Alcuni di loro ti incontrano/ negli angoli oscuri del mondo/ Alcuni rimangono nascosti/ Altri serbano vendetta/ o disegnano la loro fuga/ mentre galoppano lungo la valle del vento/Alcuni indugiano ai piedi di una montagna/ esposta alle intemperie/ Qualcuno prende possesso del tuo cuore/ Chi lo massacra/ chi lo rende nudo/ Alcuni: io e te.
Al-Saddiq Al-Raddi, cui appartengono i versi letti sopra, poeta impegnato politicamente originario del Sudan del Sud, rifugiato in Gran Bretagna e vincitore a Londra del Poetry Parnassus nel 2012, è uno degli autori più noti e importanti di questa martoriata terra che non conosce pace, nella quale le guerre civili non si contano più, l’ultima proprio quest’anno, fra l’Aprile e l’Agosto 2019.
Andiamo a ritroso nel tempo…
Tra il XV e il XIX secolo nel Sudan del Sud si insediarono molti degli attuali gruppi etnici che convivono nel Paese. Nel 1820, a seguito dell’invasione da parte del viceré d’Egitto, il Sudan meridionale o Sudan del Sud, venne saccheggiato dai mercanti di schiavi e sappiamo bene cosa significa il mercato degli schiavi: una triste e tremenda storia che si ripete per tante popolazioni africane, considerate merci di scambio per il solo fatto di non aver conosciuto sviluppo e per il colore nero della pelle.
Verso la fine del XIX secolo, tutto il Sudan finì sotto il controllo anglo-egiziano: il nord, a stragrande maggioranza araba, accettò di buon grado il dominio britannico, il sud oppose maggior resistenza. La conseguenza logica fu che il nord ebbe una maggiore modernizzazione, mentre al sud gli interventi anglo-egiziani furono concentrati sopratutto sul semplice mantenimento dell’ordine, la conseguente dicotomia di sviluppo tra nord e sud continuò per diversi decenni e fa sentire i suoi effetti ancora oggi. Nel 1956, dopo numerose insurrezioni, il Sudan raggiunse l’indipendenza e i numerosi governi, nel corso degli anni, incontrarono difficoltà nel guadagnare il consenso delle varie fazioni del Paese, soprattutto nel sud. I conflitti che fino ad allora avevano il nemico comune negli invasori, diventarono civili, fra sud e nord. Una lunghissima prima guerra tra il nord di religione musulmana e il sud di religione cristiana con minoranze animiste, dilaniò il Paese per circa venti anni, dal 1955 al 1972: gli accordi di Addis-Abeba, interruppero solo brevemente il conflitto e la guerra, nel 1983, riprese più cruenta di prima e durò fino al 2005.
Una leggenda del Sud Sudan narra che Dio pose gli uomini di fronte ad una scelta: avere o bestiame o fucili. Gli arabi e gli europei scelsero i fucili, i popoli Dinka e Nuer del Sud Sudan il bestiame, simbolo di Dio e della sua esistenza nel mondo.
L’indipendenza ottenuta dal Sudan del Sud il 9 Luglio 2011, a seguito di un referendum, non sortì l’effetto desiderato di pace duratura: già due anni dopo, il Paese fu dilaniato da un feroce conflitto etnico. I Dinka e i Nuer dimenticarono il bestiame e Dio con esso, presero il posto degli europei e degli arabi, scelsero il petrolio comprato dai cinesi, costringendo milioni di abitanti a sfollare dalla regione, alla ricerca di un terreno da coltivare dove vivere in pace con le proprie bestie e, forse, pure con il proprio Dio.
In ginocchio, a baciare i piedi dei leader del Sud Sudan perché «il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre» nel Paese africano. Papa Francesco compie un gesto inatteso a Santa Marta, dove conclude il ritiro spirituale in Vaticano delle massime autorità religiose e politiche sud sudanesi ideato dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. A loro il Pontefice rivolge un discorso in cui, a più riprese, implora il dono della pace per il popolo del Sud Sudan sfigurato da quasi sei anni di guerra civile e da oltre 400 mila morti. Poi rende concreta questa preghiera inchinandosi davanti al presidente Salva Kiir e ai vicepresidenti designati, tra cui Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova del leader sud sudanese John Garang, e Riek Machar, leader dell’opposizione, per baciare loro i piedi.
Quanto hai letto sopra è cronaca di quest’anno, ma la guerra civile continua ancora, se pur con qualche piccolo periodo di interruzione e sembra non avere fine: una lunga storia di interessi economici da un lato e povertà, miseria e arretratezza dall’altro che non favoriscono di certo lo sviluppo culturale del Paese. Gli intellettuali sudanesi sono spesso costretti ad andare in esilio per non venire uccisi da un regime che li trova scomodi.
Poesia, possa tu essere un corpo verde/ Possa tu essere un linguaggio/ nel quale mi perda/ con le mie ali e me stesso/ O l’inspirazione della mia lingua/ affinché possa sfamare/ le tribù della mia voce, anche se sono silenziose/ Senza riposo/ e solo, capisco/ che non sarai/ un corpo verde/ E che non eri nemmeno un buon maestro, da comprare/ né una musa/ Eri il mio desiderio per il delirio/ la mia memoria. (Sogno di Al-Saddiq).
Al-Saddiq (Al-Saddiq Al-Raddi per esteso) è africano ma scrive in arabo, si pone quasi dilaniato tra due mondi e sceglie il proprio, quello della poesia: attraverso la poesia sogna di sfamare le tribù con la consapevolezza che è solo un sogno, un desiderio, un delirio ma dentro quel delirio risiede la memoria personale del poeta e di un intero popolo.
Al-Saddiq Al-Raddi ha guadagnato un vasto pubblico nel suo Sudan nativo per il suo approccio fantasioso alla poesia e per la delicatezza e la franchezza emotiva dei suoi testi. La sua poesia si è sempre occupata della ricca diversità culturale e linguistica del Sudan e della sua complessa storia.
Al-Saddiq nasce nel 1969. Cresciuto a Omdurman Khartum, dove ha vissuto fino al 2012, anno in cui è stato costretto all’esilio, è stato editore culturale del giornale Al-Sudani fino al licenziamento per motivi politici (insieme ad altri 22 colleghi). Nel luglio 2012 durante la rivolta contro la dittatura, Al-Saddiq sfuggì alla prigione sol perché si trovava nel Regno Unito, in quanto vincitore del prestigioso premio Poetry Parnassus. In quell’occasione ha presentato domanda di asilo politico e ora vive a Londra.
La prima raccolta di poesie, Songs of Solitude è stata pubblicata nel 1996 (seconda edizione 1999). Del 1996 è pure The Sultan’s Labyrinth, mentre la successiva raccolta, The Far Reaches of the Screen è del 1999: le tre raccolte sono state pubblicate in un unico volume dal titolo Poems, nel 2009. Purtroppo le poche notizie trovate (e per giunta neanche in italiano), non mi consentono di approfondire ulteriormente la poetica di Al-Saddiq ma dal poco materiale reperito, la sua validità di poeta è palese, come è comprensibile il fatto che abbia avuto numerosi altri importanti riconoscimenti oltre a quello già citato. Poem of the Nile’ un poemetto del nostro autore, è stato pubblicato su The London Review of Books, una prestigiosa rivista letteraria inglese che solo raramente ospita poesie tradotte dall’arabo, inoltre Al-Saddiq è stato il primo autore africano ad essere inserito nell’autorevole rivista letteraria. Una specie di consacrazione internazionale, insomma, per il poeta sudanese-rifugiato politico.
L’amore per le proprie radici però non si può accantonare ne dimenticare, infatti, cambiato lo scenario politico, Al-Saddiq di ritorno in Sudan, ha lanciato un progetto innovativo coinvolgendo scrittori in arabo del Sudan del Nord, in collaborazione con scrittori in inglese del Sudan del Sud. Progetto che, oltre ad avere una bella valenza letteraria, ha senza dubbio un grande risvolto politico: nel Sudan diviso e martoriato da guerre fratricide, forse, dove non arrivano gli uomini per costruire la pace, può arrivare la poesia (e i libri).