Hai mai notato, caro iCrewer, come le abitudini tendano a diffondersi di paese in paese, di cultura in cultura? Anche l’usanza di cui ho deciso di parlarti in questo articolo ha viaggiato per tutta Europa, dopo essere nata all’ombra della Torre Eiffel: si tratta del romanzo d’appendice.
Oggi, forse, ti sembrerà strano, ma fino alla metà del secolo scorso, trovare qualche pagina di un romanzo dopo le notizie di cronaca, in un quotidiano, era la normalità. A pensarci bene, tutt’ora molti fumetti giapponesi (manga) escono prima in riviste, un capitolo alla volta, e poi vengono ripubblicati in volumi.
Se dovessi collegare la pratica del romanzo d’appendice a qualche genere moderno, di cui io fruisco abiutalmente – ovviamente ce ne saranno sicuramente altri, ma al momento non mi vengono in mente – al primo posto ci sarebbero sicuramente le fanfiction.
Sono opere in prosa, scritte da fan di una determinata opera (letteraria, cinematografica, musicale, d’animazione, telenovelas, serie TV, ecc.) e pubblicate online. Solitamente, quando si decide di leggere un lavoro non ancora concluso, ci si deve confrontare con l’uscita di un singolo capitolo ogni settimana – o quando autori e autrici trovano il tempo di scrivere – e fidati, in certi casi la storia è così avvincente che, non appena compare la notifica della pubblicazione di una nuova parte, non riesco a pensare ad altro, se non a scoprire il nuovo sviluppo della trama.
Qui, però, siamo a Libri dalla Storia, e quindi è il caso di indagare le origini storiche del romanzo d’appendice.
Da poche righe in un quotidiano, a volumi di successo mondiale: ecco come nasce il romanzo d’appendice
Non so se ci hai mai fatto caso, caro iCrewer, ma il termine romanzo d’appendice, o feuilleton, inizia a essere usato soltanto dall’Ottocento. In questo periodo, infatti, il quotidiano francese Journal des Débats cominciò a inserire a piè di pagina articoli di critica letteraria e teatrale, già prima presenti nei fogli del giornale, ma senza una collocazione precisa.
Da qui deriva il termine francese del genere, visto che feuilleton indicava proprio il piè di pagina. La versione italiana “romanzo d’appendice”, invece, si rifà al fatto che i brani delle opere pubblicate nei quotidiani si trovavano alla fine, dopo tutte le altre notizie, nella sezione dedicata allo svago.
Tornando alla nostra narrazione storica, il primo che cominciò a pubblicare piccoli assaggi delle sue opere sui giornali fu Honoré de Balzac nel 1831, con lo scopo di incuriosire i lettori e invogliarli ad acquistare il volume completo. Pochi anni dopo, nel 1836, Émile de Girardin decise di dedicare gli spazi prima utilizzati dagli articoli di critica letteraria per pubblicare romanzi a puntate, in modo da ampliare il più possibile il target di lettori del suo quotidiano La Presse e di fidelizzarli. Così facendo, le vendite elevate gli avrebbero permesso di mantenere basso il costo del giornale.
Inutile dire, caro iCrewer, che come tutti i generi “commerciali”, anche il feuilleton venne inizialmente preso sottogamba e un po’ svalutato. Tuttavia, sono davvero moltissime le grandi opere, francesi e non, che hanno visto la luce prima in veste di uscita a puntate su quotidiani, e soltanto in un secondo momento come pubblicazione in un unico volume. E non parlo di titoli di poco conto, ma di libri come I tre moschettieri di Alexandre Dumas, I fratelli Karamazov e Delitto e castigo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I miserabili di Vitor Hugo, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi e Guerra e pace di Lev Nikolaevič Tolstoj.