La rubrica di approfondimento Sogni di carta, ospita oggi Jonathan Rizzo, poeta ed autore di una raccolta dal titolo particolare, Le scarpe del flâneur.
La lettura di un’opera comporta sempre una certa curiosità sull’autore: ci si trova a chiedere chi è, come vive, cosa fa al di là della scrittura. A maggior ragione quando il libro letto incontra i nostri gusti. Se poi si tratta di poesia, la curiosità della sottoscritta si accentua perché chi frequenta le Muse sa o intuisce, cosa si può agitare nell’anima di un poeta.
Ora, al di là delle facili etichette che personalmente appiccico di rado, specie quando si tratta di poesia, Jonathan Rizzo è uno che conosce l’arte poetica e sa, attraverso i suoi versi, coinvolgere il lettore… E quindi è con vero piacere che lo ospitiamo qui, fra i nostri Sogni di carta e ringraziandolo per la disponibilità, gli diciamo di prepararsi ad “assolvere la sana curiosità” che i versi di Le scarpe del flâneur mi hanno suscitato.
È una domanda di rito la prima e recita sempre la stessa “litania”… Chi è e cosa fa per vivere Jonathan Rizzo, dal momento che sappiamo bene che “la poesia non dà pane”?
Mi faccio mantenere dalle mie donne.
Un personaggio particolare Jonathan Rizzo…
Non so se la risposta ad effetto mi dovrebbe stupire, lascio ai lettori la sentenza e passo… Le scarpe del flâneur che è la tua quarta pubblicazione, ci parli brevemente delle altre? Sono sillogi poetiche o frequenti anche la prosa?
Una accanto all’altra sono un percorso letterario e narrativo di vita nella tradizione dei grandi autori americani del Novecento che attraverso le loro opere hanno raccontato la loro vita partendo da essa come spunto. Ecco io invece copio direttamente dalla realtà. Il mio primo libro, L’Illusione parigina è un flusso di coscienza di 600 pagine, un poema libero scritto a Parigi nell’anno drammatico degli attentati; il secondo fu Eternamente Errando Errando, una raccolta di racconti poetici di viaggio scritti tornato in Italia per promuovere in giro per la penisola L’IP.; poi è venuta La Giovinezza e altre rose sfiorite. Ritratto del poeta che fu, una raccolta della mia poesia che mi sono potuto permettere di scrivere prima di rinascere a Parigi. Diciamo il prequel.
Dalle tue note biografiche e dai tuoi versi emerge chiaro un amore, oso dire viscerale, per Parigi. Quali sono i motivi che ti legano alla Ville Lumiere? Pensi che una città italiana, (ne abbiamo di bellissime e altrettanto particolari, no?) non potrebbe ugualmente diventare fonte per la tua ispirazione? (Forse sono leggermente nazional-campanilista o più probabilmente profondamente italiana)
Il mio legame con Parigi parte da lontano, dalle radici elbane sotto il sole a sventolare del vessillo napoleonico, e poi s’ingigantisce senza cura scoprendo quadro dopo quadro, canzone dopo canzone, libro dopo libro la cultura francese. In Italia abbiamo un indissolubile filo azzurro tra le città mediterranee che mi culla col suo canto, a cui aggiungo per debolezza di cuore Bologna, unica senza il mare in cui potrei vivere. Taglio fuori i due centri principali economici e culturali e gli altri grandi, medi, piccoli centri borghesi.
Addentriamoci ora nei meandri dei tuoi versi… parto dalla parte più tecnica, ma tranquillo tocco soltanto, in quanto ritengo che la tecnica e le regole prefabbricate della poesia, se pur necessarie per distinguerla dalla prosa, possono risultare un po’ una palla al piede. (Nel tuo Le scarpe del flâneur si incontrano spesso le rime che danno musicalità ai testi ma sono essenzialmente versi liberi) Cosa pensi in proposito? La poesia può fare a meno delle regole quando ci sono i contenuti, oppure regole e contenuti costituiscono il perfetto connubio per una silloge poetica?
Sul pianeta Terra, che è molto più grande del recinto in cui la poesia ufficiale italiana si è rinchiusa da secoli proteggendosi e reiterandosi da Maestro ad allievo generazione dopo generazione così che i pronipoti scrivano le stesse parole nello stesso modo dei bisnonni, no. In sintesi in Italia ritengo che il problema non sia il legame con la tradizione in sé o la convinzione forte che la metrica sia sacra, ma il dogma che qualsiasi cosa non rientri in questo perimetro non sia poesia e che la poesia sia sola quella tradizionale o vecchia che si voglia dire. Nel resto del mondo sono due secoli che siamo liberi di scrivere quello che vogliamo e come lo vogliamo, che sia seguendo le regole o facendone di nuove. In estrema sintesi l’intellighenzia culturale italiana è micragnosa. Nel mio caso più che di rime parlerei di assonanze ed allitterazioni, proprio per la ricerca di quella musicalità aggiungo io sinfonica, di cui parlavi tu.
Jonathan Rizzo, Boudelaire, Bukowsky e…
Ho evitato di scriverlo nella recensione della tua raccolta perché non mi piace paragonare un autore ad un altro, neanche quando si tratta di “mostri sacri”. Ritengo che in poesia ogni autore esprime se stesso come sente, senza necessariamente avere dei punti di riferimento importanti. Tuttavia ho notato che alcuni dei tuoi componimenti abbiano peculiarità che richiamano ad esempi importanti quali Boudelaire, di cui riprendi la tipologia del flâneur e Bukowski al quale si pensa leggendo alcuni testi dove esplicitamente parli di alcol e sesso. Una mia impressione o sono autori che ami? (Perché tutti abbiamo degli autori preferiti o no?)
Mi siedo a bere con loro e con tutti quelli che hanno offerto di farlo, ma sono solo i migliori ad avere la moneta giusta.
L’idea di un Jonathan Rizzo seduto ad un tavolino, a bere con Boudelaire e Bukowski mi piace molto… Una domanda secca che penso abbia una risposta lunga e articolata… Cosa fa muovere i passi di un flâneur?
Una lenta fuga. Passeggiare per la strada in mezzo alle persone. Parlarci, sentire la fatica o la gioia nelle loro voci. Osservare il movimento, l’inserimento nel quadro perpetuo del mondo. Scriverne per non perderlo o liberarsene se crudele e fuggire a piedi tra i colori ed i suoni.
Nei tuoi temi poetici, come in alcune delle tue risposte si alternano crudezza e malinconia… Succede la stessa cosa nella vita?
La poesia è la versione ben riuscita della vita.
Bellissima questa risposta, in qualche modo mi riporta al titolo, Poesia e vita, vita è poesia, che ho voluto dare alla rubrica di poesia che curo per iCrewplay… Ma torniamo alle mie curiosità: Marco Incardona nella prefazione di Le scarpe del flâneur ti definisce “un poeta che non si lascia imbrigliare dalle facili maglie di una critica letteraria”… Quanto conta per te l’approvazione della critica cosiddetta qualificata? Pensi che anche per la poesia esista una lobby (chiamiamola così) chiusa, settaria e poco propensa ad accogliere chi non ha “santi in paradiso”? (Uso una metafora, così, per restare in tema)
Chi pensa che la poesia, la letteratura od esagerando l’arte in generale sia liberata dai mali del mondo è un povero fesso. In questo paese la situazione è frammentaria tra zone di potere costruite su aree sociali e geografiche, nonché politiche e culturali. Non si salva nessuno, cattolici perbenisti che si scopano ragazzine borghesi né anarchici razzisti con chi non è esattamente come loro. Mi sembrano tutti uguali, tutti schiavi di qualche potere e cricca da a cui appartenere. Le lobbie ci sono e sarebbero pure aperte, basta inginocchiarsi al Papa Re di turno e baciargli l’anello, ma io preferisco fare la fine di Don Quixote.
Dove andrai ancora in futuro con le tue scarpe da flâneur? Traduco ma sono sicura che hai capito: quali sono i progetti futuri di Jonathan Rizzo? Come vedi ho cominciato questa intervista con una domanda scontata e per non smentirmi finisco con un’altra domanda altrettanto scontata…
Il futuro è sempre un quesito e mai scontato. Immagino bere, dormire, scopare, mare, scrivere, leggere bellezza in privato, leggere ad alta voce in pubblico, fare incazzare le persone, sbagliare e fare danni, bere e scopare.
Ah, questi poeti che sanno alternare dissacrazioni, malinconie e visioni più che realiste di quanto li circonda! Jonathan Rizzo, forse cavalcando un po’ l’onda del personaggio, frequenta la Musa e sa come trattarla e Lei gli si dona, senza remore.
Siediti a bere con me.
J.
E perché no!?