Ora che nell’aria si respira già l’atmosfera di Halloween, ho pensato che potesse essere interessante approfondire il tema del grimorio, un genere di manoscritto che conteneva, tra le altre cose, anche istruzioni per praticare incantesimi ed evocazioni.
Ora parlare di magia probabilmente ricrea nella nostra mente immagini che possono essere tratte da libri, pellicole cinematografiche o film di animazione; “sventolii di bacchette e stupidi incantesimi“; nuvole di fumo colorato che eruttano dai comignoli e calderoni colmi di pozioni in cui galleggiano i più repellenti ingredienti. Ma non è sempre stato così.
Ci sono stati secoli, soprattutto tra la metà del 1400 e la metà del 1700, in cui parlare di magia e incantesimi evocava ben altre sensazioni, da sguardi diffidenti a roghi e puzza di carne bruciata. Tenendo ciò ben a mente, ti lascio immaginare quanto mi abbia stupito venire a conoscenza dell’esistenza dei libri chiamati grimorio.
Non avevo idee precise, quando ho iniziato a scandagliare il web alla ricerca di libri antichi di magia e incantesimi di cui parlarti oggi, ma di certo non mi aspettavo che nello stesso periodo in cui la stregoneria era una pena capitale, fossero reperibili manoscritti che davano istruzioni, ad esempio, su come evocare un genio. Ovviamente, probabilmente l’accesso a tali testi era molto limitato (bisognava prima di tutto saper leggere, e poi avere le risorse per procurarseli), ma ciò non toglie che, a me, la situazione appaia bizzarra.
Grimorio: non solo manuali d’incantesimi, ma anche di evocazioni
È giunto il momento di chiarire ben bene cosa sia questo grimorio: si tratta di libri che contenevano liste di ingredienti e istruzioni necessarie per praticare incantesimi, preparare medicine o pozioni, confezionare talismani, e persino evocare entità sovrannaturali. Tra le pagine di questi volumi era, inoltre, possibile trovare liste di nomi di angeli e demoni, oltre corrispondenze astrologiche (da sempre usate per cercare di predire il futuro) gettonate in ogni epoca.
Curiosa è la possibile origine (come sempre, nulla è chiaro; nessuno ha lasciato una nota a piè di pagina che spieghi come gli autori siano giunti proprio a questo nome) del termine grimorio stesso. Pare che in francese antico abbia la stessa radice della parola grammatica – gramaire. Ciò forse è dovuto al fatto che, durante il Medioevo, le grammatiche latine erano il fondamento dell’istruzione, soprattutto ad alti livelli, e che tutti gli altri libri fossero visti dal popolo analfabeta (ossia la stragrande maggioranza delle persone) come volumi di magia. Inoltre, le grammatiche danno istruzioni, proprio come accade all’interno di un grimorio.
Sebbene vi siano libri di magia e incantesimi ancora più antichi – come alcuni papiri magici egiziani – l’epoca d’oro del grimorio è sostanzialmente il periodo che va dal X al XVIII secolo. Vi fu un revival dall’800 in poi, quando i rari volumi originali, scritti principalmente in latino o in francese, vennero sottoposti a traduzioni il più delle volte grossolane o errate. E, ovviamente, non mancano di certo i falsi storici – ossia volumi appositamente realizzati per apparire risalenti a una determinata epoca storica (questo espediente viene anche utilizzato all’interno della trama di romanzi di fiction per dare, ad esempio, il via alla vicenda).
I volumi che rientrano tra i grimori sono molti, come Il grande grimorio, noto anche con il nome di Il libro del Dragone rosso e datato 1722; Picatrix, tradotto dall’arabo allo spagnolo nell’XI secolo; oppure Heptameron, scritto da Pietro d’Abano nel 1290; o ancora Rauðskinna, trattato islandese. Parecchi di questi titoli furono recuperati verso la fine dell’Ottocento da organizzazioni esoteriche pseudo-massoniche.
Tra le opere che si pensa possano essere identificate come grimorio vi è anche il manoscritto Voynich, sebbene non sia una certezza, visto che il suo contenuto non è mai stato decifrato e che, inoltre, potrebbe trattarsi di un falso storico. C’è chi considera il Necronomicon come un grimorio moderno, ma in realtà si tratta di un invenzione di Howard Phillips Lovecraft, che lo usò come espediente narrativo nelle sue opere.