Mio caro Icrewer, quest’oggi vorrei parlarti di un argomento molto particolare: l’editoria.
Oggi, siamo abituati a spulciare tra centinaia e centinaia di titoli disponibili in libreria o addirittura comodamente racchiusi in un file digitale consultabile in qualsiasi momento e luogo vogliamo.
Ma se per noi tutto questo è ormai la normalità, come stavano le cose in passato? Esisteva un mercato librario simile a quello odierno?
Per risponderti a questa domanda voglio trascinarti in un viaggio che ti trasporterà fino alle pendici scoscese della Grecia antica e ai colli ameni di Roma!
Quindi accomodati e preparati a scoprire come funzionava l’editoria nel mondo antico!
Come scrivere un libro
Oggi scrivere è facilissimo! Serve soltanto una penna e un foglio di carta e a volte neanche quelli! Ci basta aprire il nostro computer e digitare una lettera dopo l’altra sulla tastiera.
Ma nell’Antichità le cose erano molto diverse!
Trovare i materiali per la scrittura era un’ardua impresa. A Roma e in Grecia il papiro e poi la pergamena erano materiali molto pregiati, importati dall’Oriente e quindi difficili da reperire. Era molto più frequente l’uso di materiali duri come le tavolette di pietra o legno ricoperte di cera su cui era possibile incidere le diverse lettere.
Lavorare su questi materiali improvvisati era certamente difficile, per questo gli autori antichi raramente scrivevano da soli le proprie opere. Infatti i testi autografi (scritti di proprio pugno dall’autore stesso) si affermarono con stabilità solo a partire dal IX secolo e nel Medioevo, ma nell’Antichità erano molto più rari. Quindi, di solito, ci si affidava a degli stenografi, dei “professionisti della scrittura” cui si dettavano le proprie opere.
Esistevano diverse fasi di scrittura: in un primo momento l’autore raccoglieva appunti e suggestioni, magari prendendo spunti da altre letture o da esperienze di viaggio. Questi appunti venivano poi registrati su piccoli fogliettini o su tavolette “portatili”, facili da portarsi dietro. Da qui il nome di pugillares che significa appunto “che si tengono in pugno”.
Da questa serie di appunti sparsi si procedeva con la stesura dell’opera vera e propria, riunendo le tavolette e ricopiandole con i dovuti accorgimenti su un materiale più “pregiato” come il papiro o, più tardi, la pergamena. A questo punto l’opera poteva dirsi conclusa, anche se diversi autori, soprattutto i più scrupolosi, potevano decidere di correggerla e rivederla ulteriormente.
Editoria e pirateria
A questo punto possiamo cominciare a parlare di editoria ma la prima domanda da porsi è: esisteva davvero l’editoria nell’Antichità?
Se per editoria intendiamo l’attività che si occupa di riprodurre e commercializzare libri o altri beni, in quel caso probabilmente dobbiamo ammettere che non esisteva nell’Antichità. Mancavano beni e conoscenze per poter pensare ad un vero e proprio mercato librario, almeno come lo intendiamo noi oggi.
Quindi, cosa doveva fare un autore per diffondere e far conoscere i propri libri?
Se invece uno scrittore desiderava rivolgersi ad un pubblico più ampio, poteva scegliere di rivolgersi ad un editore che si incaricava di produrre copie e commercializzarle.
Cicerone, ad esempio, per la pubblicazione delle sue opere si affidava ad Attico uno dei suoi amici più facoltosi che, forse proprio in virtù della loro amicizia, aveva aperto un’officina a Roma che si occupava di ricopiare e vendere libri, soprattutto classici greci e latini, ma anche opere di autori “emergenti”, come li chiameremmo noi oggi.
E come Attico c’erano molti altri: i Sosii, Trifone, Doro sono i nomi di alcuni famosissimi editori della Roma tardorepubblicana e imperiale (della editoria greca, purtroppo, non sappiamo nulla).
Ma servirsi di un editore era costosissimo! Inchiostro, papiri e pergamene erano merci rare ma ancor più difficile da reperire era la manodopera: gli schiavi istruiti e altamente specializzati nella scrittura, infatti, non erano affatto comuni.
E quello dell’editore era un lavoro particolarmente redditizio! I libri erano beni pregiati e, contrariamente a quanto si pensa, anche molto richiesti nella Roma imperiale. Uomini (ma anche moltissime donne) del ceto nobiliare facevano a gara per accaparrarsi i libri più “alla moda” da incorporare nelle loro biblioteche private.
Non si può dire lo stesso per gli scrittori, invece, che non solo dovevano pagare di propria tasca gli editori ma dalla vendita dei loro libri non ricevevano alcun compenso. Infatti, per quel che ne sappiamo, il diritto d’autore non esisteva ancora!
Affidarsi ad un editore era quindi un lusso che solo alcuni potevano permettersi.
Dunque, il modo migliore per farsi conoscere rimaneva quello delle recitationes cioè le letture pubbliche delle proprie opere. Anche queste potevano avvenire in vario modo: nelle piazze, nei tribunali, in occasione di festività o cerimonie religiose o civili o anche nelle case dei privati durante cene o simposi.
Tutti gli intellettuali, sia piccoli e grandi, potevano declamare pubblicamente le loro opere. Ma c’era anche un grande rischio: quello della pirateria.
Era molto facile, infatti, che un ascoltatore potesse farsi mettere per iscritto il contenuto di un’orazione sentita in piazza, o di una lezione ascoltata in qualche scuola. E ci sono tantissime testimonianze di autori indignatissimi che lamentavano il “furto” di molti dei propri lavori.
Anche perché, al di là dell’affronto personale, questo furto comportava molto spesso anche la falsificazione dell’opera originale che finiva per allontanarsi da quella che era l’idea dell’autore che l’aveva concepita.
Un problema questo che tormenta anche gli studiosi di oggi che molto spesso si ritrovano a chiedersi se un’opera appartenga realmente all’autore che si pensa l’abbia scritta o se sia, piuttosto, il frutto di falsificazioni successive che, comunque, hanno il merito di averla condotta sino a noi.
Insomma sembra proprio che, prima ancora dell’editoria vera e propria, sia stata la pirateria a permettere la diffusione di moltissimi capolavori letterari!