Ogni tanto ritornano i grandi poeti, ritornano e si riscoprono quasi per caso come se delle strane connessioni, dei richiami particolari che senza tempo carpiscono attimi di vita e diventano un eterno presente, fossero lì ad aspettarci, in attesa di essere riscoperti e attenzionati. In attesa di noi. Chi può sapere perché oggi sia toccato alla poesia di Konstantinos Kavafis intercettare i miei pensieri?
Sarà figlio del caso l’incontro con i suoi versi? Oppure la strana magia insita nella poesia lega chi la ama in un amore senza tempo né spazio né confini? Chi può dirlo? Com’ è come non è, chiamiamola casualità se vogliamo ma succede che ti ritrovi a leggere certi versi e in quel preciso istante capisci che ti assomigliano e quasi percepisci strani fili che ti legano alle parole di un poeta vissuto più di un secolo prima, in questo preciso caso Konstantinos Kavafis.
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
Il testo riportato sopra, Per quanto sta a te di Konstantinos Kavafis, è “colpevole” della mia riflessione odierna…
Eh sì, perché la poesia, oltre ad essere canto dell’anima, è anche riflessione sui temi importanti dell’esistenza, quelli che non mutano con il mutare dei tempi: le parole sopra riportate potrebbero benissimo essere state scritte oggi. È straordinaria la loro attualità. Sono e si adattano a me, a te, a noi umanità del terzo millennio come a quella del millennio passato: sono un invito a non sciupare l’esistenza nell’effimero, nel quotidiano gioco balordo di mille impegni, mille desideri e mille frenesie senza senso.
In pochi versi Konstantinos Kavafis ha inquadrato quella parte di umanità che pur di non guardare nel profondo della sua anima, pur di non scoprire l’abisso di niente celato e messo a tacere, si stordisce con mille cose fino a far divenire la propria esistenza una stucchevole estranea. Riempire di mondo quel vuoto, colmare con l’effimero le aride cavità dell’anima, guardare, guardarsi e prendere coscienza del proprio nulla è complicato: meglio stordirsi, distrarsi, perdersi di vista, ignorare i veri bisogni e compensare con altro.
È per questo evitare di conoscere e scrutare se stessi che abbiamo vissuto male (viviamo ancora, in alcuni casi) la reclusione forzata da Covid? La domanda sorge spontanea, come direbbe il buon Marzullo… Sarà perché non siamo abituati a stare solo in compagnia di noi stessi che ci pesa il necessario isolamento per impedire i contagi? Non voglio aprire ora un capitolo articolato che mi porterebbe lontano dai versi di Konstantinos Kavafis, il dubbio però si è insinuato nei miei pensieri… E chissà se non tocchi in qualche modo anche i tuoi.
Konstantinos Kavafis, uno strano destino
È strano a volte il destino dei poeti, capita che alcuni di loro vengano identificati con una città o una nazione anche quando sono costretti a vivere altrove. Come Dante, l’esempio più eclatante, molti altri e fra essi il nostro Konstantinos Kavafis che, di origini greche, visse la sua vita lontano dalla terra tanto amata e con la quale la letteratura mondiale lo identifica.
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1836 da genitori greci e morto nel 1933, è uno dei poeti più rappresentativi della cultura greca moderna, eppure ebbe modo di visitare la “sua Grecia” solo un paio di volte, costretto ad un esilio forzato a causa di assurde accuse contro i valori della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità.
Konstantinos Kavafis impiegò tutta la sua produzione poetica per ridare vita alla letteratura greca, sia in patria che all’estero, lo fece con amore e disincanto verso una società, quella del suo tempo, a lui ostile. Consapevole della sua diversità, forse anche per libera scelta, visse una vita isolata, tormentata, circondata da un’aura di mistero: erano tempi, i suoi, in cui l’omosessualità non era facile da vivere nè da accettare.
Visse al buio per lunghi anni nella sua casa dalle imposte sempre sbarrate, per impedire al sole di entrare. In quelle stanze illuminate solo da una lampada a petrolio e da alcune candele, consumò il suo dramma di uomo che chiedeva alla memoria di ricondurgli i fantasmi della giovinezza, un poeta i cui versi eterni restano di straordinaria attualità e modernità.
Lo avrai capito caro lettore: il caso ha voluto che mi imbattessi in un poesia di Konstantinos (o Costantino, all’italiana) Kavafis, una di quelle che si leggono e sembrano scritte proprio per quei particolari stati d’animo che, come una costante fissa e non proprio gradita, visitano in alcuni periodi della vita. Io, oggi, con un pizzico di fatalismo ho riesumato Kavafis di cui avevo già scritto qualche anno fa e spero di aver toccato qualche corda nascosta…