Il libro di cui ti parlo oggi si intitola L’amore è… uno sguardo, un volto, un sorriso, scritto da Maria Cristina Sermanni e pubblicato da PAV Edizioni.
È sempre difficile recensire libri di questo genere, pagine veramente molto personali a cui, chi scrive, dà un compito catartico. Nella sinossi si legge che questo libro è un’autobiografia e non un romanzo. Nell’introduzione l’autrice stessa, Maria Cristina Sermanni, definisce perfettamente lo scopo di questo libro.
«Scrivere della propria vita è un modo per raccontarsi, per guardarsi indietro ed esprimere a voce alta i propri pensieri, sogni, delusioni e cambiamenti. Non è facile decidere di aprirsi agli altri, a sconosciuti mai visti, ma il senso della Vita e la forza amorevole che sono cresciuti in me grazie alle esperienze fatte mi hanno spinto a scrivere col solo obiettivo di toccare il cuore anche ad uno soltanto di quelli che mi leggeranno. Spesso è sufficiente un episodio per trasformare una vita. La mia vita è stata trasformata da un avvenimento triste e doloroso: la malattia e poi la morte di mio padre. Da lì comincia il mio percorso spirituale, da lì inizia quella che chiamo “rinascita”.»
Una domanda mi sorge spontanea, e colgo l’occasione di aver letto questo libro per porla a un livello più generale: era necessario scrivere un libro su questi argomenti piuttosto che in questo modo? Ovviamente non c’è una risposta esatta, si tratta pur sempre di opinioni. La mia però è no, secondo me no, o almeno non così.
Non metto in dubbio la valenza terapeutica per chi scrive, e neanche il conforto per alcuni lettori, ma io personalmente anelo a qualcosa di più, a qualcosa di meno scontato. Semplice non significa banale e i grandi narratori questo lo sanno bene. La mia personale opinione in merito a questo libro e ad altri libri scritti per una rinascita personale è che noi lettori meritiamo di più. Non nego l’impegno o l’importanza della scrittura per chi ha vissuto o vive una situazione difficile, ma questo non ci fa degli scrittori. Non possiamo essere sette miliardi di scrittori.
E credo che il mondo, ora come forse mai prima, abbia bisogno di scrittrici e scrittori degni di questo mestiere, persone che hanno una vocazione nel raccontare le storie, anche quelle personali – che poi infondo in ogni cosa che scriviamo c’è tanto di personale quanto di universale. Persone che hanno capacità, talento e determinazione. Persone che se non facessero questo mestiere, non farebbero nient’altro perché questa è la loro vita, la loro strada e non possono farne a meno.
Mi viene in mente un pezzo scritto su medium da Paolo Iabichino dove si parla di ipernarrazione. Qui si riferisce soprattutto allo storytelling, parla delle pubblicità di Natale e delle emozioni di quest’anno pandemico. Però dice una cosa – in realtà più d’una – che si addice anche a questo contesto: «Il tema non è la quantità, ma la qualità di quello che mettiamo in circolazione.»
Te ne suggerisco la lettura, si intitola Un augurio per il 2021: #anchemeno.
Infine, un consiglio: non inviateci da leggere libri in un formato non adatto, per esempio in word. Non è dignitoso per nessuno di noi.
L’amore è… uno sguardo, un volto, un sorriso, di Maria Cristina Sermanni
Si può scrivere stando nello spirito dell’esperienza ma non si può scrivere tutta l’esperienza, perché quello è ciò che accade tra la persona e la vita; e per accorgersi di questo occorre arrivare al punto in cui c’è la visuale aperta per vedere. Allora, raccontare ha lo scopo di aiutare gli altri a raggiungere quel punto panoramico da cui è possibile vedere e sentire più profondamente; diventa come una boa perché chi legge possa arrivare dentro di sé e trovare la sintonia con quel valore semplice, ma profondo, che è la Vita.
Il libro ha questo intento: permettere che si compia un giro semplice e potente che produce apprezzamento e rispetto per quello che c’è, per quello che si è, per quello che si può fare.