Non devo ricordartelo, saprai bene fin dall’infanzia che la seconda domenica di Maggio c’è un appuntamento con la tradizione difficile da ignorare. Per diversi motivi. A cominciare dal fatto che, in qualsiasi modo e in qualsivoglia condizione, tutti siamo o siamo stati figli. E la seconda domenica di Maggio, caso mai lo avessimo dimenticato, è una tradizione dall’origine articolata a ricordarcelo.
Indistintamente ci piaccia o no, siamo nati da una donna. Il “ci piaccia o no” non è polemico né ironico ma scaturisce dalla considerazione che le rivendicazioni alla maternità surrogata da parte di coppie gay, se può essere per certi versi capita come bisogno o desiderio legittimo di avere un figlio da amare, da altri punti di vista lascia quantomeno perplessi.
Questa però è una rubrica di poesia, quindi lascio le questioni spinose attaccati ai rovi delle leggi, della morale e dell’etica e ti conduco nel mondo dei versi rivolti alle madri.
Non dirmi che almeno una volta nella vita non hai imparato a memoria una poesia dedicata alla mamma perchè non ti credo! Dall’asilo alle superiori, non c’è programma scolastico, libro di testo o insegnante che non propone versi sulle madri, nel giorno della festa a loro dedicata e non. Si comincia con le filastrocche o le canzoncine della scuola materna, pardon ora si chiama dell’infanzia ma non trovi che suoni meglio l’aggettivo materna?
Quel materna ha il calore dell’accoglienza, il profumo di casa, di affetto e odora di mamma, appunto (vabbè il modernismo ha il suo perchè, forse). Si finisce con i testi più impegnati: sto pensando a Dante, per esempio, il primo che mi viene in mente perchè a lui non sfugge nessuno studente.
Il Sommo dedica alla Madre delle madri quei versi sublimi (se pur inflazionati e a volte pure odiati) dell’ultima Cantica della sua Commedia: Vergine e madre, figlia del tuo Figlio,/ umile ed alta più che creatura,/ termine fisso d’eterno consiglio/ […]. Nel ventre tuo si raccese l’amore/ per lo cui caldo nell’eterna pace/ così è germinato questo fiore./ […]
Credi che stesse pensando agli studenti delle future generazioni e al loro sudore dentro le proverbiali sette camicie? Sicuramente no. Probabilmente anche lui nello scrivere i suoi versi immortali fu mosso sì dalla fede e dalla venerazione ma anche, azzardo e consentimelo, dall’amore ricevuto da sua madre, quella terrena. Sappiamo bene, psicologia e psicoanalisi insegnano, quanto è importante per la crescita e la formazione di un bambino il rapporto con la madre, talmente importante e fondamentale da condizionarne la vita da adulto.
Quindi, se Dante ha trovato parole inusitate probabilmente avrà avuto un ottimo rapporto con sua madre. Del resto lui è il Sommo, altri più terra-terra si accontentano di versi più semplici per venerare la Madre delle madri: Pensarti Madre fra la gente del Tuo tempo/ Madre umile fra gente semplice/ che porta in grembo l’infinito./
Bando agli svicolamenti, agli incisi, alle deduzioni più o meno logiche e ai versi degli sconosciuti, qui si parla di poesia vera: però vedi come la poesia riesce a trovare porte aperte in tutti i settori? Basta saper vedere e seguire i fili invisibili che la legano ad ogni cosa. Torniamo a noi con i versi dedicati alle madri e fra i tanti, a dimostrazione di quanto ho detto sopra, cito quelli di Pier Paolo Pasolini personalità di artista a tutto tondo fra le più complesse, che ha avuto con sua madre un rapporto quasi simbiotico
[…] Tu sei la sola mondo che sa del mio cuore,/ ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore./ Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:/ è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia./ Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. […].
Parole bellissime e tremende, parole che io da madre, se avessi un figlio maschio, non vorrei mai sentirmi dire.
Pare, così esternano gli esperti, che i figli maschi abbiano un attaccamento particolare alle madri, come del resto le femmine ai padri, saranno luoghi comuni? Se rifletto sui versi letti sopra sembrerebbe di no, ma non si può generalizzare, è ovvio. Essendo anch’io madre ma di due figlie femmine, so che il rapporto madre-figlia è meno dipendente, sopratutto da una certa età in poi. I figli, maschi o femmine che siano, si accompagnano nella crescita e poi si devono lasciare andare: questo una madre lo sa bene.
Ti condurrò per mano nei giorni delle tue primavere./ Ti guiderò nel cammino sulle foglie morte del mio autunno./ Fiorirai, osserverò in silenzio il tuo fiorire e sentirò da lontano il tuo profumo./ E mi basterà così. (Dedica, inedito)
Non so se anche le rivalità e le contrapposizioni del periodo adolescenziale siano definibili come luoghi comuni, di fatto spesso, scaturiscono in veri e propri conflitti, specie fra madri e figlie: ditemi chi non ha litigato ferocemente con la propria madre da ragazzina, salvo poi assomigliarle incredibilmente da adulta, restando meravigliata nell’accorgersi di avere i medesimi atteggiamenti e di usare le sue stesse parole, un tempo ferocemente rinnegate… Corsi e ricorsi della vita che sa dare risposte incredibili a tutte le ribellioni adolescenziali.
Madri per sempre, con e senza festa
E il cuore quando d’un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra/ per condurmi, Madre, sino al Signore, come una volta mi darai la mano./ In ginocchio, decisa/ sarai una statua davanti all’eterno,/ come già ti vedeva/ quando eri ancora in vita…[…] Ricorderai d’averlo atteso tanto,/e avrai negli occhi un rapido/ sospiro.
I versi struggenti di Giuseppe Ungaretti, estrapolati dalla poesia La madre, raccontano nella visione di un figlio ormai adulto che si è madri per sempre, in vita e oltre la vita; che non si smette mai di amare e di attendere il ritorno reale e metaforico dei figli: è la condizione delle madri davanti alle ribellioni e alle intemperanze, alle dimenticanze, alle contrapposizioni, alle rivalità, alle incomprensioni perchè, diciamocelo chiaramente, non sempre i rapporti madre-figlio/a sono idilliaci.
Femmine un giorno e poi madri per sempre, cantava Fabrizio De André in un noto brano, Ave Maria, tratto dall’altrettanto notissimo album La buona novella e mai parole furono più vere. Perchè un figlio si può abbandonare per vari motivi, si può persino abortire o in casi di estrema disperazione o aberrazione uccidere, ma non si potrà mai dimenticare di averlo portato per nove mesi dentro le viscere e di averlo partorito.
Una donna, potrà anche non sentirsi abbastanza pronta per diventare madre, mai all’altezza del ruolo che la natura le ha assegnato, del resto si impara la maternità sulla pelle dei figli e quanti dubbi e incertezze, quante domande e perplessità sorgono, quanti quesiti e quanti problemi crescono con gli anni dei figli e quanto spesso si è sole (o quasi) ad affrontarli: nessuno ci insegna il mestiere di madre (o padre) ed è presunzione pensare di avere risposte coerenti a tutte le domande di un figlio.
Nel giorno della festa che celebra la maternità, davanti ad un fiore, ad un bacio o ad un semplice sorriso accompagnati da un “Auguri mamma”, occorre essere sincere fino in fondo, perché dire: “ho fatto quello che ho potuto, non sarà stato l’ideale per te, ma ho fatto del mio meglio, figlio mio”, è l’atto d’amore più sincero che una madre possa fare.
E mi piace finire con dei versi che una maestra di cinquant’anni fa (per quei tempi all’avanguardia) diede da imparare a memoria alla sua classe, una quarta elementare. In quella classe e con quella poesia imparai che le mamme quando soffrono, non si arrendono e sanno farlo con un sorriso sulle labbra:
Figlio ti dirò che la mia vita/ non è stata una scala di cristallo/ ma una scala di legno tarlato/ con dentro i chiodi e piena di schegge/ e i gradini smossi sconnessi/ e luoghi squallidi/ senza tappeti per terra./ Ma ho sempre continuato a salire,/ ed ho raggiunto le porte/ ed ho voltato angoli di strade,/ e qualche volta mi sono trovata nel buio/ buio nero, dove mai è stata luce./
Così ti dico, ragazzo mio,/ di non tornare indietro,/ di non soffermarti sulla scala/ perché penoso è il cammino,/ di non cedere ora./ Vedi io continuo a salire… amore./ E la mia vita,/ non è stata una scala di cristallo./ (La scala di cristallo di Langston Hughes)