Le Filippine: cultura della diaspora e tradizioni letterarie nella raccolta di racconti di Mia Alvar.
Eccoci arrivati nelle Filippine, uno splendido arcipelago dai colori unici e atmosfere magiche, incrocio di etnie e di grandi tradizioni letterarie.
Scopriamola insieme…
Come ti ho anticipato, l’arcipelago delle Filippine è uno stato dell’Asia situato nell’Oceano Pacifico, è grande circa 3000.000 kmq ed è costituito da 7.107 isole, le più importanti sono Luzon, Mindanao, Samar, Negros, Palawan, Panay, Mindoro, Leyte, Cebu, Bohol e Masbate. Molte delle isole sono state originate da antichi crateri, alcuni dei quali ancora attivi, un esempio è dato dal vulcano Pinatubo, situato proprio nella zona centrale dell’isola e molto attivo, pensa che l’ultima eruzione è del 1991. In ogni caso, la natura vulcanica dell’arcipelago, molto fertile, consente una vegetazione tropicale molto rigogliosa e questo rende l’arcipelago ancora più affascinante. Una particolarità delle Filippine è quella di essere a cavallo fra il Tropico del Cancro e l’Equatore, una posizione alquanto strategica che, in qualche modo, genera due diverse zone climatiche, e quindi caratterizzata da stagioni calde e umide e stagioni secche e temperate.
Dal punto di vista geopolitico, le Filippine sono una repubblica di tipo presidenziale, con un capo dello stato eletto per 6 anni e a cui è dato da esercitare il potere esecutivo; il sistema giudiziario si basa su quello spagnolo e su quello anglo-americano e i giovani, dopo la fine della scuola obbligatoria e quella superiore, hanno facoltà di scegliere se partecipare al servizio di leva. Manila è la capitale ed è considerata il centro motore dei moderni sviluppi dell’economia del Paese mentre, nelle sue vicinanze, sono situate Quezon City, seconda città del Paese, elegante centro residenziale scelto per svolgere funzioni in prevalenza politico-amministrative e culturali, e Caloocan, città a vocazione industriale.
Dal punto di vista storico e culturale le Filippine rappresentano una sorta di trait-d’union tra la Malesia e l’Asia orientale ma, se torniamo indietro nel tempo, le note storiche ci dicono che queste isole mutarono improvvisamente, in una lontana primavera del 1521, quando l’esploratore portoghese Ferdinando Magellano, navigatore inviato dagli spagnoli, sbarcò in questo arcipelago del Pacifico. Dalla dominazione spagnola, verso la fine dell’Ottocento, il territorio passa agli USA e nel 1946, finita la Seconda Guerra Mondiale, le Filippine ottengono la meritata indipendenza. E’ normale pensare che l’insieme di tutte queste varianti, dalle diverse civiltà alle lingue, agli usi e ai costumi, abbia creato una cultura poliedrica e molto interessante dove la religione musulmana di alcune isole si affianca a quella dominante cristiana della maggior parte del territorio. Lo stesso vale per il tagalog, la lingua nazionale usata dalla popolazione, nonostante la moltitudine di dialetti locali presenti nell’arcipelago e l’uso dell’inglese come seconda lingua nazionale ad appannaggio dei politici e dei commercianti.
A questo proposito ti svelo qualche particolarità sulla cultura e le usanze del popolo filippino. Lo sapevi che nelle Filippine si usa indicare con le labbra, prolungandole in avanti? Ebbene sì! Se qualche filippino allunga le labbra senza muoversi verso di te e guarda fisso davanti a se, sappi che non fa il furbo ma sta indicando qualcosa! Non solo, nella cultura filippina il rispetto nelle relazioni e la gentilezza nel rispondere alle persone sono componenti essenziali. Il rispetto si manifesta in base alle relazioni, è qualcosa d’innato e non si guadagna. Infatti, nelle relazioni bisogna portare molto rispetto, in particolar modo, a chi è più grande, poichè l’età indica la saggezza e l’esperienza della persona stessa.
Vuoi scoprire qualche parola particolare ?
Kuya (si pronuncia cuìa): viene utilizzato per rivolgersi a un ragazzo più grande di te, anche se solo di un anno. Per esempio… se hai un cugino più grande di te che si chiama Max, lo chiamerai Kuya Max!
Ate (si pronuncia àte): è la versione femminile di “Kuya” e si utilizza per rivolgersi a ragazze più grandi di te, anche di solo un anno.
Nanay/Tatay: significa letteralmente “mamma” e “papà”. Si usa per le persone anziane.
Tita e Tito: significa letteralmente “zia” e “zio” e si usa per le persone che sono molto più grandi di te ma non così giovani da essere chiamati Kuya e Ate. Per esempio, se incontrassi una persona che ha l’età della tua mamma dovresti rivolgerti chiamandola tita.
Il concetto è chiaro. Nelle Filippine, la comunità è al centro di tutto e non occorre avere un legame di parentela per essere legati ad una persona, anzi, anche i vicini di casa sono parte della famiglia. Immagina quindi le relazioni che si creano con i turisti che, a quanto dicono, sono trattati davvero con tutti gli onori. Assolutamente affascinante! Ma non è finita qui! I filippini non si spostano mai a piedi, solo con tutti i mezzi a disposizione, mangiano solo con forchette e cucchiai, non usano le bacchette e men che meno i coltelli, non amano stare al sole (la pelle abbronzata è brutta perchè indica colui che fa lavori umili all’aperto).
Da ferventi cristiani, l’aborto e il divorzio sono illegali, in alcune isole viene rappresentata la flagellazione della via crucis di Gesù, con persone che vengono davvero flagellate (dicono nei limiti). Per esorcizzare, comunque, le tristezze della vita, amano cantare in ogni dove e appena possibile, organizzare karaoke, adorano la piscina, (con quel mare… mah!), mangiano almeno sei volte al giorno, sono capaci di organizzare un negozietto di alimentari in una sala da pranzo e quando decidono di andare in vacanza per visitare un altro Paese, stai tranquillo che a risolvere il problema ci sono gli amici. Insomma, i filippini sono belle persone!
Per approfondire l’aspetto letterario, è importante sapere che l’avvento degli Spagnoli ha dato un’impronta europea alla cultura delle Filippine, unica per un paese asiatico e alcuni tipi di teatro e di poesia lo evidenziano in maniera chiara. Così il moro-moro (o comedia) del sec. XVIII, rappresentazione melodrammatica delle vittorie cristiane sui musulmani, il corrido ballata cavalleresca di stile spagnolo ma adattata al tagalog, l’awit poema in endecasillabi, che esprime il meglio della letteratura tagalog premoderna.
Intorno agli anni Sessanta si comincia a parlare di letteratura con Florante at Laura di Francisco Baltazar, noto con lo pseudonimo Balagtás, e Huseng Sisiw. Anche la novellistica ha i suoi proseliti con C. H. Panganiban, D. A.Rosario la narrativa si fa più aderente alla realtà sociale, a cominciare dal romanzo di Hernandez Mga Ibong Mandaragit (1959; Gli uccelli da preda). Anche la ricerca di un’identità nazionale si fa strada nella narrativa e il fiorire delle riviste acuisce lo spirito critico e l’ampliarsi del pubblico che si apre anche alla poesia.
Nella letteratura moderna i libri filippini promuovono ancora quelli che sono i valori culturali della comunità, continuano a fare uso di simboli e allegorie per rappresentare le lotte quotidiane dei filippini nei rapporti con la famiglia, gli amici, i partner romantici e la società. alcuni di questi libri sono arrivati al grande schermo.
Vediamo quali sono:
ABNKKBSNPLAko?! Il titolo del libro viene letto foneticamente come “Aba nakakabasa na pala ako?!” che può essere tradotto come “Wow posso leggere ora?!” Il primo libro di Bob Ong, pubblicato nel 2001, uscito anche sul grande schermo nel 2014, è diventato famoso per aver rappresentato i momenti indimenticabili della sua vita da studente, dai primissimi anni al college.
Para Kay B di Ricky è una commedia romantica che racconta storie di cinque donne diverse, ma solo uno su cinque di loro ottiene un lieto fine. Dekada 70 di Lualhati, Illustrado di Miguel Syjuco, vincitore del premio Man Asian Literary 2008, 100 Tula para kay Stella di Jason Paul Laxamana, anche questo libro ha avuto il suo debutto cinematografico cosi come Cerchi più piccoli e più piccoli di FH Batacan.
Una testimonianza importante sono le opere di una scrittrice filippina, nata Manila ma cresciuta in Bahrein ed emigrata poi nei Stati Uniti per un futuro migliore. Lei si chiama Mia Alvar, autrice di Famiglia ombra, i cui protagonisti sono figli della diaspora filippina: esuli, emigranti, uomini e donne che hanno lasciato il proprio paese, e spesso parte della propria famiglia, per cominciare una nuova vita in Medio Oriente, negli Stati Uniti o in Europa. Con la speranza di poter, un giorno, dopo aver messo da parte risorse sufficienti, tornare a casa. “Famiglie ombra parla al cuore di chiunque abbia mai cercato un posto che si possa chiamare “casa”. Sono nove storie figlie di un tempo in cui siamo tutti sradicati e spaesati, alla perenne ricerca di ricongiungerci con i nostri cari, separati come siamo da confini reali o solo immaginati.”
Un farmacista a New York contrabbanda farmaci per aiutare il padre malato; le riccone filippine in Bahrain dànno feste e organizzano karaoke per i meno fortunati; quell’undici settembre una donna delle pulizie non potrà andare a lavorare sulle Torri Gemelle; un’infermiera deve fronteggiare un trauma indicibile mentre sullo sfondo si staglia la terribile situazione politica delle Filippine negli anni ’70 e ’80. Racconti vividi e passionali della diaspora filippina, di chi è partito per cominciare una nuova vita in Bahrain, in Arabia Saudita, negli Stati Uniti.
“Oggi le Filippine non sono più una colonia”, scrive l’attrice, ma restano un paese povero, dove ammalarsi può significare andare in rovina per pagarsi le cure, diviso dagli scontri tra cristiani e musulmani, e in mano a un presidente, Duterte, molto discusso. Per questo sono moltissimi i filippini che scelgono di emigrare verso il Medio Oriente, gli Stati Uniti o l’Europa, in cerca di un futuro migliore.”
Una volta Mia Alvar ha descritto così il suo paese: “Le Filippine sono state colonizzate dagli Spagnoli per 400 anni e dagli statunitensi per 50: 400 anni in convento e 50 a Hollywood.”