Se sei un appassionato di letteratura, iCrewer, forse ti sarai accorto come moltissime culture abbiano identificato come uno dei loro punti saldi, quasi una misura identificativa, un’opera letteraria. Per l’Italia è la Divina Commedia, per la Russia l’Eugenio Onegin, e per il Giappone il Genji monogatari.
Sebbene La storia di Genji non abbia avuto (almeno per quanto ne so io) un impatto linguistico paragonabile agli altri due titoli che ti ho citato, la sua posizione nel panorama letterario giapponese è centrale. È uno di quei libri che tutti gli studenti, prima o poi nella loro vita scolastica, si trovano obbligati a leggere (per loro fortuna, esistono svariate trasposizioni in fumetto, se la versione originale proprio non li aggrada).
Le sue parole hanno catturato l’essenza del periodo d’oro della corte di Heian – odierna Kyōto – il suo sfarzo e le sue molte contraddizioni. Ebbene sì, tutte le monete hanno due facce, anche le più luccicanti. Quindi non dovrebbe stupirci più di tanto venire a sapere della coesistenza di corti ricchissime e povere zone campane.
Facendo un passo indietro, e tornando alle informazioni generali, il Genji monogatari è stato scritto all’incirca tra il 1005 e il 1006 da Murasaki Shikibu, nella corte di Kyōto. Non sono molte le informazioni di cui siamo in possesso nei confronti dell’autrice, se non che si trattava di una dama di compagnia della moglie dell’imperatore.
Anche il nome con cui viene ricordata non era probabilmente lo stesso con cui la chiamava chi la conosceva – nella letteratura giapponese non è raro che le autrici vengano ricordate come “la madre/la figlia/la sorella di [nome maschile]”. Si pensa che Shikibu possa essere un riferimento alla carica ricoperta dal padre, mentre Murasaki – “viola, violetto” – potrebbe essere un soprannome ricollegabile a uno dei personaggi principali del Genji monogatari, o al cognome della sua famiglia d’appartenenza, i Fujiwara – dove fuji significa “glicine”.
In ogni caso, varie fonti testimoniano il processo di stesura di questa opera colossale, composta da cinquantaquattro capitoli, che narrano una storia lunga settantasei anni. È dalle pagine del suo diario personale che veniamo a conosceza della poca fiducia che Murasaki Shikibu aveva nei suoi scritti, o come, una volta completata la stesura di un rotolo, lo inviasse a qualche conoscente, in modo che potesse darvi una prima lettura – una sorta di beta-reader.
Fatto sta che, alla fine, il risultato è stato una storia profonda, a tratti introspettiva; una sorta di romanzo di formazione composto da molti episodi paralleli ma coerenti e uniformi. Genji, sebbene protagonista di gran parte delle vicende (molte riguardano la sua vita) non è più presente negli ultimi tredici capitoli, che si concentrano sul figlio putativo e su tre ragazze.
All’epoca La storia di Genji fu scritta su rotoli, accompagnati da illustrazioni e da brevi sussidi con note e spiegazioni varie, il tutto contenuto in cassettine di legno. La sua importanza è stata tale da ispirare per secoli autori e autrici.
Genji e le donne
Ora, potrei certamente impiegare le prossime cento, duecento parole per cantarti le lodi di Genji, uomo perfetto e idealizzato, abile nella musica e nella calligrafia, conoscitore della storia e della letteratura cinese, “lo Splendente”, il principe imperiale diseredato, ma trovo più interessanti raccontarti qualcosa dei moltissimi personaggi femminili che compaiono nell’opera (e fidati, sono davvero tanti).
È importante parlare delle donne di Genji, non per dare sfoggio alle sue conquiste amorose, ma perchè attraverso loro l’autrice ha messo in luce una delle piaghe più grandi del periodo Heian: i matrimoni poligamici. Nulla impediva a un uomo sposato di avere anche numerose amanti, ed egli non teneva certamente conto dell’impatto che queste relazioni avevano sulle donne.
Sulla moglie, costretta a sopportare la presenza di rivali, senza poterci fare granchè, anzi, dovendosi a volte occupare di loro; e sulle amanti, in balia dei capricci dell’uomo, che avrebbe potuto abbandonarle in ogni momento, facendole sprofondare in una condizione di miseria (ovviamente, Genji non dimentica nessuna amante e continua a occuparsi, o meglio, a lasciare alla moglie principale il compito di occuparsi di loro).
Comunque, tornando ai personaggi femminili, come nel caso di Murasaki Shikibu, i nomi di tutte queste donne non sono certi, ma sono passate alla storia con il nomignolo con cui i lettori le identificavano. Si tratta spesso di qualche particolare che compare nella loro descrizione, o nel capitolo in cui appaiono per la prima volta.
Rokujō, ad esempio, è chiamata in questo modo in quanto abita nel sesto quartiere – roku è il numero “sei”. Si distingue dalle donne che Genji preferisce in quanto più matura, colta, indipendente e affermata (se ti può interessare, una sua interessante visione è data in Maschere di donna di Fumiko Enchi).
Fujistubo, concubina dell’imperatore che “rimpiazza” la madre di Genji, deve il suo nome alla probabile appartenente alla famigla Fujiwara. Il protagonista s’invaghisce di lei in quanto molto simile alla madre, il suo modello di donna ideale.
Murasaki, omonima della pianta da cui si ricava il colore viola, e che dà il nome al capitolo in cui fa la sua comparsa, è la donna perfetta per Genji. Di aspetto simile a quello della zia Fujitsubo, incontra Genji in tenera età ed è da lui portata nella capitale, per essere istruita in modo da potersi trovare a suo agio a corte. Diventerà la moglie principale del protagonista, colei che non lo abbandonerà praticamente mai, ingoiando docilmente ogni boccone amaro.
Potrei andare avanti ancora un bel po’, ma poi che gusto ci sarebbe a leggere il Genji monogatari?