“Giovinette, le calciatrici che sfidarono il duce“edito da Solferino è un romanzo particolare.
Mi è stato indicato da Stefano, un collega come me appassionato di libri ma anche di sport. La sua autrice, la giornalista del Corriere Federica Seneghini, è riuscita, con una meticolosa e appassionata ricerca e raccolta di documenti dell’epoca, a riportare alla luce una storia di grande amore per lo sport ma soprattutto per il calcio. La notizia in questione parla di un gruppo di ragazze appassionate di calcio che nel 1933 provarono a materializzare un sogno a lungo desiderato fondando il Gfc, Gruppo Femminile di Calcio.
La storia è ripresa anche attraverso interviste rilasciate da Rosetta Boccalini, una delle fondatrici della squadra, alla rivista Calcio Illustrato che all’epoca pubblicò una delle sue dichiarazioni.
Amo moltissimo il gioco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai.
Giovinette Il sogno delle giovani fans del calcio
Purtroppo è la storia stessa a raccontare come un sogno così grande sia poi stato impedito con altrettanta determinazione dalla politica fascista. Il desiderio era di giocare, di condividere qualcosa di allegro, coinvolgente, magari allontanare i pensieri negativi.
La passione di Rosetta, che studiava da maestra, della sorella e di altre giovani milanesi fu così forte da convincere perfino Arpinati, statista fascista, all’epoca presidente del CONI e grande fautore dello sport. L’idea, in effetti, fu in qualche modo accettata ma con vincoli ben precisi, un dettaglio che si evince chiaro in un articolo dell’epoca pubblicata dalla Gazzetta dello sport.
“Pur riconoscendo che la sua diffusione non è opportuna è concesso l’autorizzazione alla società milanese a praticare il gioco del calcio. Ogni attività deve però svolgersi in privato, cioè su campi cintati e senza l’ammissione di pubblico”
È fin troppo chiara l’intenzione di limitare l’iniziativa a qualcosa di estremamente privato per evitare che l’idea della donna potesse essere distorta anche dal punto di vista estetico. Le ragazze infatti furono costrette ad esibire certificati specifici dopo aver passato la visita con Nicola Pende, il direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, al quale era stato affidato il compito di “salvaguardare a livello scientifico l’obiettivo di delineare la purezza della razza italiana voluta dal fascismo.”
Anche in questo caso le direttive del medico erano inequivocabili. L’autorizzazione era possibile solo rispettando l’età e che il gioco venisse eseguito senza che fosse legato ad impegni agonistici. Le sue motivazioni sono ben descritte dalle sue dichiarazioni dell’epoca.
“Io credo che dal lato medico nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile”. Il Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione! Beninteso, comunque solo per le ragazze tra i 15 e i 20 anni”.
Le Giovinette del calcio, il sogno interrotto dal Fascismo
È facile immaginare che per Rosetta, Marta e Losanna, non fu affatto facile continuare a giocare. I giornali dell’epoca definivano l’impresa del Gfc “l’antisport” o “la buffonata tipo americano”, certamente non calcio.
Non solo, le dichiarazioni non si fermavano all’aspetto prettamente tecnico ma si spingevano oltre esprimendo seria preoccupazione di cosa avrebbero fatto le atlete durante il periodo lunare e che l’Italia fascista aveva bisogno di buone madri, non di “virago calciatrici”.
Dichiarazioni che non hanno bisogno di spiegazioni. La manipolazione mediatica e politica nei riguardi dell’iniziativa intrapresa dalle giovani fans non lasciò il regime indifferente. Le ragazze infatti riuscirono a giocare solo una partita; l’11 giugno, Rosetta, Marta, Losanna e le altre riuscirono a organizzare la prima partita di calcio femminile d’Italia. Presente alla manifestazione, strano ma vero, anche un bel numero di tifosi incuriositi dall’evento e dalle ragazze che nel frattempo erano diventate molto famose. Fu il primo e l’ultimo incontro poi il regime bloccò loro la possibilità di continuare.
“Abbiamo bisogno di buone madri, non di calciatrici” fu questa la lapidaria dichiarazione che mise fine ai sogni della giovani calciatrici. Giovanna, la più grande delle sorelle Boccalini, sposata e con figli, provò a partecipare ma non le fu concesso. Nell’estratto del libro il concetto è spiegato bene
Il terrore di medici e gerarchi era che il calcio potesse compromettere la fertilità delle giocatrici. Per questo il Gfc stabilì di mettere in porta dei maschi, ragazzini della squadra giovanile nerazzurra: bisognava evitare che le donne rischiassero di prendere pallonate sugli organi riproduttivi. E in ogni caso una volta diventate madri, lo sport era da escludere.
A complicare la situazione la sostituzione di Arpinati con Starace alla guida del CONI. Nella prefazione di Ciani, lo storico dello sport e autore del saggio pubblicato nell’appendice del libro: il gerarca del regime non era un uomo di sport e ancor meno di quello femminile.
“Ragionava con criteri solo politici: lo sport doveva servire a sfornare campioni e campionesse che dessero lustro al fascismo”.
Le regole di Starace furono chiare da subito. Il Gruppo femminile calcio fu chiuso immediatamente; la ricerca fu dirottata su elementi da impegnare in altri sporti che potessero valorizzare la patria. Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce come ti ho anticipato, è molto interessante e ricco di particolari.
Rosetta, con i suoi sedici anni e nell’animo il sacro fuoco del calcio. Giovanna, per cui l’avventura della squadra è anche un gesto politico. Marta, saggia e posata ma determinata a combattere per la libertà di giocare. E poi la coraggiosa Zanetti che dà il calcio d’inizio, la stratega Strigaro che scrive ai giornali, la caparbia Lucchi che stenta a vincere l’opposizione paterna… Sono le amiche che all’inizio degli anni Trenta danno vita al Gruppo femminile calciatrici milanese, la prima squadra di calcio femminile in Italia.
Ma l’Italia di allora è fascista e man mano che il gruppo si allarga, diventa una vera formazione e comincia a far parlare di sé sui giornali, il regime entra in allarme. Certo, queste giovinette si sono date tempi di gioco più brevi e regole più leggere, assicurando di non voler compromettere la loro «funzione primaria» di madri. Scendono in campo con i calzettoni e la gonna nera per non offendere la morale. Ma sono comunque donne e il calcio è uno sport da maschi. Per tacere del fatto che Giuseppe, il marito di Giovanna, finisce nei guai con la polizia politica.
Sembra tutto molto assurdo, eppure nonostante la sua importanza storica e sportiva, le vicende a cui sono legate le sorelle Boccalini e la nascita della società femminile di calcio sono cadute nel dimenticatoio. Federica Seneghini ha giustamente rispolverato e dato lustro ad un gruppo di giovani unite dall’amicizia e dall’amore per il calcio, indomite rispetto ad una società che in tutti i modi ha cercato di sopprimere i loro sogni.
Ricordare la storia di Rosetta e delle sue amiche significa comprendere cosa significa essere liberi di pensare e di agire. Quanto coraggio nelle parole di questa ragazza, non è sbagliato anzi mi sembra doverosa e giustificata la richiesta di intitolare in loro onore una via di Milano. Mi auguro che almeno questo sogno si avveri!
“Amo moltissimo il gioco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai”. Rosetta Boccalini
ATTACCANTE, 1933