In questo giro del mondo attraverso i libri, ho cercato di raccontare i vari paesi attraverso le loro scrittici e i loro scrittori meno conosciuti e, a volte, più controversi. E anche stavolta sarà così, per cui non ti parlerò di Pamuk Orhan, Premio Nobel per la letteratura nel 2006 o della scrittrice Shafak Elif. Ma ti racconterò della Turchia, o meglio di una parte di essa, attraverso le parole di Ece Temelkuran e quelle di Pinar Selek.
È una presentazione parziale del paese, quella che riusciamo a dare, e più il paese è controverso, più inevitabilmente sarà parziale. La Turchia, ufficialmente Repubblica di Turchia, è da sempre una porta tra oriente e occidente. Una porta che si chiude o si apre a seconda delle epoche; una porta che può essere un ponte o una ghigliottina a seconda delle forze in gioco. La sua capitale è Ankara ed è una Repubblica presidenziale dove però le forze armate hanno un ruolo politico importante.
Ece Temelkura
Ece Temelkura nasce nel 1973 in Turchia ma ora vive in esilio, a Zagabria. Giornalista, scrittrice e commentatrice politica ha lavorato per anni con le più importanti testate e reti televisive turche prima di iniziare un nuovo capitolo della sua vita collaborando con alcuni dei media interazioni più importanti. Nel 2012, infatti, viene licenziata dal Habertürk per aver riportato il massacro dei curdi sul confine tra Turchia e Iraq e aver tratto altri argomenti “scomodi”.
Ha vinto diversi premi tra cui l’Edinburgh International Book Festival First Book Award e l’Ambassador of New Europe Award. Seguita su Twitter da quasi tre milioni di persone, è stata per due volte inserita tra le dieci persone più influenti nell’ambito dei social media. Ha scritto numerosi libri; tra quelli tradotti in italiano ci sono Turchia folle e malinconica (2018) e Soffiano sui nodi (2019), Come sfasciare un paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura (2019).
Turchia folle e malinconica
Lo scrittore che assiste e quindi racconta, secondo Canetti, tiene un diario per evitare che i tempi in cui vive giungano a stritolarlo spiritualmente. Le immagini che ci sono giunte dalla Turchia negli ultimi tempi richiamano alla mente quelle che Kafka così descrisse: «Leopardi irrompono nel tempio e svuotano i vasi sacrificali; ciò si ripete sempre di nuovo; alla fine lo si può prevedere, e diventa una parte della cerimonia.» (Franz Kafka, “Aforismi di Zürau”).
Soffiano sui nodi
Ma è solo il viaggio che fa esistere il sogno. Con questo romanzo, che ha scatenato polemiche e controversie nella stessa Turchia per le implicazioni politiche e per la scelta di donne forti, indipendenti e atipicamente musulmane come protagoniste, Temelkuran costruisce una storia potente che ci spinge a riflettere non solo sulle implicazioni sociali della politica, sulla religione e sulla questione femminile in Medio Oriente, e sul suo futuro, ma anche sui legami universali che uniscono le donne, sorelle, madri o figlie che siano.
E, come nella migliore tradizione della letteratura, è attraverso un viaggio che si scoprono il valore e il significato di questi legami.
Come sfasciare un paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura
Le «mosse» per sfasciare un paese sono le stesse ovunque. 1. Crea un movimento (si badi bene, non un partito, ma un movimento, al limite una lega); 2. Disgrega la logica, spargi il terrore nella comunicazione; 3. Abolisci la vergogna: essere immorali è «figo» nel mondo della post-verità; 4. Smantella i meccanismi giudiziari e politici; 5. Progetta i tuoi cittadini e le tue cittadine ideali; 6. Lascia che ridano dell’orrore; 7. Costruisci il tuo paese. Dove siamo arrivati in Italia? Forse al punto 4? Siamo già al 5? A che punto è la Gran Bretagna della Brexit e di Nigel Farage? E la Russia di Putin? L’Ungheria di Orbán? Gli Stati Uniti di Trump?
Perché una cosa si comprende amaramente bene, leggendo queste pagine: il percorso è sempre lo stesso, inizia senza allarmare, ma poi procede sempre, inesorabile, verso il punto nel quale ci si accorge che ormai la democrazia è svanita. I populisti, in crescita in tutto il mondo, fanno più o meno gli stessi discorsi ovunque. Li fanno a nome delle «persone perbene», del «popolo», sottintendendo così che chi non li appoggia non fa davvero parte del popolo, quindi è un «nemico interno».
“Come sfasciare un paese in sette mosse” è un appello al mondo: fate attenzione – ci dice Temelkuran – il populismo e il nazionalismo non marciano trionfalmente verso il governo, ci strisciano dentro di nascosto. Bisogna essere vigili più che mai o ce li ritroveremo in casa senza accorgercene fino al punto d’arrivo finale: la dittatura.
Pinar Selek
Pinar Selek è una sociologa nata a Istanbul nel 1971. Nel 1998 le autorità turche la accusano di complicità con il PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) per alcune ricerche svolte sulla guerra civile in Turchia. Viene così torturata, rinchiusa in prigione e accusata di terrorismo. Sebbene la condanna sia stata annullata e per quattro volte sia stata assolta, Pinar Selek – che dal 2009 vive in esilio – continua a essere accusata di terrorismo. Nonostante questo, il suo impegno civile e a favore delle donne continua imperterrito.
Lontano da casa
Evoca la familiarità rassicurante della lingua e delle cose con le quali si è cresciuti, l’audacia che spinge ad avventurarsi sempre più lontano, e lo sgomento di fronte all’ignoto, dopo lo strappo brutale dagli esseri e dai luoghi. La bellezza degli incontri, anche, e il piacere di tessere legami nei margini immensi che si prendono gioco delle frontiere.
“Se mi domandano come sto, rispondo che resisto, che ho imparato a giocare con questi venti che all’inizio mi hanno depistata. Ma che non posso avviarmi verso il luogo di cui parlo, il paese che mi manca.” Vittima di un processo senza fine, che è in sé una forma di tortura, ancora oggi Pinar Selek rischia una condanna all’ergastolo.