In questo nostro appuntamento domenicale con il mondo della filosofia, spesso ci è capitato di incontrare figure rimaste ai margini della storia ma non per questo meno affascinanti. Ildegarda di Bingen è una di queste. Vissuta nel pieno del Medioevo, monaca e mistica, compositrice e pensatrice, Ildegarda sfugge a ogni definizione semplice. Non è soltanto una santa né soltanto una filosofa: è una voce complessa, capace di tenere insieme sapere, visione e vita concreta, e proprio per questo sorprendentemente attuale.
Vita e opere di Ildegarda di Bingen

Ildegarda nasce nel 1098 a Bermersheim, nella regione della Renania, in un’Europa funestata dalla furia delle crociate. Decima figlia di una famiglia nobile, viene affidata giovanissima al monastero di Disibodenberg, secondo una pratica allora diffusa. Qui cresce sotto la guida di Jutta (o Giuditta) di Sponheim, conducendo una vita ritirata, scandita dalla preghiera e dallo studio. Fin dall’infanzia, però, Ildegarda racconta di avere visioni: immagini luminose, strutture cosmiche, figure simboliche che si impongono alla sua mente con una chiarezza quasi dolorosa. Per molto tempo le tiene per sé, temendo di non essere creduta o di cadere nell’illusione.
La svolta arriva intorno ai quarant’anni, quando sente quella che descrive come una chiamata irresistibile a scrivere e a parlare. Nasce così lo Sci vias (“Conosci le vie”), la sua prima grande opera visionaria, un testo che intreccia immagini, commenti teologici e riflessioni sull’ordine del mondo. È un libro che colpisce profondamente i contemporanei, tanto da essere esaminato e approvato da una commissione ecclesiastica alla presenza di Bernardo di Chiaravalle. Da quel momento, Ildegarda non è più una monaca silenziosa: diventa una figura pubblica, ascoltata e rispettata.
Negli anni successivi fonda un proprio monastero a Rupertsberg, vicino a Bingen, e continua a scrivere senza sosta. Produce opere teologiche come il Liber vitae meritorum e il Liber divinorum operum, ma è nota soprattutto per i suoi carmina, inni cantati da utilizzare nelle celebrazioni liturgiche e non solo (scrisse anche un’opera teatrale in musica). Le sue composizioni, ardite e luminose, si distinguono nettamente dal canto gregoriano tradizionale, come se la musica fosse per lei un’estensione naturale della visione.
Ildegarda non è però una monaca qualunque dedita allo studio e alla vita contemplativa e isolata come molte donne del suo tempo. Scrive lettere a papi, vescovi e imperatori, ammonendoli senza timore. In tarda età arriva perfino a scontrarsi con le autorità ecclesiastiche per aver dato sepoltura a un uomo scomunicato, convinta che la misericordia dovesse prevalere sulla norma. Per punizione le viene imposto il silenzio liturgico nel monastero, un colpo durissimo per chi considerava il canto una forma di preghiera essenziale. Solo dopo un lungo confronto la sanzione viene revocata, e Ildegarda può tornare a far risuonare la sua musica.
Ma l’impegno di Ildegarda è vastissimo e non si limita solo all’ambito teologico. Scrisse trattati di botanica, di medicina naturale ma si occupò soprattutto anche di mistica. In un trattato dal titolo Lingua ignota Ildegarda avrebbe creato una vera e propria lingua “divina” da utilizzare probabilmente per interloquire e orientarsi con le entità incontrate durante le proprie visioni. Le capacità mistiche di Ildegarda, del resto, erano note già ai suoi tempi. Secondo alcune fonti la monaca sarebbe riuscita persino ad esorcizzare con successo una donna ricoverata nel suo monastero laddove altri sacerdoti avevano fallito.
Un pensiero che tiene insieme corpo, anima e parola
Se i vasti interessi di Ildegarda possono farla apparire una figura complessa, in lei si scorge in una certa coerenza e il suo pensiero è sorprendentemente unitario: non separa mai l’anima dal corpo, la fede dalla conoscenza, l’esperienza spirituale dalla vita quotidiana. La salute, per lei, è equilibrio; la malattia, un segnale di disarmonia che riguarda l’intera persona. Anche le visioni non sono fughe dal mondo, ma strumenti per comprenderlo meglio. Ildegarda non disprezza la materia, non demonizza il corpo, non teme l’intelligenza: tutto è inserito in un grande disegno di relazioni.
Lungi dall’essere una sorta di invasata o di oscura profetessa, Ildegarda era ben consapevole del valore simbolico delle proprie visioni. Lei pensa per immagini, colori, movimenti. Il suo universo è fatto di cerchi, fuochi, respiri cosmici. In questo senso, è una pensatrice dell’immaginazione, capace di mostrare che la conoscenza non passa solo per il ragionamento lineare, ma anche per la visione e l’intuizione. Non a caso, molti lettori moderni hanno visto in lei un’anticipazione di sensibilità che oggi assoceremmo alla psicologia del profondo o all’estetica simbolica.
È forse le ragioni del successo e della fama di questa santa risiedono proprio in questo: nella capacità di unire razionalità e mistica, scienza e fede. Oggi, poi, si tende troppo spesso a vedere le cose soltanto in bianco o nero senza considerare le mille sfumature di colori che questo mondo può regalarci. Corpo e mente, sapere e spiritualità, parola e azione non sono compartimenti stagni, ma parti di un’unica esperienza umana.
Monaca, aristocratica, teologa, musicista, mistica e persino politica: Ildegarda di Bingen è riuscita a conciliare questi e molti altri talenti nella figura di una donna che non ha fatto altro che abbracciare il mondo nella sua interezza e varietà, perseguendo vie sempre diverse.
La sua voce ci ricorda il valore della complessità abitata, di una visione del mondo che accetta le tensioni senza annullarle. Forse non ci offre soluzioni immediate ma ci restituisce qualcosa di più prezioso: uno sguardo ampio, capace di tenere insieme ciò che oggi tendiamo a dividere. E questo, in fondo, è uno dei compiti più autentici della filosofia.