In memoria di Luchino Visconti, morto a Roma il 17 marzo 1976. Eppure avrei dovuto ricordarmela quella data, perchè oltre a essere stato il regista di uno dei pochi, pochissimi kolossal italiani, il film è fedelmente basato su uno dei miei romanzi preferiti. Partiamo dall’inizio: Luchino Visconti era il quartogenito del duca Giuseppe Visconti di Modrone e di Carla Erba, sì gli Erba della casa farmaceutica.
In memoria di Luchino Visconti
Un nobile serio dunque e di antico lignaggio che si trovò a mettere in scena un romanzo che parlava di nobiltà, di un criterio di vivere e di vedere il mondo che poteva rappresentare così bene solo chi pensava proprio in quello stesso modo. Sì certo, Luchino Visconti fu un comunista della prim’ora, si avvicinò ai partiti progressisti in Francia, dove fu assistente del regista Renoir, conosciuto grazie alla relazione con Coco Chanel, sì certo, si dice che la sua casa e la casa della sua amante italiana furono i centri organizzativi di alcune frange di resistenza dopo l’otto settembre.
Ma insomma… Visconti era nato con il derrière nella Nutella, aveva studiato coi più grandi maestrai di drammaturgia e musica del suo tempo. Toscanini in persona frequentava la casa di sua madre, villa Erba: embè va bene… il balocco comunista lo hanno lasciato anche a lui e probabilmente attraverso l’influenza dei partiti di sinistra ed estrema sinistra, compreso quello illegale italiano, si avvicinò a quella voglia forsennata di descrivere le vicende reali delle persone.
Da L’amante di Gramigna una sceneggiatura che si sarebbe basata sull’omonima novella del Verga, e che venne bocciata da Pavolini, ministro del min.cul.pop. a La terra trema adattamento del verghiano I Malavoglia fino a Bellissima in cui narra le vicende spietate del backstage del cinema. Cosa fa una madre per far sfondare la figlia.
Nel 1957 realizza il primo film a colori, Senso con una stupenda Alida Valli che per verità cinematografica si danneggiò le corde vocali gridando nell’ultima scena. E poi ancora Le notti bianche, con Mastroianni e solo per citarne alcuni altri La caduta degli Dei, Morte a Venezia e Ludwig negli anni sessanta.
Fu nel 1963 che Visconti vinse la Palma d’oro con il film Il Gattopardo, interpretato da una Claudia Cardinale che aveva più del divino che dell’umano, un Alain Delon al culmine della sua giovinezza e un Burt Lancaster che non è mai dico mai stato altrettanto affascinante. In una Sicilia bagnata da un sole cocente, sotto la canicola dell’estate isolana fatta di agrumi freschi e pomeriggi passati all’ombra delle case dalle gelosie abbassate, Tancredi e Angelica, lui simbolo di una nobiltà principesca dalle mani bucate e lei figlia di una nuova classe borghese che sta emergendo, si innamorano e convolano a nozze.
Sullo sfondo Garibaldi e i mille che stanno attraversando il regno dei Borboni per consegnarlo nelle mani di Vittorio Emanuele di Savoia. La frase indimenticabile di tutto il film, pronunciata da Tancredi mentre parte, pieno di entusiasmo, per unirsi ai garibaldini “Zio, se vuoi che tutto rimanga com’è, tutto deve cambiare”. Profetica e spaventosa.
Indimenticabile e stupendo questo film tanto quanto il libro a cui si ispira: il patron della Titanus, casa produttrice, si ridusse in bancarotta per creare uno dei più grandi kolossal che il cinema italiano sia mai stato capace di produrre. Chi non lo avesse mai visto, superi i pregiudizi riguardo ai film storici e si immerga in questo stupendo capolavoro.