Sembra strano, casuale o semplicemente coincidente ma, a volte, i nomi segnano davvero il destino di una persona o di un Paese: così può capitare che chi si chiama per esempio, Serena o Chiara, porti nel nome lo specchio di ciò che è effettivamente il suo carattere o il suo modo di essere. La stessa cosa può avvenire per un Paese o uno Stato, così è per l’Ucraina, il cui nome significa “sul confine” (u krajna). Ed è proprio una lunga vicenda di confini contesi che caratterizza la storia millenaria di questo territorio che, secondo uno studiato sistema di meridiani e paralleli si trova proprio, in posizione strategica, al centro dell’Europa.
Ucraina: una storia “sul confine”
Da sempre contesa e conquistata tra Russia a est e Polonia a ovest (e, quando c’era, anche l’Impero Austro-ungarico), l’Ucraina, ha un passato millenario ed una storia tumultuosa fatta di guerre, occupazioni, dominazioni e contese fin dal lontanissimo Primo secolo, quando gli Slavi, signori della capitale Kiev, nell’882 d.C., furono assaliti e uccisi dal principe scandinavo Oleg che dichiarò: «Questa città sarà la madre di tutte le città dei Rus’». I Rus’ divennero il potente clan vichingo che, in poco tempo, trasformarono Kiev nel centro di un grande e potente impero che si estendeva dal Mar Baltico al Mar Nero. Anche loro però, vittime di quel famoso detto per cui chi di spada ferisce di spada perisce, caddero sotto quelle affilate dei Tartari i quali, a loro volta, non furono in grado, in seguito, di respingere l’alleanza fra Polonia e Lituania che invasero il territorio e ne presero possesso.
Da allora i territori dell’Ucraina, terra di confine, ricca di giacimenti e con un suolo fertilissimo, saranno sempre contesi dalle grandi potenze che la circondano. Polonia e Russia arrivarono a dividersene il territorio da “brave sorelline” e soltanto alla fine della prima guerra mondiale l’Ucraina conquisterà l’indipendenza, per un breve periodo. Il giogo bolscevico che nel frattempo aveva trovato la sua ragion d’essere in Russia, anzi nell’allora Unione Sovietica, ricadde anche su di essa: diventerà una Repubblica Socialista dell’Unione.
Se non ci sono armi e repressioni che tengano quando si tratta di difendere il sentimento identitario, è la carestia indotta (holodomor, letteralmente infliggere la morte attraverso la fame) che riesce ad abbattere qualsiasi ostacolo e così avvenne… Milioni di ucraini caddero vittime della fame e delle malattie ad essa conseguenti, alla faccia di ogni sentimento di indipendenza. E poi arrivò Hitler con il suo bel regime nazista a compiere l’opera! Proprio ad Hitler, visto come il paladino del riscatto da una parte della popolazione, gli ucraini consegnarono volutamente le loro sorti e lui, da bravo sanguinario qual è stato, fece il suo mestiere sterminando i milioni di ebrei che vivevano pacificamente nel territorio già dal XVII secolo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, fino al 1950, l’Ucraina con l’UPA (l’ala militare dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini), condusse una guerra lunga e violenta contro le forze di sicurezza russe. Dalla fine della guerra alla morte di Stalin (1953), 500.000 ucraini vennero deportati in prigioni o in campi di lavoro (Gulag). Ciononostante, il Paese rimase sotto il dominio sovietico e conobbe un periodo di veloce industrializzazione, senza mai dimenticare di aspirare all’identità nazionale e alla libertà.
L’avvento al potere di quel politico illuminato che fu Gorbaciov, ridestò più forte di prima il desiderio di indipendenza e dopo il 26 Aprile 1986, data che segna la tragedia più grande del Paese, ovvero l’esplosione di un reattore nella centrale atomica di Chernobyl, finalmente ottiene la sospirata indipendenza nel 1991.
Pensi che siano finiti qua i problemi dell’Ucraina? Se segui un minimo le cronache o i telegiornali, saprai che non è per niente così, le contese per i confini non sono certo cessati: la Russia del “nuovo zar” Putin rivendica il possesso della Crimea, penisola causa di tensioni mai sopite tra Ucraina e Russia. Inoltre la corruzione politica interna, fa dell’Ucraina un paese diviso in preda a grossi conflitti.
Ho cercato di sintetizzare al massimo e di rendere leggera l’importante storia millenaria di questo Stato di grandissima cultura e arte: le sue bellissime città, il suo illustre passato letterario ed artistico si mostrano agli occhi del visitatore senza bisogno di tante parole, al di là delle stupide guerre che gli uomini conducono per il potere o per una fetta di territorio.
La storia letteraria dell’Ucraina non è meno controversa e articolata di quella politica: le continue occupazioni, la spartizione del territorio e l’invasiva presenza russa hanno molto influenzato la sua cultura e spesso l’hanno addirittura repressa, tanto da vietare la scrittura in lingua ucraina. Di conseguenza, vista la complessità politica e fisica della regione, non si può parlare di una vera e propria lingua ucraina ma di dialetto, sopravvissuto ai divieti grazie alla diffusione popolare alle canzoni folkloristiche. Solo recentemente l’ucraino è considerato la lingua ufficiale dello Stato pur se, ancora, in alcune aree si parla solo il russo, in altre l’ucraino e in altre ancora si usano indifferentemente entrambe le lingue.
In una situazione così complessa gli scrittori ucraini furono costretti ad usare la lingua russa nelle loro opere: i più importanti scrittori russi del Novecento, Babel’ autore di L’armata a cavallo, Bulgakov autore di Il maestro e Margherita, Grossman autore di Vita e destino per citarne alcuni, non erano di nazionalità russa ma ucraina. Una nazione, quindi, depredata anche dal punto di vista letterario.
La letteratura ha un grande peso in Ucraina, gli scrittori sono tutt’ora ritenuti veri e propri eroi nazionali dal momento che hanno dovuto combattere per poter scrivere nella loro lingua. Uno di essi, il poeta Taras Hryhorovyč Ševčenko, sebbene appartenga ad un’epoca temporalmente lontana, l’Ottocento, è diventato un modello di unità nazionale durante la crisi esplosa nel 2014: in un momento delicato quando la tensione stava spaccando il Paese, l’Ucraina ha ritrovato la sua identità di nazione attorno alle sue statue, nelle piazze delle città. A noi, occidentali scettici e avvezzi alla libertà di espressione, tanto da non farci neanche caso, potrà sembrare strano o esagerato, io stessa leggendo la notizia mi sono meravigliata, eppure è capitato davvero… in giorni in cui la crisi sta spaccando il Paese, chi vorrebbe una nazione unita si raccoglie attorno alle statue del poeta diventato simbolo del patriottismo ucraino, riporto da Liberiamo, 16 Marzo 2014.
Ma chi è Taras Hryhorovyč Ševčenko, diventato il poeta simbolo dell’Ucraina?
Taras Hryhorovyč Ševčenko nacque a Morynci, un villaggio del Governatorato di Kiev, il 9 Marzo 1814. Figlio di contadini, servi della gleba, si trasferì a San Pietroburgo, venne a contatto con alcuni artisti russi, iniziò a praticare la pittura e nel 1838 venne accolto presso l’Accademia di Belle Arti. Pittura e in seguito, poesia diventano per Taras Hryhorovyč Ševčenko, il riscatto da quella condizione di nascita che lo ha visto per lungo tempo sotto il dominio di un padrone. Nel 1840 pubblica la prima raccolta di versi, Kobzar e l’anno successivo, 1841, scrive il poema epico Haidamaky.
Gli anni trascorsi a San Pietroburgo, sono per Ševčenko ricchi di viaggi, di conoscenze e amicizie con scrittori e intellettuali dell’epoca e di presa di coscienza per la triste condizione in cui l’Ucraina si trovava: devastata da parte del regime zarista russo e privata di ogni libertà. La presa di coscienza e il desiderio di vedere libera la sua patria, descritti in un’altra raccolta, Il sogno, contenente aspre critiche nei confronti dell’impero russo e l’amicizia con alcuni membri di una società segreta che aspirava all’indipendenza, ebbero come conseguenza il suo arresto e l’imprigionamento nel carcere di San Pietroburgo e poi l’esilio a Orsk, presso i Monti Urali. Lo zar Nicola I aggiunse alla pena dell’esilio, il divieto di scrivere e dipingere. Ottenuta la grazia imperiale nel 1857, Ševčenko soltanto due anni dopo potè ritornare in Ucraina. Trascorse scrivendo l’ultimo periodo della sua vita e sette giorni prima la proclamazione dell’emancipazione dei servi della gleba, morì a San Pietroburgo.
Poeta-simbolo nazionale, Taras Hryhorovyč Ševčenko, è una figura fondamentale della cultura ucraina. Celebre tra i suoi contemporanei come pittore (famose ed apprezzate le sue acqueforti), quando esordisce in letteratura con la prima raccolta di poesie, scritta rigorosamente in ucraino in un’epoca in cui era vietato e con la temerarietà che sfida il regime, pone le basi per una moderna lingua ucraina, quasi come avvenne per Dante o Petrarca in Italia e contribuisce alla formazione di una coscienza nazionale negli ucraini. I suoi temi poetici aderiscono perfettamente ai temi del Romanticismo: l’esaltazione dell’identità nazionale, il patriottismo, tanto che persino l’Unione Sovietica ha utilizzato le opere di Ševčenko per la propaganda, censurando i richiami al nazionalismo ucraino e accentuando la critica all’impero e ai temi sociali. Oggi tuttavia il poeta è tornato a essere conosciuto nella sua vera immagine. Ma lasciamo la parola ai suoi versi, con un componimento scritto durante gli anni della prigionia…
Ricordate, fratelli miei… Affinché quella sventura non ritorni –/ come voi e io guardavamo/ per bene da dietro le sbarre./ E, certo, pensavamo: Quando/ per un consiglio quieto, una chiacchiera,/ quando ci incontreremo di nuovo/ su questa terra devastata?/ Mai, fratelli, mai berremo/ insieme l’acqua del Dniepr!/ Ci separeremo, disperderemo nelle steppe,/ nelle selve la nostra sventura,/ crederemo ancora un po’ alla libertà,/ poi cominceremo a vivere/ tra la gente, come la gente./ E finché sarà così,/ amatevi, fratelli miei,/amate l’Ucraina,/e pregate il Signore/ per lei, povera di talento,/ dimenticate, amici,/ e non maledite./ Talora ricordatevi di me/ nella crudele schiavitù.
Scritta nel periodo della prigionia nella Fortezza di Orsk, ove fu esiliato nel 1847, con la traduzione di Anna Panassukova, Ricordate fratelli miei, è un vero e proprio appello accorato rivolto ai connazionali affinchè insieme, uniti, non dimentichino l’amore per la patria e la libertà. Si coglie fra le righe il dolore per la costrizione dell’esilio e la nostalgia diventa un grido rivolto ai fratelli, affinchè tengano ben presente il valore immenso della libertà. Ed è chiaro da queste poche righe, perchè nel 2014 a distanza di quasi due secoli, gli ucraini si siano stretti intorno al loro poeta-monumento nazionale, nel momento in cui la libertà sembrava in pericolo.