La guerra dei Papi è un bel romanzo. Quando si riporta alla luce un’epoca storica se anche legata ad una trama romanzata, è fondamentale che si abbia conoscenza non solo del periodo stesso ma degli aspetti che lo hanno caratterizzato e dei luoghi in cui si è svolto. In questo caso, non v’è dubbio che la ricerca fatta dagli autori, probabilmente lunga e impegnativa, ha dato i suoi frutti, sia per la descrizione delle location che per la particolare atmosfera che circonda la narrazione.
La scelta di prolungare troppo la descrizione delle diverse ambientazioni mi ha tuttavia portato a perdere di frequente l’attenzione dal pathos della storia rendendola inizialmente poco coinvolgente. Nulla in effetti è lasciato al caso, forse troppo, tuttavia è comprensibile l’esigenza di avvicinare il lettore alla mentalità dell’epoca, un motivo più che valido per osservarne le contraddizioni e comprenderne le motivazioni.
Le vicende dei personaggi fanno da sfondo al teatro più cruento che la memoria collettiva ricordi, il dietro le quinte del Conclave, teatro di intrighi e giochi di potere per raggiungere la soglia Pontificia,
LA GUERRA DEI PAPI: Il Conclave del 1550
Siamo in pieno Medioevo, la Chiesa gode di un potere temporale che consente ai Papi di manipolare la realtà inquisendo sulle apparenti idee riformiste. La conquista del papato non è la logica conclusione di un percorso religioso quanto la contrattazione costante di alleanze con le quali rinsaldare il trono papale perché di regno si trattava e non certo quello di Cristo.
Roma vive le contraddizioni di un epoca di terrore, dei Tribunali ecclesiastici, dei roghi e delle epurazioni in massa, ma diventa l’ombelico del mondo quando morto il papa, si attende l’annuncio del nuovo. Questo è lo scenario in cui si svolge la storia che, in apparenza, sembra di fantasia, ma, per alcuni aspetti, si attiene ad un rigore storico che lo impreziosisce.
“La disposizione dell’uomo a credere ha dell’incredibile, la folla, influenzabilità reciproca le emozioni crescono e si esasperano, violenza crudeltà coraggio, atti che i singoli non compirebbero mai da soli. Istinto contrapposto alla ragione antitetico ad essa. Sono là a centinaia pronti a sfidare il freddo. Oggi non lavoreranno i figli saranno costretti a litigare il cibo con i cani e tutto per assistere ad un processo”
” Lo fanno per il sangue Padre”
“La Chiesa da loro questo. e una madre. Colma le loro solitudine e soddisfa i bisogni e cosa chiede in cambio?
“Fede Signore?”
” No disubbidienza!”La Chiesa vive sulla trasgressione ai propri insegnamenti. La gente vuole divertirsi con il sangue e la Chiesa da tutto questo per ricordare loro che tutto questo può accadere!
“Bruciare all’inferno?”
“L’inferno che fa più paura è questo, senza le fiamme vere senza la paura di tutti i giorni come potrebbe un uomo temere ciò che non vede? La Chiesa ha bisogno di martiri...”
“Ma è un paradosso!”
“Non lo è anche Gesu?”Un Dio abbandonato sulla croce da Dio, non ti sembra il più irragionevole dei racconti?”
I personaggi della storia respirano quest’aria contaminata, si inseguono senza sosta, risucchiati dagli avvenimenti, spesso cruenti, che si susseguono a ritmo serrato, non certo facili da digerire, neanche per il lettore che si ritrova, in verità, fagocitato, senza rendersene conto, dai loro tormenti.
Questo aspetto mi ha colpito, non solo per la scorrevolezza e autenticità dei dialoghi; sono messi a nudo tutti i sentimenti, dalla vendetta, ai rimorsi, la paura, e non solo quella dettata dalle contingenze storiche. Pur nella dannazione, l’amore addolcisce l’aridità dell’animo troppo provata dalle crudeltà gratuita e accumulata nel tempo, riconsegna la dignità a chi riteneva di non esserne degno.
Tre anni di lavoro importante e si vedono: Ciai e Lazzeri, gli autori del romanzo La guerra dei Papi, sono riusciti a confezionare un romanzo qualitativamente valido miscelando con accuratezza fantasia e realtà. La scelta di usare il linguaggio volgare lo ha reso ancora più prezioso, cosi come gli spunti di riflessione dei personaggi che se pur in apparenza forti e vendicativi, svelano dinanzi all’imponderabile, la loro fragilità umana. E non manca la speranza che come ogni momento di disperazione, accende la luce nel tunnel delle sofferenze.
“Il mio nome è Giovanni Bruno, sono alfiere di sua Maestà e con me c’è mio figlio che avete spaventato”e rivolgendosi a Filippo disse,
“Dì il tuo nome ”
“Giordano Signore, il mio nome è Giordano Bruno!”