Kuwait , il Paese dalle Mille e una notte
Quando si parla di Kuwait il primo pensiero, quello più immediato, di noi occidentali condizionati dallo spread e dai conti pubblici, è legato alla ricchezza e a uno stile di vita che spesso supera l’immaginazione ma se scendiamo in profondità non è difficile rendersi conto che, il Kuwait, è rimasto profondamente legato ad una mentalità conservatrice molto radicata. Tutto in qualche modo è sospeso tra un passato che lo chiude in regole arcaiche e un presente dorato di macchine chilometriche e palazzi con le cupole dorate. E’ il Kuwait delle favole, dove si sogna la casa di Aladin delle mille e una notte che, già all’epoca, guardava da lontano le regge sfarzose del sultano e della bella principessa tutta piena di ori ma costretta dalla legge a nascondersi il viso. Il Kuwait è rimasto così, sfarzoso ma chiuso in se stesso; se di letteratura dobbiamo parlare perchè è quello che ci interessa, un segnale forte di libertà di pensiero e di costumi lo danno proprio gli scrittori più rappresentativi del panorama culturale arabo, oltre a un’approfondita ma divertente descrizione da parte di due mamme che in Kuwait hanno deciso di vivere.
Ma andiamo per gradi e conosciamolo meglio
La note geografiche dicono che è un Stato dell’Asia sudoccidentale, situato nella parte nord occidentale del Golfo, nel punto di congiunzione tra la Penisola Arabica e il continente asiatico, come la Giordania, crocevia di più culture, dalla palestinese, all’egiziana, irachena e libanese prima ancora che si radicalizzasse quella araba e kuwaitiana. Indubbio che la scoperta dei giacimenti petroliferi, avvenuta intorno agli anni trenta, ha dato al Kuwait la possibilità di crescere economicamente e di utilizzare le risorse per progredire nella tecnologia, nelle politiche sociali e culturali del Paese.
Alcune note generali
Dal 1961 il Kuwait è uno stato indipendente con una monarchia ereditaria che, in base alla Costituzione, edita il 16 novembre del ’62, designa l’emiro come capo dello stato, a lui spetta il compito di esercitare il potere esecutivo attraverso la figura del Primo Ministro e dei ministri da lui nominati. Pur essendo un Paese cosmopolita, per i vari interessi che lo circondano, l’Arabo rimane la lingua ufficiale mentre l’inglese è usato soprattutto per le pubblicazioni o per dare informazioni di qualsiasi genere agli stranieri che desiderano integrarsi. Kuwait City, è la capitale, dove risiedono tutti gli uffici governativi, il parlamento, le banche, le aziende, l’aereoporto principale e tutto quello che gira intorno alla vita politica e culturale del paese.
Come tutti i paesi arabi, anche il Kuwait è un Paese di cultura islamica, la religione è musulmana e osservanza delle regole è totale. Una testimonianza forte è il Ramadan, periodo religioso in cui è vietato mangiare, bere o fumare in pubblico dall’alba al tramonto, pena il pagamento di multe o la detenzione in carcere.
Alle donne è consentito solo indossare l’abia & hijab, un abito lungo da capo a piedi ma, grazie ad una legge del 2005 approvata da un Parlamento di soli uomini, anche le donne hanno potuto votare alle elezioni del 2006 entrando definitivamente in Parlamento con le votazioni del maggio 2009.
La storia del Kuwait, così come la Giordania, si inserisce in un precario equilibrio politico che in qualche modo ha caratterizzato il mondo arabo dal ’60 in poi. Anche in questo caso gli attriti e la successiva guerra con l’Irak per il dominio del territorio, l’appoggio al popolo palestinese, l’intervento delle forze alleate, senza dubbio, hanno generato forti scosse integraliste all’interno del Paese così da spingere il primo ministro, nell’aprile del ’94, ad un nuovo rimpasto governativo escludendo i ministri legati alle componenti più strettamente religiose. Una scelta rivelatasi fondamentale per il ripristino dei rapporti diplomatici con i paesi neutrali e il successivo ritorno di un Parlamento orientato verso nuove elezioni e una nuova visione politica da seguire.
Nonostante lo sfruttamento del petrolio abbia avviato un processo di modernizzazione del Paese, il kuwait, come ti ho già accennato, è palcoscenico di grosse contraddizioni che coinvolgono soprattutto le donne. Gli aspetti tradizionali si scontrano con quelli occidentali legati al benessere favorito dalla circolazione del denaro e dalla conseguente diffusione della delinquenza o il traffico di droga, aspetti che la cultura integralista araba cerca di arginare in tutti i modi. Per onestà devo ammettere che anche in Kuwait le tradizioni popolari smorzano le regole più tradizionaliste, per esempio esiste ancora una pratica rimasta intatta nei secoli, la diwaniyyah, incontro riservato agli uomini che si svolge in una tenda o in un locale riservato in cui si trascorre il tempo parlando e sorseggiando il tè. Si divertono con le corse con i cammelli e quella con i cavalli, giocano molto bene a calcio e a golf.
Entriamo nel vivo della produzione letteraria
Non c’è dubbio che la letteratura abbia molto a che fare con la condizione delle donne e il rispetto dei diritti umani. Un esempio è dato dalla prima rivista femminile creata nel ’93 dal titolo Samrà diretta dalla scrittrice Fat.ma H.usayn; ti segnalo anche la scrittrice Fawzia Dorai, formatasi negli Stati Uniti e autrice di una raccolta di racconti L’amore sotto l’occupazione del 1991 in cui descrive l’occupazione irachena del Kuwait basandosi su fatti realmente accaduti e per questo censurata dal Ministero dell’informazione del suo Paese.
Molto seguito è il premio letterario Multaqa dedicato esclusivamente al racconto breve arabo, nato in Kuwait dalla collaborazione tra il circolo culturale gestito dallo scrittore kuwaitiano Taleb Alrefai e la American university of Kuwait, ed è l’ultima iniziativa letteraria dopo l’Arabic Booker di Abu Dhabi e il premio Katara del Qatar, che però sono entrambi dedicati al romanzo.
Da segnalare è Ahmed Saadawi, nato nel 1973 a Baghdad, dove vive, autore di documentari per la tv, giornalista e corrispondente freelance, romanziere, autore di racconti brevi, poeta e pittore. Ha pubblicato una raccolta di poesie, vari racconti brevi su diverse testate cartacee e online e tre romanzi, l’ultimo dei quali, Frankenstein a Baghdad, un romanzo ambientato a Baghdad durante l’occupazione americana nel 2005/06 con il quale ha vinto la settima edizione del prestigioso International Prize for Arabic Fiction, più conosciuto come Arabic Booker
La città è costellata di esplosioni kamikaze, percorsa da violenze settarie tra sciiti e sunniti e altri gruppi, priva di un ordine statale e civile vero e proprio, immersa nella precarietà economica. Un misterioso personaggio raccoglie e mette insieme i pezzi di cadaveri prodotti dalle esplosioni e crea un Frankenstein, un mostro che comincia a vivere e a vendicare le vittime. Un po’ alla volta questo mostro, su cui indagano inutilmente polizia e giornali, terrorizza la popolazione di Baghdad, passando a colpire anche vittime innocenti.
Canna di bambù è invece il romanzo molto coinvolgente con cui Saud Al Sanousi, scrittore e giornalista kuwaitiano, ha vinto il Premio internazionale di letteratura araba nel 2013.
La vicenda di José/Isa, bambino mezzo kuwaitiano e mezzo filippino, frutto dell’amore ‘scandaloso’ tra un esponente della classe dominante, Rasheed al Tarouf, rampollo di un’influente e facoltosa famiglia locale, e un’umile immigrata, Josephine Mendoza, cameriera in servizio presso gli al Tarouf. Il romanzo misura un mondo segnato da classismo razzista, segregazione etnica, rigide regole di appartenenza, cieco moralismo. “José”, così chiamato, cristianamente, in onore dell’eroe nazionale filippino Rizal, per i kuwaitiani è appunto “Isa”, un nome che viceversa, per i filippini si traduce con “Uno”. Uno, ovvero due, oppure nessuno, o forse centomila? Nell’ambiguità è incisa la cicatrice, la maledizione, lo stigma. Al contempo, il nome cela in sé il fiorire di una possibilità lontana, il bagliore della speranza, un alito di futuro.
Suad al-Sabah è tra le scrittrici arabe più influenti nel mondo, poetessa e ricercatrice, ha conseguito un dottorato in Economia nell’università di Surrey nel Regno Unito nel 1981 e è ideatrice di “Dar Suad al Sabah” una rivista di primo piano nel campo dell’editoria e della produzione culturale.
Le dolenti note arrivano invece dalla notizia (2018) dell’ultimo rogo virtuale operato dalle autorità kuwaitiane di 948 libri dal Festival internazionale della letteratura, che si tiene dal 14 al 24 novembre e giunto alla sua 43esima edizione. Lo comunica Saad al-Anzi, direttore del Festival, dichiarando che il ministero dell’Informazione ha messo al bando quasi mille libri, tra saggi e romanzi, tra questi I fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, Gabriel Garcia Marquez, Victor Hugo, il primo premio Nobel arabo Naguib Mahfouz, George Orwell, l’egiziana Radwa Ashour a questi si aggiungono, aimè, La Sirenetta di Hans Christian Andersen, la Divina Commedia e Zorba il greco , ma anche testi medici sull’imene.
La novità, quella allegra che probabilmente non mi aspettavo di trovare, è il libro di due simpatiche mamme, Drusilla e Mimma che, a dispetto delle tradizioni, hanno proprio deciso di rimanere a vivere in Kuwait una scelta che hanno spiegato in Mamme nel deserto, un diario a due voci che racconta con freschezza, semplicità, entusiasmo, come due giovani mamme italiane, in Kuwait a seguito dei loro mariti, siano riuscite, attraverso la ricerca di una normale quotidianità, a superare l’iniziale solitudine con i primi rapporti sociali, scoprendo nuove culture accessibili e interessanti, dove le opportunità si sostituiscono alle difficoltà.
Insomma, al di là di tutto, casa è ciò che vivi con amore, ovunque si decida di vivere!