Tutti abbiamo imparato alle scuole elementari che la scoperta dell’America è avvenuta il 12 ottobre 1942. Poi ci hanno detto che, solo per caso, i vichinghi sono approdati sulle sponde del Nuovo Continente, tesi avvalorata dai diversi reperti trovati in Canada. Ma lo scrittore e storico Ruggero Marino è pronto a sconvolgere di nuovo le nostre conoscenze.
La scoperta dell’America studiata da Ruggero Marino
L’occasione per ribadire l’ipotesi è la presentazione del nuovo libro di Marino, “Dante, Colombo e la fine del mondo” (Xpublishing) che si tiene lunedì 11 luglio, alle ore 18, a Roma, a Palazzo Firenze, sede della Dante Alighieri. Con l’autore intervengono Gianni Letta, vicepresidente della Società Dante Alighieri, e Claudio Strinati, segretario generale dell’Accademia Nazionale di San Luca e vicepresidente del Comitato di Roma della Società Dante Alighieri, e Michele Canonica.
La retrodatazione di almeno un anno (se non di più) della scoperta al 1491 per Ruggero Marino si basa anche sulla testimonianza dello “PseudoPetraca”, dal titolo “Chronica delle vite de pontefici et imperatori romani“, un raro incunabolo stampato a Venezia nel 1507, “cioè quasi ridosso degli avvenimenti e ad un anno dalla morte di Colombo“. Qui si parla esplicitamente dello sbarco del navigatore genovese nelle ‘Nuove Indie’ durante il regno di Innocenzo VIII mentre è completamente ignorato in quello di papa Borgia.
Un dato, peraltro, sostiene Marino, suffragato dalla lapide sulla tomba del pontefice in San Pietro che dice “Novi orbis suo aevo inventi gloria” (“Nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta del Nuovo Mondo”), dal Panvinio, da Oviedo, dal Guicciardini, dalla famosa carta di Piri Reis e da altri storici come il Sansovino e il Cancellieri. Per di più nel contratto stipulato con i re si afferma che Colombo, prima della partenza del 3 agosto, va alle Indie “che ha scoperto”, un tempo riferito al passato e a un viaggio verosimilmente già avvenuto, ma cancellato dalla storia, osserva Ruggero Marino.