, onirica, che ho ritrovato in così tante parti del libro.