Caro iCrewer, anche oggi ti condurrò nel nostro quotidiano viaggio virtuale: viaggi, peraltro, che oramai da tempo ti fanno compagnia. Viaggiare è meraviglioso, ti consente di visitare luoghi sconosciuti, località amene e intrise di fascino e cultura, ti regala la conoscenza di nuovo sapere; d’altro canto, gli studi scolastici tendono, di sovente, a snocciolarti dati su dati, senza analizzare quelle peculiarità che caratterizzano quel Paese e che te lo rendono più familiare, più vicino a te: l’intento di questi viaggi è, quindi, non limitare la tua conoscenza
Compiendo questi viaggi assieme a te, caro iCrewer, ho imparato a conoscere aspetti e qualità di questi luoghi che disconoscevo e che, francamente, mi hanno regalato quel quid in più che mi mancava! Bene, adesso ti svelo il luogo che stiamo per visitare: ti porterò in Uruguay!
L’Uruguay, o anche detto Uruguai, è il terzo Stato più piccolo dell’America Meridionale; è famoso per il suo entroterra verdeggiante e la sua costa ricca di spiagge. La capitale è Montevideo che, tra l’altro, si disloca intorno a Plaza Indipendencia.
I confini di questo Stato vedono a nord e ad est il Brasile, ad ovest l’Argentina, e si affaccia a sud – est sull’oceano Atlantico. La forma di governo dell’Uruguay è quella di una Repubblica presidenziale, il cui attuale Capo di Stato è Tabaré Vazques.
Cosa significa il nome Uruguay? Questo nome conserva origini guaranì: gli indios guaranì hanno abitato questo luogo nel XV secolo; la parola Uruguay racchiude in sé sillabe appartenenti proprio alla lingua guaranì, un esempio te lo chiarirà alla perfezione: la prima parte URU significa uccello, la seconda parte GUA significa, invece, regione e, infine, l’ultima parte I significa fiume.
Se uniamo il senso letterale di questo nome otteniamo quanto segue fiume o regione degli uccelli colorati, e il motivo è presto detto: i guaranì erano soliti osservare questi uccelli, per l’appunto colorati, che sorvolavano la regione fiume, e proprio per indicare tale regione – sovrastata da questi volatili – nel loro linguaggio, utilizzavano la parola Uruguay, e poiché si trattava uccelli colorati, si pensa che, probabilmente, possa essersi trattato di pappagalli. Poi, dalla regione del fiume, il termine Uruguay è stato esteso all’interna Nazione.
L’Uruguay, altresì, è membro delle Nazioni Unite, ma anche dell’Organizzazione degli Stati americani, l’Unasur e il G77; stando a quanto le Nazioni Unite sostengono, l’Uruguay è il Paese dell’America Latina con il tasso più elevato di alfabetizzazione, ma altresì per la equa distribuzione del reddito. Un dato che, però, mi ha particolarmente colpito è quello che vede l’Uruguay come il quarto Paese latino-americano, preceduto da Cuba, Costa Rica e Cile, ad avere l’aspettativa di vita più elevata: e questo, a mio sommesso parere, è un dato di non poco conto, considerato che in questi Paesi difficilmente viene raggiunta quella longevità tipica di altre Nazioni. Quindi ciò non può che essere assolutamente positivo per questa Nazione.
La lingua ufficiale è lo spagnolo.
Ebbene, caro il mio iCrewer, voglio condividere con te ciò che mi ha colpito di questo Paese che emana tradizione, sofferenza, forza d’animo e tratti caratteristici non indifferenti. La forza d’animo, in particolare, che permette ad un Paese, dopo essersi piegato, di rialzarsi e rinascere con più forza di prima… in fondo è proprio ciò che accade all’essere umano, no? Si piega, cade, viene beffeggiato, persino schiaffeggiato (in senso metaforico) ma, in fondo, grazie al suo essere interiore, a quella forza misconosciuta, riesce a risollevarsi.
I Charrúa dell’Uruguay
I Charrúa dell’Uruguay non sono altro che una tribù, rigorosamente indigena, originaria delle pampas, stanziatisi in quella che era la zona del Río de la Plata, proprio in quell’area che oggi è di pertinenza dei dipartimenti uruguayani di Rocha, Maldonado e Montevideo.
Il termine Charrúa, usualmente, viene usato quale soprannome atto ad indicare la squadra di calcio nazionale, il detto garra Charrúa indica forza, perseveranza e coraggio. In fondo, è proprio questo che ha caratterizzato questa popolazione.
Ti racconto, adesso, caro iCrewer, una delle pagine più tristi che hanno riguardato l’Uruguay e, nello specifico, proprio il popolo indigeno dei Charrúa, uno di quegli eventi che non possono non toccarti l’anima, che ti restano dentro e, volente o nolente, ti fanno osservare tutto ciò che accade da un’angolazione diversa; l’ 11 aprile del 1831 è ricordato quale giorno nefasto in cui si compì un vero e proprio genocidio della tribù indigena dei Charrúa nella località di Salsipuedes, il cui significato in inglese vuole dire vattene se puoi; ad ogni modo si tenne un’imboscata, guidata da un gruppo al cui comando vi era, niente di meno che, il nipote del primo presidente Frucuoso Rivera, tale Bernabé Rivera. Ebbene, in quella battuta vennero uccisi 40 Charrúa e ben 300 vennero fatti prigionieri. Si trattò di una vera e propria strage.
I prigionieri, poi, vennero condotti a Montevideo, in condizioni disumane e al limite della tollerabilità: furono obbligati a camminare per giorni interi per potere raggiungere la Capitale. Gli uomini, in particolare, vennero incarcerati o venduti, se non, in maniera più atroce, lasciati morire nelle prigioni. Un sorte diversa toccò a donne e bambini che furono consegnati, come domestici, a famiglie benestanti e facoltose di Montevideo.
Insomma mi verrebbe da pensare che, proprio come accaduto anche in tempi più recenti, la storia si ripete con vicende più o meno simili tra loro: di certo, nel momento in cui le donne e i bambini sono stati smistati presso le varie famiglie, non credo che chi si sia occupato di ciò si sia, al contempo, premurato, o addirittura preoccupato, di non dividere le madri dai figli; ho il chiaro sentore che questa nostra riflessione sia destinata a rimanere senza una risposta, ma chiaramente è di lampare evidenza che di certo questa apprensione non fu minimamente presa in considerazione da alcuno.
Nonostante questa vicenda sia estremamente triste, mi sento un po’ meno malinconica nel dirti che l’11 aprile 2010 l’Uruguay ha commemorato la Giornata della Nazione Charrúa e della Identità Indigena: questa data è stata scelta proprio per non dimenticare, o meglio per ricordare, quanto accaduto 179 anni fa.
Sicuramente questo è un primo passo per dare riconoscimento, per restituire, appunto, l’identità negata per lungo tempo a questa popolazione che, in fin dei conti, nulla di male ha mai compiuto.
Alcuni Charrúa vivono ancora in Uruguay, e fedeli a quelle che sono le proprie tradizioni, cercano di custodirle in un Paese che, non solo si è reso fautore dello sterminio accaduto innumerevoli anni fa, ma che per moltissimo tempo li ha quasi dimenticati.
Ti voglio raccontare un aneddoto che è stato lasciato alla memoria, quale ricordo da preservare, di quanto vissuto proprio da una famiglia di Charrúa; una famiglia appartenente a questa popolazione indigena doveva recarsi all’anagrafe a registrare i propri nascituri: ad uno dei due, nello specifico, avevano dato un nome indigeno, in spagnolo Itanú, il cui significato è roccia a cui batte il cuore. L’addetto al registro anagrafe si è rifiutato di registrare il bambino con tale nome sol perché, verosimilmente, non ne riconosceva il genere. I genitori, quindi, sono andati via dall’ufficio ma hanno al contempo avvertito l’impiegato che qualora non avesse registrato il loro piccolo entro 10 giorni, avrebbero dato allo stesso un nome a caso.
Questo per dire che i Charrúa riscontravano difficoltà anche nello svolgimento delle attività più comuni.
In realtà, un pensiero mi è balenato in mente: se fossi stata una nativa di quella popolazione chissà che nome mi sarebbe stato riconosciuto? Questa cosa mi ha sempre affascinata perché, come hai potuto leggere tu stesso, in questa popolazione, così come in tutte le popolazioni indigene, o anche nelle tribù tuttora esistenti e sparse per il mondo, i nomi non venivamo mai assegnati casualmente ma avevano un loro preciso significato.
Questa giornata celebrativa non farà altro che aumentare la consapevolezza dell’eredità che i Charrúa rappresentano per l’Uruguay, insegnando qualcosa di molto prezioso: un piccolo passo ma assai significativo e rappresentativo.
Il popolo indigeno dei Charrúa viene ricordato in uno struggente poema epico ad opera di Juan Zorrilla de San Martin, il quale fu un poeta, uno scrittore e un diplomatico, intitolato Tabaré, pubblicato nel 1888. Questo poema narra di una storia d’amore – impossibile – tra un cacicco indio, Tabaré, per l’appunto, e una donna spagnola di nome Blanca. Quest’ultima, peraltro, espressione di tutt’altra cultura e estrazione sociale.
Un poema che forse più di un romanzo narra della profondità del sentimento e dell’anima di questo popolo.
Le tradizioni di questa tribù rappresentano preziosi frammenti di un popolo che non vuole, non solo dimenticare, ma men che mai ripetere quanto avvenuto in passato.
Letteratura Uruguayana
L’Uruguay vanta un novero di scrittori di tutto rispetto – fra di loro molti sono poeti – che hanno lasciato un’impronta notevole in tutto il Paese. Li ho guardati uno per uno, leggendo le loro storie, osservandoli e, devo essere sincera, ognuno di loro può vantare un bagaglio non indifferente quale esempio di profonda letteratura. Poi, così, quasi casualmente, mi sono imbattuta in un uomo, e ne sono rimasta totalmente assuefatta, soprattutto per le opere delle quali si è reso autore, e così, oramai totalmente presa da questa personalità, ho condotto qualche ricerca in più, al termine delle quali nessun dubbio più persisteva ed è proprio di lui e delle sue opere che ti parlerò: Eduardo Galeano.
Il nome completo di questo autore è Eduardo Germán María Hughes Galeano, è nato a Montevideo il 3 settembre del 1940 e lì è morto il 13 aprile del 2015. È stato non solo uno scrittore ma altresì un saggista e un giornalista. Egli ha assunto il cognome della madre per firmare tutto ciò che di letterario ha realizzato.
Lo scrittore ha vissuto in una famiglia sentitamente cattolica, con ottime disponibilità economiche. Una delle particolarità della vita di Galeano è che, in effetti, non ha mai conseguito un titolo professionale formale, benché abbia ricevuto parecchie lauree honoris causa: è stato da sempre un intellettuale autodidatta. Quindi, se vogliamo, la sua scrittura, la sua cultura, il suo sapere diventano speciali perché hanno tutto il sapore di chi ha, per tutta la vita, preso contezza della realtà attraverso la lettura e la personale conoscenza; tutto questo suo intelletto, a conti fatti, non è dovuto ad alcun docente che glielo ha impartito.
Eppure, questa sua sete di conoscenza non si è manifestata sin da subito, perché durante la sua infanzia, Galeano, desiderava, in futuro, divenire Santo o calciatore (direi che tra le due cose vi è proprio un abisso), ma poi, all’età di 14 anni, ha realizzato un disegno che ha portato al settimanale El Sol, il quale settimanale ha deciso di acquistarlo: l’autore ha così iniziato a lavorare come caricaturista in questo giornale, appartenente, peraltro, al Partito Socialista.
All’età di 19 anni, però, il nostro Galeano, in preda ad una crisi esistenziale ha pensato addirittura al suicidio: nostro malgrado non conosceremo mai il motivo che stava spingendo l’autore verso quell’insano gesto; a seguito di ciò, e scongiurato il pericolo di vita, lo scrittore ha deciso di farsi chiamare proprio Eduardo Galeano, iniziando a scrivere per un altro giornale, si trattava del settimanale Marcha, che ha rappresentato, per lo stesso, una vera e propria scuola di scrittura.
Nel 1973, a causa di una delle dittature più spietate dell’Uruguay, è stato mandato in esilio in Argentina. Qui, l’autore, all’età di 32 anni, si è dedicato alla stesura della sua prima opera Le vene aperte dell’America Latina, che, nata come un’opera di economia politica si è, invece, rivelata essere un libro di storia divenuta uno degli status simbolo della letteratura latino-americana, tradotta in almeno 20 lingue. Tra le altre cose, in quello stesso periodo, Galeano, si era già sposato per ben due volte ed aveva avuto tre figli. In Argentina si era bene integrato, divenendo, peraltro, il cofondatore di Revista Crisis, ma, con somma frustrazione, la dittatura era giunta finanche in Argentina e nel 1976, lo scrittore, ha intuito che era giunto il momento di lasciare quella località. Come tutte le storie che si rispettino, anche nella vita di Galeano vi fu un colpo di scena: prima di lasciare l’Argentina ha conosciuto Helena Villagra, durante un barbecue, diventata sua compagna di vita per i successivi quarant’anni. Ho trovato questo aneddoto molto romantico perché, in effetti, questo incontro me lo sono immaginata come se lo avessi davanti agli occhi.
Ma il futuro dello scrittore non prevedeva una dimora stabile, nonostante ciò non dipendesse dalla sua volontà, qualche tempo dopo, invero, fu mandato in esilio in Spagna ove scrisse la sua famosa trilogia Memoria del fuoco, anche questa tradotta in almeno 20 lingue. Una particolarità legata alla stesura di quest’opera riguarda il fatto che per redigerla Galeano si è ispirato ad un poema greco, l’ha stilata in parti e talune di queste sono stata scritte persino sui classici tovagliolini di carta. Eccola la passione dello scrittore: non importa dove tu scriva, l’importante che lo faccia! Le sue opere sono state vietate in Uruguay, Argentina e Cile.
Galeano ha potuto fare rientro in Uruguay solo nel 1985, alla caduta della dittatura. Con la passione e la verve che lo animavano, ha deciso di fondare un nuovo settimanale, Brecha, assieme ad un altro stimato scrittore paraguayano, Mario Benedetti, e ad altri intellettuali.
Un suggerimento: semmai ti dovessi trovare in Uruguay, visitando il bar El brasilero, a Montevideo, potrai gustare il caffè Galeano, in onore proprio dello scrittore che, durante la sua vita, era un solito visitare quel locale frequentato esclusivamente dai poeti. Quando vi si recava, sedeva sempre vicino alla finestra. Non ti sembra di immaginarlo?
Negli anni che seguirono il 2004 ha iniziato a scrivere, con cadenza settimanale, per il giornale La Jornada, del Messico. Nel 2007 i medici hanno riscontrato all’autore un tumore al polmone e dal momento della diagnosi, la malattia, progredendo sempre più, è divenuta talmente invalidante per l’autore, che lo stesso ha iniziato a farsi vedere sempre meno in pubblico.
Non amava tute le nuove tecnologie tanto che, fino a che restò in vita, non ha fatto altro che scrivere a mano: qui mi sono sentita totalmente in linea con lui, io, personalmente, amo scrivere di mio pugno a dispetto di tutte le moderne tecnologie, perché, ritengo, che sentire l’ebbrezza della penna fra le mani, vedere i tuoi pensieri prendere forma su carta, è qualcosa di veramente impagabile.
Indubbiamente, questo autore ha rappresentato una delle personalità maggiormente di spicco e stimate di tutta la letteratura latino-americana, tanto che le sue opere sono state tradotte in numerose lingue. Eduardo Galeano, però, non è solo questo, la sua persona, il suo essere, sono sinonimi di impegno sociale, di una buona e sana letteratura, e di valori etici. Galeano di sovente univa la realtà con la finzione, il sentimento con il pensiero e, proprio per tale ragione, è stata a lui attribuita la coniazione del termine linguaggio sentipensante, ovverosia che si riferiva proprio a questa combinazione tra oggettività e soggettività.
Tra le opere di Eduardo Galeano te ne voglio citare tre, benché le sue opere siano innumerevoli, ma quelle che più mi hanno emozionata, sono quelle che ti citerò.
Inizio proprio con il parlarti dell’opera che è stata per lui il fiore all’occhiello, ovvero Le vene aperte dell’America Latina, questa la trama «Un reportage che attraversa cinque secoli di storia del continente latinoa
Ancora, ti voglio parlare di un’altra opera, il cui titolo è Il cacciatore di storie, l’ultimo libro terminato di Eduardo Galeano che possiamo considerare un vero e proprio testamento artistico, umano e spirituale «Accanto ai temi a lui cari – le origini mitiche delle nostre culture, i soprusi subiti dai nativi americani, le discriminazioni e
Infine, ti voglio citare un’ultima opera che, per ovvi motivi, è la mia preferita, quella che ha dato l’assist affinché io scegliessi di parlarti di lui, si tratta di Donne; «in questo suo libro Eduardo Galeano ha voluto raccontare le donne donne da ricordare per il loro talento, per il coraggio con cui si sono addossate il peso di una ca
Ti lascio con una delle tante frasi, di grande levatura morale e psicologica, regalateci da Galeano «Molte piccole persone, in luoghi piccoli, facendo piccole cose, possono cambiare il mondo.» Questa perla la regalo a te iCrewer che stai leggendo, perché tu la prenda come monito per non abbatterti mai, perché tu trovi sempre la forza in te di rialzarti quando cadi, di non piegarti mai al volere di nessuno.