In occasione della Giornata della Memoria, sono state esposte le lettere di Suzette Tartarone, definita la Anna Frank napoletana. Le sue lettere sono state esposte prima nell’edificio delle Poste Centrali di Napoli e si potranno ammirare fino al 6 febbraio 2023, presso il Museo di Napoli.
Sono state esposte in occasione del 27 gennaio del 1945, giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, Le due lettere provengono proprio da quel lager. Le ha trovate nel mercato antiquario Gianmaria Lembo, consulente di aste filateliche e pronipote di Ferdinando, fotografo di Gemito, che ha raccolto oltre centomila documenti sulle due guerre mondiali.
La mostra
L’esposizione Memoria e Shoah, a cura di Mariagrazia Paris di Poste Italiane e Adriana Riccio di Filatelia Ravel, è visitabile fino al 6 febbraio, alla Casa dello Scugnizzo, nel Museo di Napoli, Collezione Bonelli .
Le lettere di Suzette scoperte da Bonelli
Una delle 9 lettere di Suzette Tartarone, la Anna Frank napoletana ritrovate da Gaetano Bonelli, fondatore e direttore del Museo di Napoli, inizia così:
“Carissimo babbo, sono lieta di avere tue buone notizie. Vedo che la tua vita si svolge sempre metodica, regolata come un orologio, come pure la mia e se continua così non sarò di ritorno a casa nemmeno per Natale del 2.000”.
Nove epistole, indirizzate al padre Alfredo nella casa di via Roma, scritte tra il 1941 e il 1942 nei campi di prigionia delle Marche: a recuperarle sul mercato antiquario è stato Gaetano Bonelli, che dodici anni fa ha scoperto la prima missiva di questo carteggio e ha fatto così emergere dall’oblio la storia tragica e appassionante della giovane napoletana di origini ebree, padre napoletano e madre francese, imprigionata non solo per motivi razziali, ma soprattutto per l’avversità al regime fascista e per i costumi emancipati, liberi, ma giudicati allora licenziosi e da condannare.
Come spiega Bonelli a Repubblica:
” Questo corpus offre nuove verità e nuove emozioni a un commovente diario epistolare della prigionia e conferma che Suzette Tartarone è stata detenuta non solo nel campo di Pollenza, ma almeno in altri due campi sempre nei pressi di Macerata: Castelraimondo e Caldarola”.
Le nove epistole comprendono cartoline e biglietti al padre Alfredo, assieme a due risposte di quest’ultimo alla figlia, da lei conservate durante la prigionia, prima di evitare la deportazione ad Auschwitz e del ritorno a Napoli (grazie all’intercessione di uno zio prefetto a Torino) dove morirà negli anni Settanta. Della sua vita, però, non si sa altro.
“Le lettere portano il timbro “verificato dalla censura” – continua Bonelli – Forse Suzette ingannava i controlli, scrivendo nelle prime righe quasi sempre di convenevoli al padre, mentre più avanti lascia spazio a sfoghi e richieste di aiuto per ritrovare la libertà“.
“Vai a Roma, ti prego – scrive il 14 gennaio del ‘ 41 – non avrò pace finché la mia libertà non mi sarà resa”. E sempre al padre che l’aiuta, dice il 6 giugno: ” Peccato che l’on. Min. dell’Interno non sia come te”.
Il 12 giugno parla invece della polizia che si ricorda “benissimo della mia moralità sulla quale non c’è assolutamente nulla da dire. Spero che consentiranno a farmi tornare un giorno a casa. Il campo (di internamento, ndr) libero mi interessa poco. È un’altra schiavitù”. Suzette racconta poi la sua rassegnazione (“La mia volontà non conta più niente”, ” Qui sono una cosa malleabile senza personalità”) e rivendica l’ingiustizia subita: ” Io sono nata libera”. Nell’agosto 1941 vorrebbe tornare a Napoli: ” Non ho paura delle bombe nemiche”.
E poi ci sono i momenti di affetto, i ringraziamenti al padre per regali come sandali, calze e dolci.
“Queste lettere andrebbero lette nelle scuole – conclude Bonelli – e spero un giorno possano diventare un libro o una rappresentazione teatrale. I nove inediti li ho acquistati due mesi fa, ma ho voluto diffonderli nella Giornata della Memoria e in questo momento di guerra in cui la sofferenza di Suzette, la costrizione della libertà e la vessazione in generale debbono fungere come monito”.