Caro iCrewer, oggi ci avventuriamo in Libano, alla scoperta di uno dei suoi autori più famosi, Gibran Khalil Gibran, e di una sua opera estremamente affascinante, Il Profeta
A causa della sua storia, la letteratura libanese vanta pochi autori, nella maggior parte sconosciuti in occidente. È vero che nell’antichità il Libano, o meglio la Fenicia, era potente e ricca, ma i fenici erano essenzialmente navigatori e formidabili commercianti; in quella zona e in quell’epoca gli artisti erano i greci. Nel XX secolo la letteratura libanese ha avuto la peculiarità di avere valide scrittrici come Mayy Ziyade, libanese-palestinese, e Anbara Salam Khalidi, che è anche una fra le prime femministe arabe. Ma quanto interesse può avere per il nostro lettore un’autrice o un autore che non si può trovare in libreria?
Il Profeta, di Gibran Khalil Gibran
Per fortuna c’è un grande scrittore libanese, vissuto a lungo a New York e per questo pubblicato, che ha avuto anche una discreta fortuna negli anni ’70. Il suo nome è Gibran Khalil Gibran e io ho nella mia “pseudo-bibl
“Al-Mustafà, l’eletto e l’amato, come un alba nel suo giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orfalese [New York] la sua nave per ritornare all’isola nativa [il Libano, ahimè, mai raggiunto, in realtà]”.
Al-Mustafà vede arrivare la nave la lontano e, alla felicità del ritorno, si somma la tristezza di dover lasciare i suoi amici. Anche gli abitanti di Orfalese vedono la nave, sanno che Al-Mustafà li abbandonerà per sempre e salgono da lui per accomiatarsi. Per tutti parla Almitra, la sacerdotessa:
“Prescelto da Dio che cerchi la verità, così a lungo hai spiato l’orizzonte per vedere la tua nave. E ora la tua nave è in porto e tu partirai. Hai nostalgia profonda per la tua terra di memorie, per la dimora delle tue grandi ansie; e il nostro amore non ti sarà di ormeggio. Ma prima di lasciarci, noi ti preghiamo: parla e insegnaci la tua verità”.
Questo è Il Profeta; gli insegnamenti che il saggio lascia come dono alla gente che lo ha amato. Come forma, la poesia di Gibran ricorda un po’ quella di Tagore: è una poesia in prosa con argomento mistico.
Gibran era un cristiano maronita con influenze di zoroastrismo e filosofia orientale e nutriva una profonda ammirazione per Nietzsche. Il Profeta è stato spesso avvicinato a Così parlò Zarathustra, proprio per la sua struttura; il saggio, invece, parla di argomenti diversi e, per quanto Nietzsche sostenesse, al pari di Guccini, che Dio è Morto, mentre Gibran è un fervido credente, non mancano certo i punti di contatto fra i due. Altra fonte d’ispirazione sono I Vangeli, in particolare il sermone sul monte. Bisognerebbe avere una conoscenza del cristianesimo che non ho; salta comunque agli occhi che Gibran sembra ignorare del tutto le epistole paoline, tutti i suoi insegnamenti hanno un profondo legame col messaggio evangelico, senza alcuna relazione con la religione organizzata o col dogma. Anche se, quando parla della preghiera, ci sono passi che, apparentemente, contraddicono il sermone sul monte:
“Poi che se entrate nel tempio soltanto per chiedere, non riceverete. Se entrate per umiliarvi, non sarete innalzati: e se entrate a intercedere per altri, non sarete esauditi.”
Pensate a “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto“. Mentre sulla preghiera vera e propria: “Io non posso insegnarvi a pregare“, mentre Gesù insegnò a pregare il Pater. Ma è solo una contraddizione apparente; in realtà quello che censura Al-Mustafà, come già fece Gesù, è contestare la religione formale. Per concludere, una riflessione sulla libertà che, anche se scritta nel 1923, sembra alludere ai nostri tempi:
“Alle porte della città e presso il focolare vi ho veduto: adoravate, prostrati, la vostra libertà, come gli schiavi si umiliano, lodando il tiranno che li uccide. Al bosco sacro e all’ombra della torre ho veduto, ahimè: per il più libero di voi la libertà non era che prigione. E il mio cuore sanguinò; perché sarete liberi soltanto se suderete la vostra libertà, cessando di chiamarla un fine e un compimento. In verità sarete liberi quando l’affanno riempirà il vostro giorno e il bisogno e il dolore la notte. Ma come potrete innalzarvi oltre i giorni e le notti, se non spezzerete le catene che, all’alba della vostra conoscenza, imprigionarono il meriggio? Quella che chiamate libertà è la più forte di queste catene, benché i suoi anelli vi abbaglino, scintillando al sole. Se volete privare un despota del trono. badate che il vostro trono sia già stato distrutto. Poi che il tiranno può regnare su un uomo libero e fiero, senza piegare la sua libertà e offendere il suo orgoglio. E se volete liberarvi di un affanno, ricordate che voi l’avete scelto e non vi è stato imposto. E se volete disperdere un timore, cercatelo in voi e non nella mano di un nemico. E se un’ombra dilegua, la luce che si accende diventa un’ombra per un’altra luce. Così se la vostra libertà spezza le catene essa diventa una catena di una libertà più grande”.